The Project Gutenberg eBook of La libert This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook. Title: La libert Author: John Stuart Mill Translator: Arnaldo Agnelli Release date: May 7, 2020 [eBook #62047] Language: Italian Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive) *** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA LIBERT *** Produced by Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive) BIBLIOTECA UNIVERSALE LA LIBERT DI GIOVANNI STUART MILL TRADUZIONE ITALIANA DI ARNALDO AGNELLI MILANO SOCIET EDITRICE SONZOGNO 14 Via Pasquirolo 14 PROPRIET LETTERARIA RISERVATA Milano, 1911. Tip. della SOCIET EDITRICE SONZOGNO. GIOVANNI STUART MILL Giovanni Stuart Mill nacque a Londra nel 1806. Il padre di lui, Giacomo Mill, storico ed economista di qualche valore, scolaro di Bentham ed intimo amico di Ricardo, sottopose il suo promettente ingegno ad un sistema di educazione che ne svilupp assai per tempo le forze: giovinetto ancora, lo Stuart Mill conosceva perfettamente il latino, il greco, la storia, specialmente antica: dopo alcuni mesi passati nel 1820 in Francia, ritorn in patria, studi filosofia e giurisprudenza, e ottenne, sotto la dipendenza del padre, un posto negli uffici amministrativi della Compagnia delle Indie, che conserv dal 1823 al 1858. Fu, per qualche anno, membro della Camera dei Comuni, mandatovi dagli elettori di Westminster. Ritiratosi negli ultimi anni ad Avignone in Francia, vi moriva nel 1873. L'ingegno dello Stuart Mill si esplic nelle forme pi svariate: scrisse di filosofia, seguendo e modificando dapprima l'utilitarismo di Geremia Bentham, poi subendo l'influenza del positivismo di Augusto Comte, col quale egli fu in corrispondenza ed amicizia; pubblic un _Sistema di logica_; patrocin ardentemente quelle riforme agrarie d'Irlanda, di cui gi si faceva sentire la necessit. Ma il maggior titolo di gloria a cui il nome di lui si lega sono, senza dubbio, i suoi scritti in materia di economia politica e di diritto pubblico. Seguace, in economia, della scuola classica, quale in Inghilterra l'avevano costituita Adamo Smith, Malthus, Ricardo, egli si occup nondimeno con amore di questioni operaje, accettando e svolgendo a questo proposito delle idee prettamente moderne; coi suoi lavori poi sul _Governo rappresentativo_, sulla _Soggezione delle donne_ e con questo saggio di cui presentiamo una traduzione al lettore italiano, egli prese posto fra i primi pubblicisti d'Europa. Propugn la rappresentanza delle minoranze; fu un apostolo intelligente ed appassionato di quel complesso di riforme che si comprendono sotto il nome di Emancipazione della donna: sopratutto, col presente lavoro sulla _Libert_, si pose in una decisa posizione di combattimento contro quelle tendenze ad allargare le funzioni del potere sociale, che, portato inevitabile di nuovi tempi e di nuove condizioni, debbono essere per altro energicamente frenate in ci che hanno di eccessivo e di tirannico. Questo libro uscito per la prima volta a Londra nel 1859. Eppure, esso non invecchiato, non ha perduto d'interesse n di sapore d'attualit; anzi, il giudizio del tempo ha dato alle idee che vi sono svolte una cos incontestata ragione, che la loro importanza e la loro autorevolezza ne cresciuta d'assai. Non ho creduto bene di premettere al libro un cos detto proemio critico. Davanti ad una mente come quella dello Stuart Mill, davanti ad un lavoro come questo, un giudizio sarebbe facilmente avventato: bene che il lettore se lo formi da s, secondo i suoi convincimenti e le sue tendenze. Certo che, se il libro ottenesse in Italia quel successo e quella diffusione che pur troppo non gli meriter la povera veste ch'io gli ho saputo dare, esso potrebbe fare qualche po' di bene. La dimostrazione limpida, pacata, serena che la libert non soltanto un astratto diritto teorico, ma anche una condizione imprescindibile di saldo progresso civile, potrebbe contribuire a diffondere nel nostro paese quel senso della libert di cui, in tante occasioni, si constata malinconicamente l'assenza. Oso raccomandare in modo speciale a chi segue ciecamente l'impulso di certi pregiudizi e di certi timori, quel piccolo capolavoro che il capitolo secondo, sulla libert di pensiero e di parola. Se, ad ogni modo, l'intento di sgombrar dalle menti qualche falsa opinione, d'insegnare a qualcuno un po' di tolleranza in fatto di religione e di politica, fosse, anche in minima parte, raggiunto, io sarei esuberantemente compensato del mio modesto lavoro. _Gennajo, 1895._ ARNALDO AGNELLI. Il gran principio, il principio dominante, a cui mettono capo tutti gli argomenti esposti in queste pagine, l'importanza essenziale ed assoluta dello sviluppo umano in tutta la ricchezza della sua variet. GUGLIELMO DI HUMBOLDT. _Della sfera d'azione e dei doveri del governo._ Io dedico questo volume alla cara e lagrimata memoria di colei che fu l'inspiratrice, e in parte l'autrice, di quanto v'ha di meglio ne' miei lavori: alla memoria dell'amica e della sposa, il cui fervido senso del vero e del giusto fu il mio pi vivo incoraggiamento la cui approvazione fu la mia ricompensa pi alta. Come tutto quello ch'io ho scritto da molti anni, questo volume tanto opera sua quanto mia, ma il libro, quale ora si presenta, non ha goduto se non in grado molto insufficiente il vantaggio inestimabile d'esser riveduto da lei: qualcuna delle parti pi importanti era riservata ad un secondo e pi accurato esame, che ormai non destinata a ricevere mai pi. S'io sapessi interpretare la met soltanto dei grandi pensieri, dei nobili sentimenti che sono con essa sepolti, il mondo ne coglierebbe un frutto ben maggiore che da tutto quello ch'io posso scrivere, senza l'inspirazione e l'assistenza della sua impareggiabile saggezza. G. STUART MILL. LA LIBERT CAPITOLO PRIMO. INTRODUZIONE. Il soggetto di questo lavoro non il cos detto libero arbitrio tanto infelicemente opposto a quella che mal si chiama dottrina di necessit filosofica, ma bens la libert sociale o civile, cio la natura e i limiti del potere che la Societ pu legittimamente esercitare sull'individuo: questione posta di rado e forse non discussa mai in termini generali, ma che colla sua presenza inavvertita ha una profonda influenza sulle controversie pratiche del secolo e probabilmente sar bentosto riconosciuta come la questione vitale dell'avvenire. Questa questione s lungi dall'esser nuova, che, in un certo senso, essa ha diviso l'umanit, fin quasi dai tempi pi remoti. Ma essa si presenta sotto nuove forme nell'epoca di progresso in cui ora sono entrati i gruppi pi civili della specie umana, ed necessario trattarla in modo diverso e pi fondamentale. La lotta tra libert ed autorit la nota caratteristica di quelle epoche storiche che ci divengono a prima giunta familiari nelle storie greca, romana ed inglese. Ma, in altri tempi, la lotta era tra i sudditi, o qualche classe di sudditi, e il governo: per libert, s'intendeva la protezione contro la tirannia dei governanti politici. Questi (tranne che in qualche citt democratica di Grecia) sembravano in una posizione necessariamente nemica al popolo da essi governato. In altri tempi il governo era in generale tenuto da un uomo o da una trib o da una casta che derivava la propria autorit dal diritto di conquista o di successione, in nessun caso dal consenso dei governati e di cui gli uomini non osavano, fors'anche non desideravano di porre in dubbio la supremazia, pure prendendo qualche precauzione contro l'esercizio oppressivo di essa. Si considerava allora il potere dei governanti come necessario, ma anche come altamente pericoloso: come un'arma ch'essi avrebbero tentato di usare tanto contro i loro sudditi quanto contro i nemici esterni. Per impedire che i membri pi deboli della collettivit fossero divorati da innumerevoli avolto, era indispensabile che un uccello da rapina pi forte degli altri fosse incaricato di frenare questi animali voraci; ma poich il re degli avolto non sarebbe stato meno disposto a divorare il greggie di nessuna delle arpie minori, cos bisognava tenersi sempre sulla difensiva contro il suo becco e contro i suoi artigli. Per questo, scopo dei patrioti era di assegnare dei limiti al potere che i governanti dovessero esercitare sulla collettivit: questo essi intendevano per libert. Vi si tendeva in due modi: anzitutto, coll'ottenere il riconoscimento di certe immunit, dette libert o diritti politici, che, secondo l'opinione generale, il governo non poteva impunemente violare senza mancar di parola e senza correre, ben a ragione, il rischio di una resistenza particolare o di una ribellione generale. Un altro espediente, pi recente in generale, era lo stabilire dei freni costituzionali, per mezzo dei quali il consenso della comunit o di un corpo qualunque, supposto rappresentante degl'interessi di questa, era condizione necessaria di qualcuno fra gli atti importanti di governo. Nella maggior parte dei paesi d'Europa, il governo stato costretto, pi o meno, a sottomettersi alla prima di queste restrizioni. Non avvenne lo stesso per la seconda; e il potervi giungere o, quando fino a un certo punto gi la si possedeva, il giungervi pi completamente, divenne dappertutto principal fine degli amici di libert. E finch l'umanit si content di combattere un nemico coll'altro, e d'esser governata da un padrone, a condizione d'esser pi o meno efficacemente garantita contro la sua tirannia, i desider dei liberali non si elevarono pi alto. Pure, nel cammino delle cose umane, venne un momento in cui gli uomini cessarono di considerare come naturalmente necessario che i loro governanti costituissero un potere indipendente, d'un interesse opposto al loro. Parve ad essi assai meglio che i var magistrati dello Stato fossero loro rappresentanti o delegati, revocabili a loro piacimento. Sembr che solamente a questo modo l'umanit potesse avere la completa assicurazione che non si sarebbe mai, a suo danno, abusato dei poteri del governo. A poco a poco, questo nuovo bisogno di governanti elettivi e temporanei divenne l'obbietto principale delle agitazioni del partito popolare, dovunque ce n'era uno, e allora si abbandonarono quasi dappertutto gli sforzi precedenti per limitare il potere dei governanti. Poich in questa lotta si trattava di far emanare il potere di governo dalla scelta periodica dei governati, alcuni cominciarono a credere che si era attribuita troppa importanza all'idea di limitare il potere stesso. Questo (a ci che pareva) era un vantaggio contro quei governanti i cui interessi erano abitualmente opposti a quelli del popolo; ma ci che allora occorreva, era che i governanti fossero una cosa sola col popolo, che il loro interesse e la loro volont fossero l'interesse e la volont della nazione. La nazione non avea bisogno d'esser protetta contro la sua propria volont: non c'era da temere ch'essa si tiranneggiasse da s. E poich i governanti di una nazione erano efficacemente responsabili verso di essa, prontamente revocabili quando a questa piacesse, si poteva bene affidar loro un potere di cui la nazione stessa aveva il mezzo di prescrivere l'uso. Il loro potere non era che lo stesso potere della nazione, concentrato e messo in una forma comoda per essere esercitato. Questo modo di pensare o forse piuttosto di sentire era comune, nell'ultima generazione dei liberali europei, fra i quali prevale ancora sul continente. Quelli che pongono qualche limite a ci che un governo pu fare, tranne il caso di governi tali che, secondo essi, non dovrebbero esistere, sono, fra i pensatori del continente, segnati a dito come brillanti eccezioni. Un tal modo di sentire potrebbe, nell'ora che volge, prevalere anche nel nostro paese, se le contingenze che per un dato tempo l'incoraggiarono non l'avessero mutato dappoi. Ma nelle teorie politiche e filosofiche, come nelle persone, il successo lascia scorgere dei difetti e dei lati deboli che l'insuccesso avrebbe potuto nascondere. L'idea che i popoli non hanno bisogno di limitare il loro potere su loro stessi poteva sembrare assiomatica quando il governo popolare era una cosa di cui ci si limitava a sognar l'esistenza o a leggerla nella storia, in qualche epoca molto remota. Questo concetto non fu necessariamente turbato da transitorie aberrazioni, come quelle della rivoluzione francese, di cui le peggiori furono opera di una minoranza usurpatrice e che, in ogni caso, non rappresentavano l'azione permanente delle instituzioni popolari, ma una esplosione subitanea e convulsiva contro il dispotismo monarchico ed aristocratico. Frattanto, a tempo opportuno, una repubblica democratica venne ad occupare una larga superficie della terra e divenne una delle parti pi potenti della comunit delle nazioni. D'allora in poi, il governo elettivo e responsabile divenne l'obbietto di quelle osservazioni e di quelle critiche che si dirigono a qualunque grande fatto esistente. Ci si accorse allora che certe frasi, come il potere su s stesso e il potere dei popoli su loro stessi, non esprimevano il vero stato delle cose; il popolo che esercita il potere non sempre quello stesso su cui lo si esercita, e il governo di s stesso di cui si parla non il governo di ciascuno tenuto da lui stesso, ma di ciascuno tenuto da tutti gli altri. Inoltre, volont del popolo significa, praticamente, volont della parte pi numerosa ed attiva del popolo della maggioranza insomma, o di quella che riesce a passare per tale. Di conseguenza, il popolo pu desiderar di opprimere una parte di s stesso, e le precauzioni sono, a questo riguardo, utili altrettanto che contro qualunque altro abuso di potere. Per queste ragioni sempre importante limitare il potere del governo sugl'individui, anche quando i governanti siano regolarmente responsabili verso la comunit, o cio verso il partito che nella comunit prevale. Questo modo di lumeggiare l'argomento non ha durato fatica a farsi accettare: esso si raccomanda ugualmente all'intelligenza dei pensatori e alle tendenze di quelle classi notevoli della societ europea che considerano la democrazia come ostile ai loro interessi. Cos ora si pone, nelle speculazioni politiche, la tirannia della maggioranza nel novero dei mali contro di cui la societ deve premunirsi. Come le altre tirannie, quella della maggioranza fu dapprima ed volgarmente ancora temuta, sopratutto in quanto agisce per mezzo degli atti della pubblica autorit. Ma ogni attento osservatore si accorse che, quando la societ essa stessa il tiranno la societ collettivamente, rispetto ai singoli individui che la compongono i suoi mezzi di tiranneggiare non si restringono agli atti ch'essa comanda ai suoi funzionar politici. La societ pu eseguire, ed eseguisce essa stessa, i suoi propr decreti; e, se ne emana di cattivi, o se ne emana a proposito di cose in cui non dovrebbe entrare, essa esercita una tirannia sociale pi formidabile di qualunque oppressione legale: in realt, se una tal tirannia non dispone di penalit altrettanto gravi, lascia per minor mezzo di sfuggirle; perch penetra ben pi addentro nei particolari della vita ed incatena l'anima stessa. Per questo, la protezione contro la tirannia del magistrato non basta. Dappoich la societ ha la tendenza: 1. d'imporre come regole di condotta, con mezzi che non entrano nelle penalit civili, le sue idee e i suoi costumi a quelli che se ne staccano 2. d'impedire lo sviluppo e, per quanto possibile, la formazione di qualunque individualit spiccata 3. di costringere tutti i caratteri a modellarsi sul suo proprio l'individuo ha il diritto di esser protetto contro tutto questo. C' un limite all'azione legittima della opinione collettiva sull'indipendenza individuale: trovare questo limite e difenderlo contro qualunque usurpazione indispensabile ad una buona condizione delle cose umane altrettanto che proteggerci contro il dispotismo politico. Ma, se questa proposizione non contestabile in termini generali, la questione pratica del _dove_ il limite si debba porre, del _come_ si debbano metter d'accordo la libert individuale e la sociale sorveglianza, un argomento sul quale quasi tutto ancora da fare. Tutto ci che d qualche valore alla nostra esistenza dipende dalla coazione imposta alle azioni d'altri: dunque alcune regole di condotta debbono essere imposte dalla legge anzitutto, e poi dall'opinione, per quelle molte cose su cui la legge non pu esercitare un'azione. Quali debbono essere queste regole? Tale la fondamental questione nelle cose umane; ma, eccezion fatta per qualcuno dei casi pi importanti, anche quella per la soluzione della quale si fatto il minor cammino. Non vi sono due secoli n, quasi, due paesi che su questo siano arrivati alla stessa conclusione; e la conclusione di un secolo o di un paese argomento di stupore per un altro. Tuttavia, gli uomini di ciascun secolo o di ciascun paese non trovano la questione pi complicata che se si trattasse di un soggetto su cui la specie umana sia sempre andata d'accordo. Le regole che in mezzo a loro predominano sembrano evidenti ed aventi in s stesse la loro giustificazione: questa illusione quasi universale uno degli esemp della magica influenza dell'abitudine, la quale non soltanto, come dice il proverbio, una seconda natura, ma continuamente scambiata con la natura medesima. L'effetto dell'abitudine, impedendo che alcun dubbio si elevi a proposito delle regole di condotta dall'umanit imposte a ciascuno, tanto pi completo in quanto che, su questo argomento, non si considera generalmente come necessario di poter dare delle ragioni o agli altri o a s stesso: si avvezzi a credere (e certuni che aspirano al titolo di filosofi c'incoraggiano in questa opinione) che i nostri sentimenti su soggetti di tal natura valgano meglio di ragioni e rendano queste inutili. Il principio pratico che ci guida nelle nostre opinioni sul modo di regolare la condotta umana, l'idea, nello spirito di ciascuno, che gli altri dovrebbero esser costretti ad agire come desidererebbe egli e quelli pei quali egli ha simpatia. In realt, nessuno si confessa che il regolatore del suo giudizio il suo proprio capriccio; eppure un'opinione su un punto di condotta, che non sostenuta da ragioni, non pu considerarsi se non come la tendenza di una persona; e se le ragioni, una volta date, non sono che un semplice richiamo ad una simile tendenza a cui altre persone obbediscono, e sempre ancora la inclinazione di molti in luogo d'essere quella di un solo. Per un uomo ordinario, tuttavia, la sua inclinazione, cos sostenuta, non solo una ragione pienamente soddisfacente, ma l'unica da cui derivano tutte le nozioni di moralit, di gusto, di convenienze, che la sua fede religiosa gi non comprende: anche la sua principal guida nell'interpretazione di questa. Di conseguenza, le opinioni degli uomini su ci che lodevole o biasimevole risentono l'influenza di tutte le cause diverse che influiscono sui loro desideri a proposito della condotta degli altri, cause numerose quanto quelle che determinano i loro desideri su qualunque altro soggetto. Qualche volta la loro ragione; qualche altra sono i loro pregiudizi o le loro superstizioni; spesso i loro sentimenti sociali, e non di rado le loro tendenze antisociali, l'invidia o la gelosia, lo sprezzo o l'improntitudine. Ma il pi delle volte l'uomo guidato dal suo interesse, legittimo o illegittimo. Dovunque c' una classe dominante, quasi tutta la morale pubblica deriva dagli interessi di questa classe e dai suoi sentimenti di superiorit. La morale tra Spartani ed Iloti, tra coltivatori e negri nelle piantagioni, tra principi e sudditi, tra nobili e plebei, tra uomini e donne, fu quasi dappertutto creazione degl'interessi e dei sentimenti di classe: e le opinioni cos generate reagiscono alla lor volta sui sentimenti morali dei membri della classe dominante, nelle loro relazioni reciproche. D'altra parte, dovunque una classe in altri tempi dominante ha perduto la sua influenza, o anche dovunque questa influenza impopolare, i sentimenti morali che prevalgono portano il segno di un'impaziente ribellione all'autorit. Un altro principio, che determin delle regole di condotta imposte, sia dalla legge, sia dall'opinione, fu la servilit della specie umana riguardo alle preferenze o alle avversioni supposte dei suoi signori terreni o delle sue divinit. Questa servilit, sebbene essenzialmente egoistica, non nasce da ipocrisa, e fa sorgere dei sentimenti d'orrore perfettamente sinceri; essa ha reso gli uomini capaci di bruciare degli stregoni e degli eretici. Frammezzo a tante pi basse influenze, gli interessi evidenti e generali della societ hanno avuto naturalmente una parte, ed importante, nella direzione dei sentimenti morali: meno tuttavia pel valore loro proprio che come una conseguenza delle simpatie o delle antipatie da questi interessi prodotte. In seguito si son fatte sentire con altrettanto vigore nello stabilirsi dei princip morali delle simpatie o delle antipatie le quali nulla o quasi avevano a che vedere cogli interessi della societ. Cos il capriccio o il disgusto della societ o di qualche parte potente della societ sono la principale determinante, in pratica, delle regole imposte all'osservanza generale sotto la sanzione della legge o della opinione. In genere, quelli che erano, quanto ad idee e a sentimenti, pi avanzati della societ, hanno lasciato che un tale stato di cose si mantenesse, come principio, intatto, per quanto abbiano potuto lottare contro qualcuno dei suoi particolari; si sono dati cura di sapere che cosa debba preferire o non preferire la societ, piuttosto che di sapere se quanto essa preferiva o non preferiva si dovesse imporre agli individui; si proposero di mutare i sentimenti della specie umana su qualche punto speciale in cui essi stessi eran colpevoli di eresia, anzich di fare, con tutti gli eretici in generale, causa comune per la difesa della libert. Nessuno si , coscientemente, inalzato di pi; e nessuno ci rimasto saldamente tranne che in materia di religione: un caso che, sotto pi rispetti, contiene degl'insegnamenti, sopratutto perch offre un esempio, che colpisce, della fallibilit del cos detto senso morale: poich l'_odium theologicum_, in un bigotto sincero, uno dei casi pi sicuri del sentimento morale. Quelli che scossero per primi il giogo di ci che si chiamava la Chiesa universale, erano in generale disposti a tollerare delle divergenze di opinioni religiose quanto quella Chiesa stessa. Ma, quando fu sbollito l'ardore della lotta senza dare completa vittoria ad alcun partito, quando ciascuna chiesa o setta dovette limitare le sue speranze a conservare il possesso del terreno occupato, le minoranze, vedendo che esse non avevano probabilit di mutarsi in maggioranze, furono costrette a sostenere la libera dissidenza religiosa in confronto di quelli che non potevano convertire. Di conseguenza, quasi solo su questo campo di battaglia che i diritti dell'individuo contro la societ sono stati rivendicati sulla base di principi bene stabiliti, e che il diritto della societ di far pesare l'autorit sua sui dissidenti fu apertamente contestato. I grandi scrittori a cui il mondo deve ci ch'egli possiede di libert religiosa hanno rivendicato la libert di coscienza come un diritto inalienabile, ed hanno in modo assoluto negato che un essere umano debba render conto agli altri della sua fede religiosa. Tuttavia cos naturale alla specie umana l'intolleranza per tutto quello che veramente le preme, che la libert religiosa non fu attuata quasi in nessun luogo, salvo l dove l'indifferenza, che non ama di vedersi turbata nella sua pace da dispute teologiche, ha fatto sentire il suo peso sulla bilancia. Nello spirito di quasi tutte le persone di fede, anche nei paesi pi tolleranti, il diritto non ammesso senza tacite riserve. Una persona lascier dire i dissidenti in materia di governo ecclesiastico, ma non in materia di dogma; un altro pu tollerar chicchessia, ma non un papista o un unitario; un terzo, tutti quelli che credono alla religione rivelata; un piccolo numero va nella sua carit pi lontano, ma si ferma alla credenza in un Dio e nella vita futura. Dovunque il sentimento della maggioranza ancora sincero ed intenso, ci si accorge che essa non ha punto rinunziato alle sue pretese di essere obbedita. In Inghilterra (a cagione delle speciali contingenze della nostra storia politica) sebbene il giogo della opinione sia forse pi grave, quello della legge pi lieve che nella maggior parte dei paesi di Europa, e c' una grande avversione contro qualunque diretto intervento del potere, sia legislativo, sia esecutivo, nella condotta privata; questo assai meno a causa di un giusto rispetto pei diritti dell'individuo che a causa della vecchia abitudine di considerare il governo come rappresentante di un interesse opposto a quello del pubblico. La maggioranza non ha ancora imparato a considerare il potere del governo come il suo potere, e le opinioni del governo come le sue: e quando essa sar giunta a questo, la libert individuale correr probabilmente il pericolo di essere violata dal governo quanto lo gi ora dalla pubblica opinione. Ma, pel momento, c' una forza grande di sentimento pronta a sollevarsi contro qualunque tentativo della legge per sorvegliare gl'individui, in cose che fino allora non erano di sua spettanza: e questo senza alcun discernimento di ci che sia o no nella sfera legittima della sorveglianza ufficiale; cosicch un tale sentimento, cos altamente salutare in s, applicato altrettanto spesso a torto che a ragione. In fatto, non v' principio riconosciuto per istabilire in modo pratico la legittimit o l'illegittimit dell'intervento governativo: si decide secondo le tendenze personali. Gli uni, dovunque vedono del bene da fare o del male da riparare, vorrebbero spingere il governo ad assumersi l'impresa, mentre gli altri preferiscono sopportare ogni sorta di abusi sociali piuttosto di aggiungere alcunch alle attribuzioni del governo. Gli uomini si schierano, in ciascun caso particolare, in queste o in quelle file, seguendo o l'indirizzo generale dei loro sentimenti, o il grado d'interesse ch'essi prendono alla cosa che si propone di far fare al governo, o anche la persuasione che il governo sapr o non sapr fare la cosa nel modo da essi preferito. Ma essi agiscono molto di rado secondo una opinione meditata e ferma sulle cose che naturalmente devono esser fatte dal governo. E quindi mi sembra che oggid, in conseguenza di tale mancanza di regola o di principio, un partito ha torto altrettanto spesso che l'altro; l'intervento del governo invocato a torto altrettanto spesso che condannato a torto. Scopo di questo saggio proclamare un principio molto semplice, e che deve assolutamente informare la condotta della societ verso l'individuo, in tutto ci che costrizione e sorveglianza siano poi i mezzi usati vuoi la forza fisica, sotto forma di pene legali, vuoi la coazione morale della pubblica opinione. Ecco un tale principio: il solo fine che permette agli uomini, individualmente o collettivamente, di turbare la libert d'azione d'alcuno dei loro simili, la protezione di s stesso; la sola ragione legittima che possa avere una comunit per far uso della forza contro uno dei suoi membri, d'impedirgli di nuocere agli altri: ma non ragione sufficiente il bene, sia fisico, sia morale, di questo individuo. Un uomo non pu, a rigore, essere costretto a fare o ad omettere un'azione, perch ci sarebbe meglio per lui, o lo renderebbe pi felice, o perch, nell'opinione degli altri, egli farebbe cosa saggia od anche giusta. Tutte queste sono ragioni buone per fargli delle osservazioni, per discutere con lui, per convincerlo o per supplicarlo, ma non per costringerlo o per cagionargli alcun danno, s'egli non se ne cura. Per giustificare questo, occorrerebbe che la condotta da cui si vuole distogliere quest'uomo avesse per effetto di nuocere a qualche altro: la sola parte della condotta d'un individuo, sulla quale la societ abbia giurisdizione, quella che concerne gli altri: per ci che interessa lui solo, la sua indipendenza , di diritto, assoluta; su s stesso, sul proprio corpo e sul proprio spirito, l'individuo sovrano. Questa dottrina forse appena necessario di accennarlo non vuol essere applicata se non agli esseri umani nella maturanza delle loro facolt. Noi non parliamo dei ragazzi n degli adolescenti d'ambo i sessi che non abbiano raggiunto, secondo la legge, l'et maggiore: quelli che sono ancora in et che richiede le cure altrui, devono essere protetti contro le loro proprie azioni cos come contro qualunque pericolo esterno. Per la stessa ragione, noi possiamo lasciar da parte quelle societ nascenti in cui la razza stessa pu esser considerata come minorenne: le prime difficolt sulla strada del progresso spontaneo sono cos grandi, che ben di rado si ha la scelta dei mezzi di superarle. Cos, qualunque sovrano animato da spirito progressivo pu bene servirsi di tutti i mezzi per raggiungere uno scopo, che altrimenti, forse, gli sarebbe sfuggito per sempre. Il dispotismo un modo legittimo di governare quando si tratta con barbari, purch lo scopo sia il loro miglioramento e i mezzi si giustifichino raggiungendolo sul serio. La libert, come principio, non si pu applicare ad uno stato di cose anteriore al momento in cui la specie umana divien capace di migliorarsi con un'equa e libera discussione: fin l, essa non pu sperare che nella cieca obbedienza ad un Akbar o ad un Carlomagno, se ha la fortuna di trovarne. Ma dacch il genere umano capace di progredire per mezzo della convinzione o della persuasione (grado che da molto tempo hanno raggiunto tutte le nazioni di cui qui dobbiamo occuparci) la coazione, o sotto la forma diretta, o sotto quella di penalit per la non osservanza, non pi ammissibile come mezzo di far del bene agli uomini; essa giustificabile ancora soltanto per la loro sicurezza reciproca. Conviene premetterlo: io trascuro qualunque vantaggio possa venire alla mia argomentazione dall'idea del diritto astratto come cosa indipendente dall'utile: l'utilit , a senso mio, la soluzione suprema di qualunque questione morale; ma dev'essere l'utilit nel senso pi vasto della parola, l'utilit fondata sui vantaggi permanenti dell'uomo, considerato come essere progressivo. Questi interessi, io sostengo, non giustificano la sottomissione della spontaneit individuale ad una sorveglianza esteriore se non per quelle azioni di ciascuno che toccano l'interesse altrui. Se un uomo compie un atto agli altri dannoso, c' evidentemente ragione di punirlo colla legge, oppure, se le penalit legali non sono in tutta certezza applicabili, colla generale disapprovazione. Vi sono anche molti atti positivi vantaggiosi agli altri, che un uomo pu esser giustamente obbligato a compiere: per esempio, far da testimonio in giudizio o fare tutto il proprio dovere, sia nella difesa comune, sia in qualunque opera comune necessaria alla societ sotto la protezione della quale egli vive. Inoltre, si pu, a rigore, tenerlo responsabile verso la societ s'egli non compie certi atti di beneficenza individuale che sono, in date circostanze, il dovere evidente di ogni uomo; come il salvare la vita al proprio simile o l'intervenire per difendere il debole dai maltrattamenti. Una persona pu nuocere agli altri non soltanto colle sue azioni, ma colla sua inazione; e, in ogni caso, essa responsabile verso di loro del danno. vero che, nell'ultimo caso, la coazione deve essere esercitata con assai maggiore riguardo che nel primo. Tenere qualcuno responsabile del male ch'esso fa agli altri: ecco la regola; tenerlo responsabile del male da cui non li assicura: ecco, comparativamente parlando, l'eccezione. Tuttavia, vi sono molti casi abbastanza chiari ed abbastanza gravi per giustificare questa eccezione. In tutto ci che riguarda le relazioni esteriori dell'individuo, esso ipso iure responsabile verso quelli i cui interessi sono in giuoco, e, se occorre, verso la societ come loro proteggitrice. Vi sono spesso delle buone ragioni per non imporre agli uomini questa responsabilit; ma tali ragioni debbono derivare dalle particolari convenienze del caso, sia perch un caso in cui, tutto considerato, l'individuo agir probabilmente meglio abbandonato al suo proprio impulso che sorvegliato in qualsiasi modo dalla societ; sia perch un tentativo di sorveglianza produrrebbe mali pi grandi di quelli che si vogliono evitare. Quando tali ragioni fanno ostacolo alla responsabilit forzata, la coscienza dello stesso agente deve prendere il posto del giudice assente, per proteggere quegli interessi altrui che mancano di una protezione esteriore, e l'uomo deve giudicarsi tanto pi severamente in quanto che il caso non lo sottomette al giudizio dei suoi simili. Ma v' una sfera d'azione, nella quale la societ, come distinta dall'individuo, non ha che un interesse indiretto, se pure essa ne ha uno. Intendiamo quella parte della condotta e della vita di una persona che tocca soltanto la persona stessa o che, se tocca ugualmente gli altri, lo fa col loro consenso e colla loro partecipazione libera, spontanea e perfettamente illuminata. Quando io parlo di ci che riguarda la persona soltanto, intendo ci che la riguarda in modo diretto e immediato; poich tutto ci che tocca un individuo pu toccar gli altri per mezzo di lui, e l'obbiezione che si basa su questa possibilit sar l'argomento di nostre ulteriori riflessioni. Questa adunque la regione che spetta alla umana libert. Essa comprende, prima di tutto, la giurisdizione di quello che i canonisti chiamano il _forum internum_, esigendo la libert di coscienza nel senso pi esteso della parola, la libert di tendenza e di pensiero, la libert assoluta d'opinioni e di sentimenti, su qualunque soggetto pratico, speculativo, scientifico, morale o teologico. La libert di esprimere e di pubblicar delle opinioni pu sembrar sottoposta a un diverso principio, perch essa appartiene a quella parte della condotta d'un individuo che tocca gli altri; ma, poich essa d'un'importanza pressoch uguale a quella della stessa libert di pensiero, e riposa, in gran parte, sulle stesse ragioni, queste due libert sono, in pratica, inseparabili. In secondo luogo, il principio della libert umana richiede la libert dei gusti e dei capricci, la libert di adattare il nostro tenor di vita all'indole nostra, di fare quel che ci garba, avvenga che vuole avvenire, senza esserne impediti dai nostri simili, fino a che noi non arrechiamo loro danno, ed anche quando essi trovino sciocca o biasimevole la nostra condotta. In terzo luogo da questa libert di ciascun individuo nasce, negli stessi limiti, la libert di associazione fra gli individui;la libert di unirsi per un qualunque fine inoffensivo per gli altri supposto sempre che gli associati siano d'et maggiore e non siano n costretti, n ingannati. Nessuna societ libera, qualunque possa essere la forma di governo con cui si regge, se queste libert non sono almeno rispettate; e nessuna libera completamente, se queste libert non esistono in modo assoluto e senza riserve. La sola libert degna veramente di questo nome e quella di cercare il nostro bene a modo nostro, fino a che noi non tentiamo di privar gli altri del loro o di porre ostacoli ai loro sforzi per ottenerlo. Ognuno il custode naturale della sua propria salute, sia fisica, sia intellettuale e spirituale; e la specie umana guadagna di pi a lasciar che ciascuno viva come meglio gli sembra, che a costringerlo a vivere come sembra meglio a tutti gli altri. Sebbene questa dottrina non sia affatto nuova, e possa a qualcuno sembrare una verit evidente, non ve n' certo altra che sia pi diametralmente opposta all'opinione e al costume oggi esistenti. La societ si data tanta cura per tentare (secondo i suoi criteri) di costringere gli uomini a seguir le sue nozioni di perfezione personale, quanto per veder di obbligarli a seguire le sue idee in fatto di perfezione sociale. Le antiche repubbliche si credevano in diritto (e i filosofi dell'antichit appoggiavano la loro pretesa) di regolare, di pubblica autorit, tutta la condotta privata, sotto pretesto che la disciplina fisica e morale di ciascun cittadino cosa la quale interessa profondamente lo Stato. Questo modo di pensare poteva essere ammissibile in piccole repubbliche circondate da potenti nemici ed in pericolo continuo di essere rovesciate o da un attacco esteriore o da un sommovimento interno. A simili stati poteva cos facilmente cagionar danno che l'energia e l'impero degli uomini su loro stessi si allentassero anche per un solo istante, che non era ad essi lecito di attendere gli effetti salutari e permanenti della libert. Nel mondo moderno, la maggior importanza delle comunit politiche, e sopratutto la separazione dell'autorit religiosa dalla civile (ponendo la direzione della coscienza dell'uomo in mani diverse da quelle che sorvegliavano i suoi affari temporali) impedirono un intervento cos grande della legge nei particolari della vita privata; ma, a dire il vero, l'individuo non vi fece un gran guadagno: l'autorit spirituale si pose a regolare tutti i particolari abbandonati dalla temporale: l'uomo fu allora stretto anche pi da vicino in quanto lo riguarda, poich la religione (l'elemento d'autorit morale fino ad oggi pi potente) fu quasi sempre governata o dall'ambizione di una gerarchia che aspira a guidare tutta la condotta umana o dallo spirito di puritanismo. Qualcuno di quei riformatori moderni, che con maggior veemenza hanno dato l'assalto alle religioni del passato, non sono per nulla affatto rimasti addietro n alle chiese n alle sette, nella loro affermazione del diritto di autorit spirituale; citeremo in ispecie Augusto Comte, il cui sistema sociale, quale ei lo espone nel suo _Sistema di politica positiva_, mira a stabilire (piuttosto, vero, con mezzi morali che con mezzi legali) un dispotismo della societ sull'individuo, che supera tutto quanto hanno potuto imaginare i pi rigidi tra i filosofi antichi in fatto di disciplina. A parte le dottrine speciali dei pensatori individuali, vi anche nel mondo una forte e crescente inclinazione ad estendere esageratamente il potere della societ sull'individuo, e colla forza dell'opinione, e anche con quella della legislazione. Ora, poich tutti i mutamenti che s'operano nel mondo hanno l'effetto di accrescere la forza della societ e diminuire il potere dell'individuo, questa usurpazione non uno di quei mali che tendano a sparire spontaneamente: anzi, esso tende, al contrario, a divenire sempre pi formidabile. La tendenza degli uomini, sia come sovrani, sia come concittadini, ad imporre agli altri le loro opinioni e i loro capricci come regola di condotta cos efficacemente sostenuta da qualcuno dei migliori e da qualcuno dei peggiori sentimenti dell'uomo, che essa non si raffrena quasi mai, se non quando proprio il potere le manca. E poich il potere non sulla strada di diminuire, ma di crescere, conviene aspettarsi salvo che contro il male si elevi una forte barriera di convinzione morale conviene aspettarsi, diciamo, nelle presenti condizioni del mondo, di veder crescere anche tale tendenza. pi opportuno per l'argomento che, invece di affrontare immediatamente la tesi generale, noi ci tratteniamo dapprima in una sola delle sue parti, a proposito della quale il principio qui stabilito riconosciuto, se non del tutto, almeno fino ad un certo segno, dalle opinioni correnti. Questo ramo la libert di pensiero, da cui impossibile separare la libert di parola e di stampa. Sebbene queste libert formino una parte importante della moralit politica di tutti i paesi che mantengono la tolleranza religiosa e le libere instituzioni, tuttavia i princip, sia filosofici, sia pratici, su cui esse riposano, non sono forse cos famigliari allo spirito pubblico n cos pienamente valutati dagli stessi capi dell'opinione, come si potrebbe credere. Questi princip, sanamente intesi, sono applicabili a ben pi d'una suddivisione dell'argomento; e un esame alquanto approfondito di questa parte della questione sar, io penso, la migliore introduzione al rimanente. Per questo, coloro che non troveranno nulla di nuovo in ci che verr dicendo, vorranno, io spero, avermi per iscusato se oso discutere una volta di pi un argomento che, da tre secoli in qua, stato tante volte dibattuto. FINE DEL CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO. LA LIBERT DI PENSIERO E DI DISCUSSIONE. lecito sperare che sia trascorso il tempo in cui sarebbe stato necessario difendere la libert di stampa come una guarentigia contro un governo corrotto o tirannico; oggi, io penso, non c' pi bisogno d'eccitare gli uomini alla ribellione contro qualunque potere, legislativo o esecutivo, i cui interessi non fossero identificati con quelli del popolo e che pretendesse di prescrivergli delle opinioni e di stabilire quali dottrine o quali argomenti gli sia permesso di sentire. D'altra parte, questo aspetto della questione stato gi cos spesso trattato, e in modo cos splendido, che qui non occorre d'insistervi pi specialmente. Sebbene la legge inglese sulla stampa sia oggi cos servile come lo era al tempo dei Tudor, pure v' ben poco pericolo che oggi se ne faccia uso contro la discussione politica, salvo che durante qualche panico passeggiero, quando il timor della insurrezione trascina ministri e giudici fuori del loro stato normale[1]. In generale, non v' a temere, in un paese costituzionale, che il governo (sia esso o no pienamente responsabile di fronte al popolo) tenti spesso di sorvegliare l'espressione delle opinioni, eccettuato il caso in cui, cos agendo, esso divien l'organo della generale intolleranza del pubblico. Supponiamo dunque che il governo non sia che una cosa col popolo, e non pensi in alcun modo ad esercitare alcun potere di coercizione, ammenoch non sia d'accordo con quello ch'esso considera la voce del popolo: ebbene, io nego al popolo il diritto di esercitare una tale coercizione, sia da s, sia per mezzo del suo governo: questo poter di coercizione illegittimo. Il migliore dei governi non vi ha pi diritto del peggiore; un tal potere altrettanto ed anche pi dannoso quando lo si esercita d'accordo con l'opinione pubblica, di quando lo si esercita in opposizione con essa. Se tutta la specie umana, salvo una persona, fosse di un parere, e una persona soltanto fosse del parere contrario, la specie umana non sarebbe per nulla pi giustificabile imponendo silenzio a tale persona di quello che questa lo sarebbe se, potendo, imponesse silenzio alla specie umana. Se una opinione non fosse che una personale propriet, e non avesse valore che pel possessore; se l'esser turbati in questo possesso fosse un danno puramente personale, vi sarebbe qualche differenza tra l'essere il danno inflitto a poche persone o a molte. Ma questo vi ha di specialmente dannoso nell'imporre silenzio all'espressione d'una opinione: che si defrauda la specie, la posterit come la generazione esistente, quelli che si allontanano da una tale opinione ancora pi di quelli che la sostengono. Se questa opinione giusta, sono privati di un mezzo di lasciar l'errore per la verit; se sbagliata, essi perdono un beneficio quasi altrettanto importante: la percezione pi chiara e l'impressione pi viva della verit, prodotta dal suo cozzo con l'errore. necessario di considerare separatamente queste ipotesi, a ciascuna delle quali corrisponde un ramo distinto dell'argomentazione. Noi non possiamo mai essere sicuri che l'opinione che noi cerchiamo di sopprimere sia falsa; e, lo fossimo pure, il sopprimerla sarebbe ancora un male. E, anzitutto, l'opinione che si cerca sopprimere d'autorit pu benissimo esser vera; quelli che desiderano sopprimerla, naturalmente, contestano la sua verit: ma essi non sono infallibili, non hanno il potere di decidere la questione per tutto il genere umano, e di rifiutare agli altri i mezzi di giudicare. Non lasciar conoscere una opinione perch si sicuri della sua falsit affermare che si possiede la certezza assoluta. Tutte le volte che si tronca una discussione, si afferma, soltanto con questo, la propria infallibilit: e la condanna di un tal modo di procedere si potrebbe benissimo basare su questo solo argomento. Disgraziatamente pel buon senso degli uomini, il fatto della loro fallibilit lungi dall'avere, nel loro giudizio pratico, l'importanza che essi gli accordano in teoria. In realt, mentre ciascuno di essi sa benissimo d'esser fallibile, un piccolo numero d'uomini soltanto trovano necessario di prendere delle precauzioni a questo riguardo, e di ammettere l'ipotesi che una opinione di cui essi si sentano certi possa servire ad esempio dell'errore a cui si riconoscono soggetti. I principi assoluti, o altre persone avvezze a una deferenza illimitata, hanno di solito questa piena fiducia nelle loro opinioni in quasi tutti gli argomenti; gli uomini aventi una posizione fortunata, che tentano talvolta discutere le loro opinioni e che non hanno del tutto perduto l'abitudine di essere corretti quando s'ingannano, pongono la stessa fiducia senza limiti in quelle loro opinioni a cui partecipano quelli che li circondano o quelli pei quali essi hanno una deferenza abituale; poich in proporzione della mancanza di fiducia dell'uomo nel suo personale giudizio, egli presta una fede pi cieca all'infallibilit del _mondo_ in generale. E il _mondo_ , per ciascun individuo, la parte di mondo colla quale egli a contatto: il suo partito, la sua setta, la sua chiesa, la sua classe sociale; e, comparativamente, si pu dire di un uomo che ha uno spirito largo e liberale, quando questa parola _mondo_ significa per lui il suo paese o il suo secolo. La fede dell'uomo in questa autorit collettiva non scossa n punto n poco, per quanto egli sappia che altri secoli, altri paesi, altre sette, altre chiese, altri partiti hanno pensato e pensano esattamente il contrario. Esso incarica il suo proprio mondo d'aver ragione contro i mondi dissidenti degli altri uomini e non si turba mai alla idea che il puro caso ha deciso quale di questi mondi numerosi dovesse possedere la sua fiducia, e che le stesse cause che fanno di lui un cristiano a Londra ne avrebbero fatto un buddista a Pekino. Tuttavia la cosa in s tanto evidente, che tutti gli argomenti la potrebbero provare. I secoli non sono pi infallibili degli individui: ciascun secolo ha professato molte opinioni che i secoli seguenti hanno ritenuto non solamente false, ma assurde; ed ugualmente certo che molte opinioni oggi da tutti professate saranno abbandonate dai secoli venturi, come molte opinioni in altri tempi comuni sono abbandonate dal secolo presente. L'obbiezione che probabilmente si far a questo argomento potrebbe forse prendere la forma seguente. Non c' una pretesa pi grande d'infallibilit nell'ostacolo posto alla propagazione dell'errore che in qualunque altro atto dell'autorit. Il giudizio dato all'umanit, perch essa ne faccia uso; perch se ne pu fare un uso cattivo, bisogna dire agli uomini ch'essi non se ne dovrebbero servire del tutto? Nel proibire quel ch'essi credono dannoso essi non pretendono d'essere esenti d'errore, essi non fanno che adempire il dovere, per essi imprescindibile (sebbene siano fallibili) di agire secondo la loro convinzione coscienziosa. Se poi non dovessimo mai agire secondo le nostre opinioni, perch le nostre opinioni possono essere false, noi trascureremmo di curare tutti i nostri interessi, di compiere tutti i nostri doveri; un'obbiezione applicabile a qualunque condotta in generale, non pu essere un'obbiezione forte contro una data condotta in particolare. Dovere dei governi e degli individui di formarsi le opinioni pi vicine al vero che sia possibile, di formarsele accuratamente, di non imporle agli altri senza essere perfettamente sicuri di aver ragione. Ma quando essi ne sono sicuri (cos parlano i nostri avversari) non sarebbe coscienziosit ma poltroneria il non agire secondo la propria opinione e lasciar propagarsi liberamente delle dottrine che in coscienza si trovano pericolose al benessere della umanit, sia in questa, sia nella vita futura; e tutto questo perch altri popoli, in tempi meno illuminati, hanno perseguitato delle opinioni che oggid si credono vere. I nostri avversari aggiungono: ci si dir, guardiamoci dal cadere nello stesso errore. Ma i governi e le nazioni hanno commesso degli errori a proposito di altre cose sulle quali si ritiene che possa senza alcun inconveniente essere esercitata l'autorit pubblica; essi hanno levato delle imposte cattive, hanno fatto delle guerre ingiuste. E noi dovremo per questo non levar pi alcuna imposta e non far pi delle guerre, non ostante qualunque provocazione? Gli uomini e i governi debbono agire meglio che possono; la certezza assoluta non c', ma ce n' a sufficienza pei bisogni della vita; e noi possiamo e dobbiamo affermare che la nostra opinione vera per la direzione della nostra condotta e non affermiamo nulla di pi coll'impedire che si pervertisca la societ colla propagazione di opinioni che noi riteniamo false e perniciose. Io rispondo che cos si afferma ben di pi. C' una grandissima differenza tra il presumere che una opinione sia vera, perch, con tutti i mezzi d'esser confutata, essa non ha potuto esserlo, e l'affermare la sua verit allo scopo di non permetterne la confutazione. La libert completa di contraddire e di disapprovare la nostra opinione la condizione appunto che ci permette di affermare la sua verit da un punto di vista pratico; un essere umano non pu avere in altro modo l'assicurazione razionale di esser nel vero. Quando noi consideriamo, vuoi la storia dell'opinione, vuoi la condotta ordinaria della vita umana, a che si pu attribuire se l'una e l'altra non sono peggiori di quel che sono? Non certamente alla forza inerente all'intelligenza umana, poich su qualunque soggetto che non sia per s stesso evidente, una sola persona su cento sar capace di giudicare. Ancora: la capacit di questa unica persona non che relativa; poich la maggioranza degli uomini eminenti di ciascuna generazione passata ha sostenuto molte opinioni oggid ritenute erronee, e fatte od approvate molte cose che nessuno oggid giustificherebbe. Come avviene dunque che, dopo tutto, nella specie umana, c' una preponderanza di opinioni e di condotta razionali? Se questa preponderanza esiste davvero ed quanto dev'essere, a meno che gli affari umani non siano e non siano stati sempre in uno stato quasi disperato essa dovuta ad una qualit dello spirito umano, la sorgente di tutto quanto vi ha di rispettabile nell'uomo, sia come essere intellettuale, sia come essere morale: la possibilit di correggere i propr errori. L'uomo capace di correggere i suoi sbagli con la discussione e l'esperienza. E non con la sola esperienza: occorre la discussione per vedere come quella si deva interpretare. Le opinioni ed i costumi falsi cedono gradualmente davanti al fatto e all'argomento; ma perch i fatti e gli argomenti producano qualche impressione sullo spirito, necessario che gli vengano presentati. Pochissimi fatti possono dire la loro storia essi stessi, senza commenti che ne spieghino il significato. Poich dunque tutta la forza e tutto il valore del giudizio dell'uomo poggiano su questa propriet ch'egli possiede, di poter essere corretto quando fuor di strada, non permesso di porre in esso qualche fiducia se non quando si hanno ben sotto mano i mezzi di raddrizzarlo. Come ha fatto un uomo il cui giudizio merita realmente fiducia? Egli ha posto attenzione a tutte le critiche sulla sua opinione e sulla sua condotta, ha avuto per abitudine d'ascoltare tutto quello che si poteva dire contro di lui, di trarne profitto in quanto era giusto, e d'esporre a s stesso ed agli altri, all'occasione, la falsit di ci che non era se non un sofisma; egli ha compreso che il solo mezzo col quale un essere umano possa giungere alfine a conoscere a fondo un soggetto quello di ascoltare ci che ne possono dire delle persone di tutte le opinioni, e di studiare tutti i modi onde esso pu esser lumeggiato dalle diverse intelligenze. Mai alcun saggio acquist diversamente la sua saggezza, e non nella natura dell'intelligenza umana il divenir saggio in altro modo. La costante abitudine di correggere e di completare la propria opinione, paragonandola con quella degli altri, lungi dal cagionare dubbio ed esitazione nel metterla in pratica, il solo fondamento stabile di una giusta fiducia in questa opinione. In realt, poich l'uomo saggio conosce tutto quello che, secondo probabilit, si pu dire contro di lui, ed ha assicurato la sua posizione contro qualunque avversario, sapendo che, lungi dall'evitare le obbiezioni e le difficolt, egli andato a cercarle e non ha rinunciato ad alcun modo di lumeggiare il soggetto, quest'uomo ha diritto di pensare che il suo giudizio val meglio che quello di non importa qual persona o quale moltitudine, la quale non abbia usati gli stessi mezzi. Non un pretendere troppo l'imporre al pubblico, a quest'accolta variopinta di pochi saggi e di molti sciocchi, le stesse condizioni che gli uomini pi sapienti, quelli che hanno pi ragione di fidarsi del loro giudizio, considerano garanzie necessarie alla loro fiducia in loro stessi. La pi intollerante delle chiese, la chiesa romana cattolica, anche quando trattasi della canonizzazione di un santo, ammette ed ascolta pazientemente un _avvocato del diavolo_; sembra che i pi santi fra gli uomini non possano essere ammessi ai postumi onori se non quando sia noto e ben ponderato quanto il diavolo pu dire contro di essi. Se non fosse stato permesso di porre in dubbio la filosofia di Newton, la specie umana non potrebbe con tutta certezza tenerla per vera. Le credenze per le quali noi abbiamo le maggiori garanzie non poggiano se non su di una protezione: l'invito costante al mondo intiero di dimostrare la loro falsit. Se la sfida non accettata, o se essa accettata e la prova non riesce, noi siamo ancora abbastanza lungi dalla certezza, ma abbiamo fatto tutto quello che lo stato presente della ragione umana ci permette di fare; noi non abbiamo trascurato nulla di ci che poteva fornirci un mezzo di raggiungere la verit. E, restando il campo sempre aperto, noi possiamo sperare che, se esiste una verit migliore, la si trover quando lo spirito umano sar capace di accoglierla; e, nell'attesa, possiamo esser certi di esserci avvicinati alla verit di quanto era possibile nel tempo nostro. Ecco tutta la certezza a cui possa arrivare un essere fallibile, ed ecco la sola strada per arrivarci. strano che gli uomini riconoscano il valore degli argomenti in favore della libera discussione, ma che non vogliano saperne di portar questi argomenti alle ultime conseguenze, non vedendo che, se queste ragioni non servono anche per un caso estremo, esse non hanno alcun valore. Altra cosa bizzarra: essi non credono di darsi l'aria d'infallibili, quando riconoscono che la discussione deve essere libera su tutti i soggetti i quali possano essere _dubbiosi_, e pensano, nello stesso tempo, che al di sopra della discussione si dovrebbe porre una dottrina, un punto particolare, perch esso cos _certo_... che quanto dire _perch essi sono cos certi_ che certo! Tenere una cosa per certa, finch esiste un essere umano pronto a negarne la certezza, se lo potesse, ma a cui lo si impedisce, affermare che noi, e quelli che seguono la nostra opinione, siamo i giudici della certezza, e giudichiamo senza sentir tutte e due le campane Nel nostro secolo, che si rappresentato come privo di fede ma come pauroso dello scetticismo, poich gli uomini si sentono assicurati non tanto dalla verit delle loro opinioni quanto dalla loro necessit, i diritti di un'opinione ad esser protetta contro un pubblico assalto riposano sulla sua importanza per la societ, piuttosto che sulla sua verit. Vi sono si va dicendo certe credenze cos utili, per non dire indispensabili al benessere, che i governi hanno dovere di proteggerle quanto di proteggere qualunque altro degli interessi della societ. In un caso di necessit cos assoluta, che fa parte cos evidente del loro dovere, si sostiene che anche qualcosa di meno dell'infallibilit pu permettere ai governi ed anche obbligarli ad agire secondo la loro opinione, confermata dall'opinione generale della umanit. Si dice pure spesso, e anche pi spesso si pensa questo: nessuno, salvo un uomo vizioso, vorrebbe indebolire tali salutari credenze, e nulla ci pu essere di male a raffrenare degli uomini viziosi ed a proibire ci ch'essi soli vorrebbero fare. Questo modo di pensare fa, della giustificazione delle restrizioni che alla discussione s'impongono, una questione non di verit, ma di utilit, e si lusinga di sottrarsi in questo modo alla responsabilit della pretesa d'essere infallibile. Ma quelli che si contentano di cos poco non si accorgono che la pretesa all'infallibilit semplicemente spostata da un punto ad un altro. L'utilit stessa di una opinione affare di opinione; essa si presta alla discussione, e la richiede altrettanto che l'opinione stessa. C' lo stesso bisogno di un giudice infallibile di opinioni per decidere che una opinione dannosa, come per decidere ch'essa falsa, quando l'opinione condannata non abbia tutta la facilit di difendersi. Ed inutile dire che si pu permettere ad un eretico di sostenere l'utilit o l'innocenza della sua opinione, sebbene gli s'impedisca di sostenerne la verit: la verit d'una opinione fa parte della sua utilit: quando noi vogliamo sapere se sia o no desiderabile che un'opinione sia creduta, mai possibile d'escludere la considerazione della sua verit o della sua falsit? Nell'opinione, non degli uomini viziosi, ma dei migliori, nessuna credenza contraria alla verit pu essere realmente utile; e potete voi impedire a costoro di fare una tale apologia, quando siano perseguitati per aver negato qualche dottrina che loro si dice esser utile, ma ch'essi credono falsa? Quelli che seguono le opinioni gi ammesse non trascurano mai di trarre tutto il profitto possibile da questa scusa; voi non li trovate mai a trattare la questione dell'utilit, come se la si potesse separare completamente dalla questione della verit. Al contrario, sopratutto perch la loro dottrina la _verit_, che indispensabile di conoscerla o di crederci. Non vi pu essere discussione leale sulla questione di utilit, quando una soltanto delle parti pu far uso di un argomento cos vitale. E in linea di fatto, quando la legge o il sentimento pubblico non permettono di discutere la verit d'un'opinione, mostrano la stessa tolleranza verso chi negasse la sua utilit: tutto quello che essi permettono un'attenuazione della sua necessit assoluta o del delitto positivo di negarla. Per mostrare pi chiaramente quanto male si faccia col rifiutar d'ascoltare delle opinioni perch noi le abbiamo condannate in anticipazione nel nostro proprio giudizio, sarebbe desiderabile stabilire la discussione su di un caso determinato. Io scelgo di preferenza i casi che mi sono meno favorevoli, quelli nei quali l'argomento contro la libert di opinione, e dal punto di vista della verit, e dal punto di vista della utilit, considerato come il pi forte. Poniamo che le opinioni combattute, siano la credenza in Dio o in una vita futura o non importa qual altra fra le dottrine di morale generalmente accettate. Dar battaglia su questo terreno come offrire un gran vantaggio a un avversario di mala fede, poich esso dir sicuramente (e con lui molte persone che non desiderano punto d'essere in mala fede): Queste sono dunque dottrine che voi non ritenete abbastanza certe per esser poste sotto la protezione della legge? La credenza in Dio una di quelle opinioni di cui non si pu sentirsi sicuro, senza pretendere all'infallibilit? Ma io domando che mi si permetta di notare come il sentirsi certo di una dottrina, qualunque essa sia, non ci che io dico pretendere all'infallibilit. Io, con questo, intendo il mettersi a decidere una tale questione anche per conto degli altri, senza permetter loro di sentire ci che si pu obiettare dall'altro canto. Io non denuncio e non biasimo meno questa pretesa, se essa si fa innanzi per sostenere le mie pi solenni convinzioni. Un uomo ha un bell'essere positivamente convinto, non soltanto della falsit, ma anche delle conseguenze perniciose, non soltanto delle conseguenze perniciose, ma anche (per adoperar delle espressioni che io pienamente condanno) dell'immoralit e della empiet di un'opinione; se nondimeno, in conseguenza di questo giudizio personale (ed anche quando sia pure sostenuto dal giudizio pubblico del suo paese o dei suoi contemporanei), egli impedisca a questa opinione di parlare in propria difesa, egli afferma la propria infallibilit. E questa affermazione ben lungi dall'essere meno pericolosa o meno biasimevole perch l'opinione detta immorale od empia; al contrario, questo il caso pi fatale di tutti. Queste sono precisamente le occasioni in cui gli uomini commettono quegli spaventevoli errori che eccitano la stupefazione e l'orrore della posterit. Noi ne troviamo degli esemp memorabili nella storia, quando vediamo il braccio della legge occupato a distruggere gli uomini migliori e le pi nobili dottrine: e questo, pur troppo con grande successo quanto agli uomini; quanto alle dottrine, parecchie hanno sopravvissuto, per essere proprio (quasi per derisione) invocate in difesa di una simile condotta verso di quelli che non le accettavano, o che ne rifiutavano la interpretazione comune. Non si pu ricordare abbastanza sovente alla specie umana che vi stato un uomo, il quale si chiam Socrate, e che vi fu un memorabile conflitto tra quest'uomo da una parte e le autorit legali e l'opinione pubblica dall'altra. Egli era nato in un secolo e in un paese ricchi di grandezze individuali; la sua memoria ci stata trasmessa da quelli che conoscono meglio lui e l'et che fu sua, come la memoria dell'uomo pi virtuoso del suo tempo. Noi lo conosciamo al tempo istesso come il caposcuola e il prototipo di tutti quei grandi maestri di virt che vennero dopo di lui, attraverso la sorgente e dell'inspirazione di Platone e del giudizioso utilitarismo di Aristotele, i maestri di color che sanno, i due creatori di qualunque filosofia, etica e non etica. Questo maestro riconosciuto da tutti i pensatori eminenti a lui posteriori; quest'uomo la cui gloria sempre crescente da pi che duemila anni supera quella di tutti gli altri nomi che resero illustre la sua citt natale, fu mandato a morte dai suoi concittadini, dopo una condanna legale, come colpevole d'empiet e d'immoralit. Empiet, perch negava gli dei riconosciuti dallo Stato; a vero dire il suo accusatore affermava ch'egli non credeva in alcuno (vedi l'_Apologia_). Immoralit, perch corrompeva la giovent con le sue dottrine e coi suoi insegnamenti. Si hanno tutte le ragioni per credere che il tribunale lo abbia trovato, in coscienza, colpevole di questi delitti; ed esso condann ad esser mandato a morte come un volgare malfattore l'uomo che fra i suoi contemporanei era probabilmente il pi benemerito verso la specie umana. Passiamo all'altro, unico esempio d'iniquit giudiziaria per ricordare il quale, dopo la morte di Socrate, non si deva scendere un gradino pi basso. Noi alludiamo all'avvenimento che si comp sul Calvario, pi che diciotto secoli or sono. L'uomo che lasci in tutti quelli che l'avevano veduto e sentito una tale impressione della sua grandezza morale, che diciotto secoli hanno reso omaggio a lui come all'Onnipotente, fu condannato a morte ignominiosa. Perch? Come bestemmiatore. Non soltanto gli uomini non riconobbero punto il loro benefattore, ma lo presero pel contrario esatto di quello ch'egli era, e lo trattarono come un prodigio d'empiet. Ed ora son ritenuti essi come tali, a cagione del modo con cui lo trattarono. I sentimenti che animano oggi la specie umana a proposito di questi dolorosi avvenimenti, la rendono estremamente ingiusta nel loro giudizio sugli sciagurati attori. Questi, secondo ogni apparenza, non erano peggiori della generalit degli uomini: erano all'incontro uomini che possedevano in modo completo, pi che completo forse, i sentimenti religiosi, morali e patriotici del loro tempo e del loro paese; di quegli uomini insomma che sono fatti in ogni tempo, compreso il nostro, per traversar la vita rispettati e senza macchia. Quando il gran sacerdote si stracci gli abiti sentendo pronunciar le parole che, secondo le idee del suo paese, costituivano il pi nero dei delitti, la sua indignazione e il suo orrore erano probabilmente cos sinceri, come oggi i sentimenti morali e religiosi professati dalla generalit delle persone pie e rispettabili. E molti di quelli che ora fremono della sua condotta, avrebbero agito esattamente allo stesso modo, se avessero vissuto in quell'epoca, e fossero stati ebrei. I cristiani ortodossi che son tentati a credere uomini assai peggiori di loro quelli che lapidarono i primi martiri, dovrebbero ricordarsi che san Paolo fu tra questi persecutori. Aggiungiamo ancora un esempio: quello che colpisce pi di tutti, se vero che l'errore fa tanto maggiore impressione quanto pi grande la saggezza e la virt di chi lo commette. Se mai un monarca ebbe ragione di credersi migliore e pi illuminalo di chiunque fra i suoi contemporanei, fu l'imperatore Marco Aurelio. Padrone assoluto di tutto il mondo civile, egli dimostr per tutta la vita non solo la pi pura giustizia, ma anche ci che meno si sarebbe atteso dalla sua educazione stoica il cuore pi tenero. I pochi errori che gli si attribuiscono vengono tutti dalla sua indulgenza, mentre i suoi scritti, le pi elevate produzioni morali dell'antichit, differiscono appena, se pure ne differiscono, dai pi caratteristici insegnamenti di Cristo. Quest'uomo, miglior cristiano in tutto, tranne che nel senso dogmatico della parola, della maggior parte dei sovrani ostensibilmente cristiani che regnarono poi, perseguit il cristianesimo. Padrone di tutte le precedenti conquiste dell'umanit, dotato d'una intelligenza aperta e libera e d'un carattere che lo portava a compenetrare nei suoi scritti morali l'ideale cristiano, egli tuttavia non vide che il cristianesimo, coi doveri di cui era cos profondamente penetrato, era un bene e non un male pel mondo. Egli sapeva che la societ d'allora era in uno stato deplorevole. Ma per deplorevole che fosse, egli vedeva o credeva di vedere ch'essa non si poteva con sicurezza salvare da uno stato anche peggiore, se non colla fede e col rispetto per gli dei tradizionali. Come sovrano egli si credeva in dovere di non lasciare che la societ si dissolvesse e non vedeva come, se si toglievano i legami esistenti, se ne sarebbero potuti formare degli altri capaci di rattenerla. La nuova religione mirava apertamente a spezzar questi legami; dunque, a meno che non fosse suo dovere di adottar questa religione, sembrava che fosse suo dovere di distruggerla. Dal momento che la teologia del cristianesimo non gli sembrava vera n d'origine divina, dal momento che egli non poteva credere a questa strana istoria d'un Dio crocifisso, n prevedere che un sistema riposante su d'una simile base avesse l'influenza rinnovatrice che si sa, il pi dolce e il pi amabile dei filosofi e dei sovrani, guidato da un solenne sentimento del dovere, fu costretto a permettere la persecuzione del Cristianesimo. A mio vedere, questo uno dei fatti pi tragici della storia. triste di pensare come avrebbe potuto esser diverso il nostro cristianesimo, se la fede cristiana fosse stata adottata come religione dell'Impero da Marco Aurelio invece che da Costantino. Ma sarebbe ingiustizia e falsit ad un tempo il negare che Marco Aurelio, per punire come fece la propaganda cristiana, abbia avuto dalla sua tutte le scuse che si possono addurre per punire le dottrine anticristiane. Un cristiano crede fermamente che l'ateismo sia un errore e un principio di dissoluzione sociale; ma Marco Aurelio pensava lo stesso del Cristianesimo: egli, che di tutti i viventi allora si sarebbe potuto credere il pi capace di apprezzarlo. Dunque, ogni avversario della libert di discussione si astenga dall'affermare, ad un tempo, l'infallibilit propria e quella della moltitudine, come fece con s miseri risultati il grande Antonino, se non si lusinga d'essere pi saggio e pi buono di Marco Aurelio, pi profondamente versato nella sapienza del proprio tempo, d'uno spirito che meglio di quello si elevi sull'ambiente, di maggior buona fede nella ricerca della verit o di pi sincero attaccamento alla verit una volta trovata. Riconoscendo l'impossibilit di difendere le persecuzioni religiose con argomenti che non bastano a giustificare un Marco Aurelio, i nemici della libert religiosa accettano talvolta, quando sono messi proprio alle strette, questa conseguenza; e dicono col dottor Johnson che i persecutori del cristianesimo erano nel vero, che la persecuzione una prova cui la verit deve attraversare e attraversa e sempre con successo, dappoich, alla fin dei conti, le penalit legali sono senza forza contro la verit, sebbene siano talvolta utili contro errori dannosi. Questa forma dell'argomento in favore dell'intolleranza religiosa notevole abbastanza perch ci si trattenga un momento. Una teoria la quale sostiene che lecito perseguitare la verit, perch la persecuzione non le fa danno, non si pu accusare d'essere _a priori_ ostile all'accoglimento di verit nuove; ma noi non possiamo lodare la generosit del suo modo d'agire verso le persone a cui la specie umana deve la scoperta di queste verit. Rivelare al mondo qualcosa che lo interessa profondamente e ch'esso fino allora ignorava, provargli ch'esso s' ingannato su qualche punto vitale del suo interesse temporale o spirituale: ecco il servigio pi importante che un essere umano possa rendere a' suoi simili; e in certi casi, come quello dei primi cristiani o dei riformatori, i seguaci dell'opinione del dottor Johnson credono che si trattasse del dono pi prezioso che si potesse fare all'umanit. Ebbene: secondo una tal teoria, trattare come i pi vili delinquenti gli autori di cos grandi benefic e ricompensarli col martirio non un errore e una deplorevole sciagura di cui l'umanit debba fare penitenza col sacco e con la cenere, ma bens uno stato di cose normale e perfettamente giustificato. Colui che propone una verit nuova dovrebbe, secondo questa dottrina, presentarsi come faceva presso i Locresi colui che proponeva una nuova legge: con una corda al collo, che si stringeva se per caso la pubblica assemblea, dopo aver sentite le sue ragioni, non adottava immediatamente la proposta. Non si pu supporre che le persone che difendono questo modo di trattare i benefattori diano un gran valore al beneficio. Ed io credo che questa maniera di lumeggiar l'argomento appartenga quasi unicamente a gente persuasa che di verit nuove si poteva aver desiderio in altri tempi, ma che ora noi ne abbiamo abbastanza. Ma sicuramente quest'affermazione che la verit trionfa sempre sulla persecuzione una di quelle comode bugie che gli uomini si ripetono gli uni agli altri finch siano passate in luoghi comuni, ma che qualunque esperienza pu confutare. La storia ci mostra costantemente la verit ridotta al silenzio dalla persecuzione; se essa non soppressa per sempre, pu essere ricacciata indietro di secoli. Per non parlar che di opinioni religiose, la riforma tent di scoppiare per lo meno venti volte prima di Lutero, e fu ridotta al silenzio. Arnaldo da Brescia, fra Dolcino, Girolamo Savonarola subirono l'estremo supplizio; gli Albigesi, i Valdesi, i Lollardisti, gli Hussiti furono distrutti; anche dopo Lutero, dovunque si seppe persistere nella persecuzione, questa fu vittoriosa; in Ispagna, in Italia, in Fiandra, in Austria il protestantesimo fu estirpato; e probabilissimamente sarebbe accaduto lo stesso in Inghilterra, se la regina Maria avesse vissuto di pi, o se la regina Elisabetta fosse morta prima. La persecuzione raggiunse sempre lo scopo, tranne dove gli eretici formavano un partito troppo potente per essere perseguitato con efficacia: Il cristianesimo nessuna persona ragionevole pu dubitarne avrebbe potuto essere estirpato dall'impero romano; e se esso si diffuse e divenne predominante fu perch le persecuzioni erano solamente accidentali, non duravano che poco tempo, ed erano separate da lunghi intervalli di propaganda, possiamo dire libera. pura retorica il dire che la verit, unicamente come tale, possiede una forza intima, che l'errore non ha, di prevalere contro le prigioni e il rogo; gli uomini non hanno pi zelo per la verit di quello che, spesso, abbiano per l'errore; ed una sufficiente applicazione di penalit legali o anche soltanto sociali riuscir il pi delle volte ad arrestare il propagarsi sia dell'una sia dell'altro. Il vantaggio reale che la verit possiede consiste in questo: che, quando un'opinione vera, si pu ben soffocarla pi volte; essa riappare di continuo nel corso dei secoli, fin quando una delle sue riapparizioni cade in un'epoca in cui, per una serie di circostanze favorevoli, essa sfugge alla persecuzione, per tanto tempo almeno, quanto le basti ad acquistare la forza di poterle resistere pi tardi. Ci si dir che noi ora non condanniamo pi a morte quelli che introducono delle nuove opinioni; non siamo come i nostri padri, che massacravano i profeti: anzi, fabbrichiamo loro dei sepolcri. vero, noi non mettiamo a morte gli eretici, e tutte le pene che il sentimento moderno potrebbe tollerare, anche contro le opinioni pi odiose, non basterebbero ad estirparle. Ma non ci lusinghiamo di essere gi sfuggiti all'onta della persecuzione legale! La legge permette ancora delle penalit contro le opinioni o per lo meno contro la loro espressione, e l'applicazione di queste penalit non una cosa talmente senza esempio che si possa far conto con certezza di non vederle mai rivivere in tutto il loro vigore. L'anno 1857, alle Assise d'estate della Contea di Cornovaglia, un uomo disgraziato ma di condotta irriprovevole, si dice, in tutte le relazioni della vita fu condannato a venti mesi di carcere per aver pronunciato e scritto su di una porta alcune parole offensive pel cristianesimo[2]. Un mese dopo, a Old-Bailey, due persone in due occasioni separate, furono rifiutate come giurati[3] ed una di esse fu grossolanamente insultata dal giudice e da uno degli avvocati, perch dichiar onestamente di non aver alcuna fede religiosa. Per la stessa ragione si rifiut a una terza persona, uno straniero[4], di fargli giustizia contro un ladro. Questo rifiuto di riparazione ebbe luogo in virt della dottrina legale che una persona la quale non crede in Dio (non importa in qual Dio) e in una vita futura non pu esser ammessa a prestare testimonianza in giudizio; ci quanto dichiarare che queste persone sono fuori della legge, private della protezione dei tribunali, e che non soltanto si pu farne impunemente la vittima di furti o di vie di fatto, se esse non hanno altri testimoni che se stessi o gente della loro opinione; ma che anche tutto il mondo deve subire di questi attentati, dal momento che la prova dipende unicamente dalla loro testimonianza. Questo fondato sulla presunzione che il giuramento di una persona che non crede a una vita futura senza valore; proposizione che mostra una ignoranza grande della storia in quelli che lo ammettono (poich storicamente provato che a tutte le epoche una grande quantit di miscredenti furono uomini di rara integrit ed onorabilit); e per sostener la quale bisognerebbe non sapere neppur lontanamente quante persone riputate nel mondo per le loro virt e pel loro ingegno siano ben conosciute, almeno dai loro intimi amici, come non aventi alcuna credenza. Questa regola inoltre si distrugge da s; sotto pretesto che gli atei debbono essere mentitori, essa ammette la testimonianza di tutti gli atei capaci di mentire, e rifiuta soltanto quelli che sfidano la disgrazia di confessare pubblicamente una opinione detestata piuttosto che affermare una menzogna. Una regola che si abbatte cos da s, dal punto di vista dello scopo che si propone, non pu essere mantenuta che come un tributo d'odio, un resto di persecuzione: con questa particolarit, che la ragione per incorrervi la prova ben certa che non la si merita punto. Questa regola e la teoria ch'essa implica non sono meno offensive per i credenti che pei miscredenti; poich se colui che non crede ad una vita futura necessariamente un mentitore, naturalmente quelli che ci credono non sono trattenuti dal mentire se pure lo sono che dal timore dell'inferno. Noi non faremo agli autori e ai seguaci di questa regola l'ingiuria di supporre che l'idea ch'essi si sono formata della virt cristiana sia tratta dalla loro propria coscienza. In verit, questi non sono che dei lembi e dei resti di persecuzione e si pu considerarli non come un indizio del desiderio di perseguitare, ma piuttosto come esemp di una infermit molto frequente negli spiriti inglesi, che fa provare ad essi un piacere assurdo ad affermare un cattivo principio, anche quando non siano pi abbastanza malvagi per desiderare realmente di metterlo in pratica. Ma pur troppo non si pu esser sicuri se continuer o no, nello stato dello spirito pubblico, questa sospensione delle pi odiose forme di persecuzione legale, che dura da circa sessant'anni: nel nostro secolo, la quieta superficie della _routine_ turbata da tentativi fatti altrettanto spesso per risuscitare dei mali passati che per introdurre dei beni nuovi. Quello di cui ora ci si vanta come del rinascere della religione, sempre almeno altrettanto, negli spiriti angusti ed incolti, il rinascere del fanatismo; e quando c' nel sentimento di un popolo il lievito permanente e potente d'intolleranza che ferment in ogni tempo in mezzo alle classi medie del nostro paese, non occorre molto per sospingerlo a perseguitare attivamente quelli ch'essi non hanno mai cessato di considerare degni di persecuzione[5]. Poich sono proprio le opinioni dagli uomini professate e i sentimenti ch'essi nutrono a proposito dei dissidenti, quanto alle credenze stimate importanti, che fanno di questo paese un luogo dove la libert del pensiero non esiste. Gi da molto tempo, l'unico torto delle penalit legali quello di sostenere e di rafforzare lo stigmate sociale. Questo stigmate soltanto veramente efficace; e lo talmente, che in Inghilterra assai meno di frequente si professano le opinioni messe al bando della societ, di quello che in altri paesi si confessino le opinioni che portano per conseguenza punizioni legali. Per tutte le persone, eccettuate quelle che la fortuna ha reso indipendenti dal giudizio degli altri, l'opinione su questo soggetto altrettanto efficace quanto la legge: gli uomini potrebbero allo stesso modo essere imprigionati che privati dei mezzi di guadagnarsi il pane. Coloro che hanno il pane assicurato, e che non attendono il favore, n degli uomini al potere, n di alcun corpo, n del pubblico, non hanno nulla a temere per una dichiarazione franca di non importa quale opinione salvo che di essere un po' bistrattati nel pensiero e nelle parole degli altri: per sopportar la qual cosa non occorre loro un grande eroismo: non c' alcun appello _ad misericordiam_ in favore di tali persone. Ma, sebbene noi non infliggiamo dei mali cos grandi come un tempo a quelli che come noi non pensano, pure danneggiamo noi stessi come, forse, non abbiamo mai fatto, col nostro modo di trattarli. Socrate fu condannato a morte, ma la sua filosofia si elev come il sole nei cieli e diffuse la sua luce per tutto il firmamento intellettuale; i cristiani furono dati in pasto a' leoni, ma la chiesa cristiana divenne un albero magnifico, che super gli alberi pi vecchi e meno vigorosi e li soffoc dell'ombra sua. La nostra intolleranza, puramente sociale, non uccide alcuno, non estirpa alcuna opinione, ma costringe gli uomini a nascondere le loro opinioni o ad astenersi da qualunque sforzo efficace per diffonderle. Con noi, le opinioni eretiche non guadagnano e neppure perdono molto terreno a ciascuna dcade o a ciascuna generazione; ma non brillano mai di vivo splendore, e continuano a covare in quella ristretta cerchia di pensatori e sapienti d'onde esse sono uscite, senza mai proiettare sulle cose umane una luce, sia vera, sia falsa. E cos si mantiene uno stato di cose soddisfacentissimo per una certa qualit di spiriti, perch esso conserva tutte le opinioni preponderanti in una calma apparente, senza la spiacevole formalit di condannare alcuno alla multa o alla prigione, mentre non proibisce assolutamente l'uso della ragione ai dissidenti afflitti dalla malattia del pensiero: sistema ottimo per mantener la pace nel mondo intellettuale, e per lasciar che le cose vadano press'a poco col: _cos faceva mio padre._ Ma il prezzo di questo modo di pacificazione il sacrificio completo di tutto il coraggio morale dello spirito umano: uno stato di cose in conseguenza del quale la maggior parte degli spiriti attivi ed investigatori trovano utile di tenere per s i veri motivi delle loro convinzioni, e si sforzano, parlando in pubblico, di adattare quel che possono del loro modo di pensare a premesse che, nel loro interno, essi negano, non pu produrre di quei caratteri franchi e arditi, di quelle intelligenze logiche e sode che in altri tempi ornarono il mondo dei pensatori. La specie d'uomini che si pu attendere sotto questo regime presenta o dei semplici schiavi del luogo comune o dei servitori guardinghi della verit, i cui argomenti sopra tutti i grandi soggetti sono proporzionati al loro uditorio, e non sono quelli di cui essi stessi si appaghino. Gli uomini che evitano questa alternativa ci riescono limitando il loro pensiero e il loro interessamento a quelle cose di cui si pu parlare senza arrischiarsi nella region dei princip; cio ad un piccolo numero di materie pratiche che riescirebbero a grandi cose per s stesse, se l'intelligenza umana acquistasse forza e vastit, e che non vi riusciranno mai fintanto che quello che rafforzerebbe ed estenderebbe lo spirito umano un libero ed audace esame dei soggetti pi elevati lasciato in abbandono. Gli uomini agli occhi dei quali questo silenzio degli eretici non un male dovrebbero considerare anzitutto che, in conseguenza di un tal silenzio, le opinioni eterodosse non sono mai discusse e approfondite in modo leale, cosicch quelle fra esse che non potrebbero sostenere una tale discussione non iscompajono, per quanto forse s'impedisca ad esse di estendersi. Ma non allo spirito degli eretici che nuoce di pi la proibizione di tutte le ricerche le cui conclusioni non sono ortodosse; quelli che ne soffrono di pi sono gli ortodossi stessi, il cui sviluppo intellettuale impacciato e la cui ragione raffrenata dal timor dell'eresa. Chi pu calcolare tutto ci che il mondo perde con una tale quantit di belle intelligenze alleate a caratteri timidi, che non osano abbandonarsi a un modo di pensare ardito, vigoroso, indipendente, per paura di giungere ad una conclusione irreligiosa o immorale agli occhi di qualcuno? E voi vedete qualche volta un uomo profondamente coscienzioso, d'un'intelligenza sottile e raffinata, che passa la vita a sofisticare colla intelligenza, che egli non pu ridurre al silenzio, e che esaurisce tutte le qualit dello spirito per conciliare le inspirazioni della sua coscienza e della sua ragione con l'ortodossia, cosa a cui, dopo tutto, egli forse non riesce. Nessuno pu essere grande pensatore se non considera come suo primo dovere, in qualit di pensatore, di seguire la sua intelligenza dovunque essa lo possa condurre; la societ guadagna sempre di pi anche dagli errori d'un uomo il quale, dopo lo studio e la preparazione voluta, pensa con la sua testa, che dalle opinioni giuste di quelli che le professano soltanto perch non si permettono di pensare. Non gi che la libert di pensiero sia necessaria unicamente o principalmente per formare dei grandi pensatori; anzi, essa altrettanto ed anche pi indispensabile per rendere la media degli uomini capace di raggiungere l'altezza intellettuale che la loro attitudine comporta. Ci sono stati, ci potranno essere ancora dei grandi pensatori individuali in un'atmosfera di generale schiavit dell'intelligenza; ma non c' mai stato e non ci sar mai, in questa atmosfera, un popolo intellettualmente attivo. Dovunque un popolo ha posseduto temporaneamente questa attivit, ci avvenne perch il timore delle speculazioni eterodosse era, per qualche poco, sospeso; ma dove sottinteso tacitamente che i princip non devono essere discussi, dove la discussione sulle pi grandi questioni che possano occupare l'umanit considerata come chiusa, non si pu certo aspettarsi di trovare quel livello elevato d'attivit intellettuale che ha reso cos notevoli certe epoche della storia. Mai lo spirito di un popolo fu rinnovato fino dai fondamenti, mai fu dato l'impulso che eleva anche gli uomini dell'intelligenza pi ordinaria alla dignit di esseri pensanti, l dove la discussione evitava gli argomenti vasti ed importanti abbastanza per suscitar l'entusiasmo. L'Europa ne ha viste parecchie, di queste epoche brillanti: la prima, subito dopo la Riforma; un'altra, sebbene limitata al continente ed alla classe pi colta, durante il movimento speculativo della seconda met del secolo decimottavo, ed una terza, di durata ancora pi corta, nel fermento intellettuale di Germania, al tempo di Goethe e di Fichte. Queste tre epoche differiscono enormemente quanto alle opinioni particolari ch'esse svilupparono, ma si rassomigliano in questo: che, durante tutte e tre, il giogo dell'autorit fu spezzato; durante ciascuna di esse, un vecchio dispotismo intellettuale era stato detronizzato e non era ancora stato sostituito da uno nuovo. L'impulso dato da ciascuna di queste tre epoche ha fatto dell'Europa ci ch'essa ora; qualunque progresso si prodotto, sia nello spirito, sia nelle instituzioni umane, risale in modo evidente all'una o all'altra di queste epoche; ma tutto, da qualche tempo, accenna a dimostrare che questi tre impulsi hanno quasi perduta la forza loro e che noi non possiamo attenderci un nuovo slancio, prima di aver di bel nuovo conquistata la nostra libert intellettuale. Passiamo ora alla seconda parte dell'argomento. Abbandonando l'ipotesi che le opinioni comunemente accettate possano essere false, ammettiamo ch'esse siano vere, ed esaminiamo che cosa valga la maniera in cui probabilmente saranno professate, se la loro verit non liberamente ed apertamente combattuta. Per quante difficolt abbia una persona a riconoscere la possibilit che un'opinione a cui essa fortemente attaccata sia falsa, dovrebbe per esser colpita dall'idea che, per vera che sia quest'opinione, la si considerer come un dogma morto e non come una verit viva e vitale, se non la si pu discutere completamente, arditamente e di spesso. C' una classe di persone (fortunatamente non proprio cos numerosa come un tempo) a cui basta che gli altri si schierino fra i loro seguaci, anche quando essi non conoscano punto i motivi di questa opinione e siano incapaci di difenderla contro le obbiezioni pi superficiali. Quando tali persone sono giunte a far insegnare dall'autorit il loro _credo_, esse pensano naturalmente che dal permetterne la discussione non pu derivare che male. Dovunque domina la loro influenza, rendono quasi impossibile di confutare con saggezza e cognizione di causa l'opinione comune, sebbene si possa ancora confutarla inconsideratamente e con ignoranza, poich impedire completamente la discussione impossibile; e se essa giunge a farsi strada, alcune credenze che non sono fondate sulla persuasione cederanno facilmente davanti alla pi leggiera parvenza d'argomento. Ora, pure escludendo anche questa possibilit, pure ammettendo che l'opinione vera rimanga nello spirito; se essa vi rimane allo stato di pregiudizio, di credenza che non iscaturisce da un'argomentazione n dalla prova di una argomentazione, non questo il modo con cui un essere ragionevole deve professare la verit. La verit cos professata non che una superstizione di pi che per caso si appiccica a parole enuncianti una verit. Se l'intelligenza e il giudizio della specie umana debbono essere coltivati una cosa che almeno i protestanti non negano queste facolt non si possono meglio esercitare che su argomenti i quali interessano l'uomo tanto da vicino, da ritenersi necessario per lui di avere delle opinioni in proposito. Se la coltura del nostro giudizio deve preferire l'una piuttosto che l'altra cosa, preferir sopratutto di conoscere i motivi delle nostre opinioni. Tutto quel che si pensa sopra argomenti intorno ai quali il pensar giusto della massima importanza, si dovrebbe almeno saper difendere contro le obbiezioni comuni. Qualcuno per altro ci dir forse: S'insegnino pure agli uomini i motivi delle loro opinioni. Poich non si sono mai sentite discutere, non se ne pu dedurre che esse saranno nella memoria soltanto e non nell'intelligenza. Coloro che imparano la geometria non fanno che imparare i teoremi, ma comprendono ed imparano al tempo istesso le dimostrazioni: e sarebbe assurdo dire che essi rimangono ignoranti dei principi delle verit geometriche perch non li sentono mai negati e neppure discussi. Senza dubbio alcuno, un insegnamento di questo genere basta per un argomento come le scienze matematiche, in cui nulla affatto vi a dire sul lato falso della questione. Quello che ha di particolare l'evidenza delle verit matematiche che gli argomenti sono tutti da una parte; non v' obbiezioni, non v' risposta alle obbiezioni. Ma in qualunque soggetto sul quale possibile una divergenza di opinioni, la verit esce da un equilibrio, che si dee conservare, tra due sistemi di ragioni contraddittorie. Anche nella filosofia naturale c' sempre qualche diversa spiegazione possibile dei medesimi fatti; qualche teoria geocentrica in luogo di una teoria eliocentrica, la teoria del flogistico in luogo della teoria dell'ossigeno; e bisogna dimostrare perch quest'altra teoria non possa esser la buona, e, finch non sappiamo come ci si dimostri, noi non intendiamo i motivi della nostra opinione. Ma se poi ci volgiamo a soggetti infinitamente pi complicati, alla morale, alla religione, alla politica, alle relazioni sociali e agli affari della vita tre quarti degli argomenti in favore di ciascuna opinione discussa consistono nel distruggere le apparenze che militano per l'opinione opposta. Secondo la sua testimonianza, il secondo fra i grandi oratori dell'antichit studiava sempre la causa del suo avversario con attenzione uguale, se non maggiore, di quella con cui studiava la propria: ci che Cicerone faceva per ottenere un successo nel foro, deve essere imitato da quanti studiano un argomento, a fine di arrivare alla verit. L'uomo che non conosce se non il suo proprio parere, conosce ben poco; le sue ragioni possono anche esser buone, e pu darsi che nessuno sia capace di confutarle: ma se egli ugualmente incapace di confutare le ragioni della parte avversaria, s'egli non le conosce neppure, non ha motivo per preferire un'opinione all'altra. La sola cosa razionale che quest'uomo possa fare di sospendere il suo giudizio; ove non si contenti di questo, egli o guidato dall'autorit, o adotta, come accade in generale, la parte verso cui si sente pi inclinato. E non basta che un uomo ascolti gli argomenti dei suoi avversar dalla bocca dei propr maestri, presentati e posti come vogliono costoro e accompagnati da ci ch'essi dnno per confutazione; non questo il modo di dar buon giuoco a questi argomenti o di mettere il proprio spirito in vero contatto con essi. Si devono ascoltare dalla bocca di quelle stesse persone che ci credono, che li difendono in buona fede e con tutte le loro forze: si devono conoscere sotto le loro forme pi plausibili e pi persuasive; si deve sentire in tutta la sua forza la difficolt che rende complicato, arruffato il soggetto messo in tutta la sua luce. Altrimenti facendo, mai un uomo possieder quella parte di vero che sola capace di affrontare e vincere le difficolt. Il novanta per cento dei cos detti uomini colti, anche di quelli che possono correntemente discutere delle loro idee, si trovano in questa bizzarra condizione. La loro conclusione pu esser vera, ma potrebbe anche esser falsa senza ch'essi lo sospettassero; essi non si sono messi mai nella posizione mentale di quelli che pensano altrimenti da loro e non hanno mai meditato ci che tali persone avrebbero a dire: di conseguenza essi non conoscono, nel vero senso di questa parola, la dottrina che professano; non conoscono le parti della loro dottrina che spiegano e giustificano il resto, le considerazioni che mostrano come due fatti in apparenza contraddittori siano conciliabili, o come di due ragioni che sembrano fortissime ambedue, l'una debba esser preferita all'altra. Tali uomini sono estranei a tutta quella parte di verit che, per uno spirito davvero illuminato, quella che grava sulla bilancia e decide il giudizio. Del resto, quelli soltanto conoscono realmente, che hanno ascoltato le due parti con imparzialit e che si son provati a vederne le ragioni sotto la forma pi evidente. Questa disciplina tanto essenziale ad una giusta comprensione dei soggetti morali ed umani, che, se per le verit importanti non esistono avversari, si devono imaginare e fornir loro gli argomenti pi forti che mai possa trovare il pi abile avvocato del diavolo. Per diminuire la forza di queste considerazioni, forse un nemico della libera discussione dir: Non necessario per l'umanit in generale di conoscere e di comprendere tutto quello che pu esser detto pro e contro le sue opinioni dai filosofi e dai teologi; non indispensabile per la comune degli uomini di poter confutare tutti gli errori e tutti i sofismi d'un abile avversario: basta che vi sia sempre qualcuno capace di rispondere affinch sia confutato tutto quello che potrebbe ingannare le persone incolte. Gli spiriti ordinari, conoscendo i principi evidenti delle verit ch'essi professano, possono, pel resto, fidarsi dell'autorit; essi non hanno punto e lo sanno bene la scienza e l'ingegno necessari a risolvere tutte le difficolt che si potrebbero elevare: e la sicurezza che queste possono esser risolte da coloro che se ne occupano di proposito deve bastare alla loro tranquillit. Anche accordando a questo modo di pensare tutto quello che in suo favore possono domandare coloro a cui non gran sacrificio credere la verit senza comprenderla perfettamente, i diritti dell'uomo alla libera discussione non ne sono per nulla indeboliti; poich, secondo questa stessa dottrina, l'umanit dovrebbe avere la ragionevole sicurezza che a tutte le obbiezioni si risposto in modo soddisfacente. Ora, come si pu ad esse rispondere, se non se ne deve parlare? O come si pu sapere che la risposta soddisfacente, se coloro che sollevano obbiezioni non hanno potuto dire che essa non lo era? I filosofi e i teologi che debbono risolvere le difficolt, se non il pubblico, dovranno prendere dimestichezza con tali difficolt sotto la loro forma pi terribile, e per questo occorre che le si possano esporre liberamente e mostrare sotto il loro aspetto pi vantaggioso. La Chiesa cattolica tratta a suo modo questo imbarazzante problema: tracciando una linea di demarcazione bene spiccata tra quelli che debbono accettare le sue dottrine come materia di fede e quelli che le possono adottare per convinzione. In realt, essa non permette ad alcuno di fare una scelta di ci che egli accetter; ma il clero, l almeno ov'esso merita la sua piena fiducia; ha licenza, ed anzi si fa un merito, col prender conoscenza degli argomenti degli avversari affine di rispondere ad essi: pu per conseguenza leggere i libri eretici: i laici non lo possono senza uno speciale permesso, ottenuto assai difficilmente. Questa disciplina considera come utile agli insegnanti di conoscere la causa avversa, dando cos all'_lite_ pi coltura di spirito, se non maggiore libert, che alla massa. Con questo mezzo, essa riesce ad ottenere quella specie di superiorit intellettuale che a raggiungere il suo scopo si richiede; poich, sebbene la coltura senza la libert non abbia mai fatto uno spirito vasto e liberale, pure si pu ottenere un abile _nisi prius_ avvocato d'una causa. Ma questo vantaggio negato ai paesi che professano il protestantesimo, poich i protestanti sostengono, in teoria almeno, che la responsabilit della scelta di una religione deve pesare su ogni individuo, e non pu essere rigettata sugl'insegnanti. Del resto, nello stato presente del mondo, praticamente impossibile che le opere lette dalle persone colte siano ignorate dagli altri. Se gl'institutori dell'umanit devono essere competenti su tutto quello ch'essi son tenuti a sapere, deve essere anche permesso di tutto scrivere e di tutto pubblicare liberamente. Tuttavia se, quando le opinioni comunemente accette son vere, l'assenza della libera discussione non cagionasse altro male tranne quello di lasciar gli uomini nella ignoranza dei princip di tali opinioni, si potrebbe considerarla come un male non morale, ma semplicemente intellettuale e che non tocca per niente il valore delle opinioni quanto alla loro influenza sul carattere. Ma la verit che l'assenza di ogni discussione fa dimenticare non soltanto i principi, ma troppo spesso il senso medesimo dell'opinione; le parole che l'esprimono cessano di suggerire delle idee, o suggeriscono soltanto una piccola parte di quelle che originariamente sapevan fornire. In luogo di una concezion forte e di una credenza vivente, non resta che qualche frase ritenuta per abitudine, o, se si ritiene qualcosa del significato, soltanto il guscio e la scorza: la pi pura intima essenza va perduta. La grande importanza che questo fatto ha nella storia degli uomini non sar mai troppo seriamente studiata e meditata. Lo si vede nella storia di tutte le dottrine morali e di tutte le credenze religiose. Piene di vita e di significato per quelli che le creano e pei discepoli immediati dei creatori, esse continuano ad esser comprese altrettanto chiaramente, se non pi, finch dura la lotta per dare alla dottrina o alla credenza la supremazia sulle altre. Alla fine, o essa la vince e divien l'opinione dominante, o il suo progresso si arresta: essa conserva il terreno conquistato, ma cessa di estendersi: quando l'uno o l'altro di questi due risultati divenuto evidente, la controversia sul soggetto diminuisce e s'estingue gradualmente. La dottrina ha preso il suo posto, se non come un'opinione accetta all'universale, almeno come una delle sette o delle divisioni d'opinioni tollerate: quelli che la professano l'hanno, in generale, ereditata e non l'hanno adottata; ed essendo divenute allora fatti eccezionali le conversioni da una ad altra dottrina, i loro seguaci si danno ben poca pena per convertire. In luogo d'essere, come da principio, costantemente sul _chi vive_, sia per difendersi contro il mondo, sia per conquistarlo, essi sono giunti ad una inerte fiducia, e mai, finch possono, ascoltano degli argomenti contro la loro credenza, n incalzano i dissidenti (se ve ne sono) con argomenti in favore di essa. Da questo istante si pu di solito datare il principio della decadenza del potere vivente di una dottrina. Noi sentiamo spesso quelli che insegnano le credenze religiose lamentare la difficolt di far nascere nello spirito dei credenti una concezione viva della verit che essi nominalmente riconoscono, in modo che questa possa influire sui loro sentimenti e avere un reale impero sulla loro condotta. Nessuno si lagna certo di tale difficolt finch la credenza lotta ancora per istabilirsi; allora i pi deboli combattenti sanno essi pure e sentono lo scopo della lotta, e conoscono il divario che vi tra le loro dottrine e le altrui. Cos pure si pu, in quest'epoca in cui la credenza vive, trovare un numero di persone che ne abbiano effettuato i principi fondamentali sotto tutte le forme del pensiero, che li abbiano esaminati e pesati sotto tutti i loro aspetti importanti, e che abbian provato, quanto al carattere, tutto l'effetto che la fede in tale dottrina doveva produrre su di uno spirito profondamente di essa penetrato. Ma quando essa passata allo stato di credenza ereditaria ed accettata passivamente e non attivamente, quando lo spirito non pi cos strettamente obbligato a concentrare tutte le sue facolt sulle questioni che la sua credenza gli pone, v' una tendenza crescente a non ritenere che le formule della credenza stessa o anche a darvi un assenso inerte e indifferente. Si crede che lo accettarla come materia di fede esoneri dal praticarla in coscienza o dal farne la prova colla esperienza personale; e infine viene un momento in cui ogni rapporto quasi dispare tra questa credenza e la vita interiore dell'essere umano. Allora si vede, ci che quasi generale oggi, la credenza religiosa rimanere, per cos dire, all'estremo dello spirito, pietrificata oramai contro tutte le altre influenze che s'indirizzano alle parti elevate della nostra natura; essa manifesta il suo potere coll'impedire a qualunque convinzione nuova e vivente di penetrarvi; ma non fa, di per s, per lo spirito e pel cuore, null'altro che stare di guardia per conservarli vuoti. Si pu vedere fino a qual punto le dottrine in s capaci di produrre la pi profonda impressione sullo spirito possano restarvi allo stato di credenze morte, senza mai essere comprese dall'imaginazione, dal sentimento o dall'intelligenza, quando si esamina come la maggioranza dei credenti professa il cristianesimo. Io intendo qui per cristianesimo ci che tenuto per tale da tutte le chiese e da tutte le sette: le massime e i precetti contenuti nel Nuovo Testamento. Tutti i cristiani professanti li considerano come sacri e li accettano come legge; tuttavia, la pura verit che non c' forse un cristiano su mille che diriga o giudichi la sua condotta individuale secondo queste leggi: il modello a cui ciascuno d'essi s'inspira il costume della propria nazione, classe o setta religiosa. E cos egli ha, da una parte, una raccolta di massime morali che la divina saggezza, secondo lui, si degnata di trasmettergli come regola di condotta; e dall'altra un insieme di giudizio e di pratiche abituali che s'accordano abbastanza bene con qualcuna di queste pratiche, meno bene con qualche altra, che sono direttamente opposte ad altre ancora, e che formano insomma un mezzo termine tra la credenza cristiana e gli interessi e le suggestioni della vita del mondo. Al primo di questi modelli il cristiano presta il suo omaggio; al secondo la sua vera obbedienza. Tutti i cristiani credono che i poveri, gli umili, quanti insomma il mondo bistratta, sono ben felici; ch' pi facile a un camello passare per la cruna d'un ago di quello che sia ad un ricco entrare nel regno de' cieli; che non devono giudicare per timore d'esser giudicati essi stessi; che non devono giurare; che devono amare il prossimo come s stessi; che se alcuno si prende il loro mantello, essi devono dargli anche la loro veste; che per essere perfetti devono vendere tutto quello che hanno e darlo ai poveri. I cristiani non mentono quando dicono di credere a queste cose: vi credono come a cose che hanno sempre sentito lodare e mai sentito discutere. Ma, se per fede vivente s'intende quella che regola di condotta, essi credono a queste dottrine appunto per quel tanto che si ha l'abitudine di agire seguendole. Le dottrine, nella loro integrit, hanno il loro pregio per lapidare gli avversari, ed sottinteso che le si devono citare, per quanto possibile, come i motivi di tutto quello che gli uomini fanno o credono fare di lodevole: ma chi ricordasse loro che queste massime esigono una quantit di cose che essi non pensano e non penseranno mai di fare, non vi guadagnerebbe che d'esser posto nel novero di quelle persone impopolari che affettano d'essere migliori degli altri. Le dottrine non hanno nessuna presa sui credenti ordinari, nessun potere sui loro spiriti; essi hanno un rispetto abituale pel suono delle dottrine, ma non gi il sentimento che dalle parole va al fondo delle cose, costringendo lo spirito a prendere quest'ultime in considerazione, e tenerle come base di condotta. Tutte le volte che si tratta di condotta, gli uomini si guardano intorno per sapere da A, o da B, fino a che punto essi debbano obbedire a Cristo. Noi possiamo star sicuri che tutto l'opposto accadeva tra i primi cristiani; se fosse stato allora come oggi, mai il cristianesimo sarebbe divenuto, da setta oscura d'un popolo disprezzato, la religione ufficiale dell'Impero. Quando i loro nemici dicevano: Vedete come i cristiani si amano gli uni gli altri, (osservazione che nessuno, evidentemente, oggi farebbe) i cristiani sentivano certo pi vivamente la portata della loro credenza di quel che in qualunque tempo dappoi. Ed senza dubbio per questo che il Cristianesimo fa oggid cos scarsi progressi e si trova, dopo diciotto secoli, press'a poco limitato agli Europei e ai discendenti degli Europei. Accade sovente, anche alle persone rigorosamente religiose, a quelle che prendono le loro dottrine sul serio e che vi attribuiscono maggior significato di quanto in generale si fa, d'aver presente allo spirito in modo attivo solamente quella parte della dottrina, aggiunta da Calvino o da Knox o da qualche altra simile persona d'un carattere pi analogo al loro: gli insegnamenti di Cristo coesistono passivamente nel loro spirito, producendovi un effetto appena superiore a quello della meccanica audizione di parole cos dolci. Vi sono senza dubbio molte ragioni perch le dottrine che stanno sulla bandiera d'una setta particolare abbiano una vitalit maggiore di quella delle dottrine comuni a tutte le sette riconosciute, e perch coloro che tali dottrine insegnano si diano maggior cura per inculcarne tutto il significato; ma la ragion principale che queste dottrine sono pi discusse, e debbono pi spesso difendersi contro aperti avversar. Dacch non v' pi nemico a temere, e quelli che insegnano e quelli che imparano possono, al loro posto, addormentarsi. Lo stesso vero in generale trattandosi di qualunque dottrina tradizionale: quelle di prudenza e di conoscenza della vita cos come quelle di morale o di religione. Tutte le lingue e tutte le letterature abbondano di osservazioni generali sulla vita e sul modo di comportarvisi; osservazioni che ciascuno conosce, che ciascuno ripete o ascolta pienamente consentendo, che si ritengono assiomatiche, e di cui tuttavia in generale non s'impara il vero significato che quando l'esperienza li trasforma per noi in realt, e quasi sempre a nostre spese. Quante volte una persona, provando un dolore o un contrattempo, non si ricorda qualche proverbio o qualche motto che glie lo avrebbe risparmiato, s'egli ne avesse sempre cos bene compreso il significato! Ad onor del vero, per questo vi sono altre ragioni oltre l'assenza di discussione; vi sono molte verit di cui non si pu comprendere il senso che quando l'esperienza personale ce l'ha insegnato. Ma anche di quelle il significato sarebbe stato pi o meno compreso, se l'uomo fosse stato avvezzo a sentir discutere il pro e il contro dai competenti. La fatale tendenza della specie umana a lasciar da parte una cosa dacch essa non pi messa in dubbio ha causata la met dei suoi errori: un autore contemporaneo ha descritto bene il sonno profondo d'un'opinione fatta, e fermata nel suo cammino. Ma dunque ci chieder qualcuno l'assenza di unanimit una condizione indispensabile al vero sapere? necessario che una parte di umanit persista nell'errore perch l'altra possa comprendere la verit? E una credenza cessa d'esser vera e vitale non appena generalmente accettata? E una proposizione non mai completamente compresa e sentita, se non si conserva, a proposito di essa, qualche dubbio? E una verit, insomma, perisce non appena gli uomini l'hanno accettata all'unanimit? Il consentimento sempre pi generale ed unanime degli uomini alle verit importanti fu sempre considerato come lo scopo pi elevato e come il pi notevole progresso dell'intelligenza: questa dunque ha una durata insufficiente ad attinger lo scopo? E proprio la pienezza della vittoria quella che distrugge i frutti della conquista? Io non affermo nulla di questo. A misura che l'umanit progredisce, il numero delle dottrine che non son pi soggetto di discussione n di dubbio aumenta costantemente e il benessere della umanit si pu quasi commisurare al numero e all'importanza delle verit divenute incontestabili. La cessazione su di un punto, poi su di un altro, di qualunque seria controversia una delle condizioni necessarie al consolidarsi dell'opinione; una consolidazione altrettanto salutare trattandosi di un'opinione giusta, quanto pericolosa e dannosa trattandosi di opinioni errate. Ma, sebbene questa diminuzione graduale delle divergenze di opinioni sia, in tutta la forza della parola, necessaria, dappoich essa ad un tempo inevitabile e indispensabile, noi non siamo obbligati a concluderne che tutte le sue conseguenze debbano essere salutari. La necessit di spiegare o di difendere costantemente una verit ajuta cos bene a comprenderla in tutta la sua forza, che questo vantaggio, se non supera, per lo meno uguaglia quasi quello del riconoscimento universale di questa verit. Io confesso che vorrei vedere, l dove un tale vantaggio pi non esiste, gl'institutori della specie umana cercare di sostituirlo; io vorrei si creasse qualche mezzo di rendere le difficolt della questione altrettanto presenti allo spirito degli uomini quanto lo farebbe un avversario bramoso di convertirli. Ma, in luogo di cercare simili mezzi, essi hanno perduto quelli che avevano in altri tempi: uno di tali mezzi era la dialettica di Socrate, di cui Platone ci d nei suoi dialoghi degli esempi cos magnifici. Era essenzialmente una discussione negativa delle grandi questioni della filosofia e della vita, condotta con una consumata abilit, che si proponeva di mostrare a un uomo il quale avesse adottato semplicemente i luoghi comuni della opinione ammessa, ch'egli non intendeva il soggetto, che non aveva ancora dato alcun senso definito alle dottrine da lui professate; affinch, illuminato sulla sua ignoranza, egli potesse cercar di farsi una solida credenza, basata su di una concezione netta e del significato e dell'evidenza delle dottrine. Le dispute delle scuole del medio evo avevano uno scopo press'a poco simile. Si voleva con tal mezzo aver la prova che l'allievo comprendeva l'opinione sua propria e (per una necessaria correlazione) l'opinione opposta, e ch'egli sapeva sostenere i motivi dell'una e confutare quelli dell'altra. Queste ultime dispute avevano, in verit, il difetto irrimediabile di trarre le loro premesse non dalla ragione, bens dall'autorit: e, come disciplina dello spirito, esse erano sotto tutti i rispetti inferiori alla possente dialettica che form l'intelligenza dei _socratici viri_; ma lo spirito moderno deve ad ambedue queste scuole assai pi di quello ch'egli generalmente voglia riconoscere, e i diversi modi d'educazione d'oggid non contengono nulla che possa punto punto sostituirsi all'una o all'altra. Una persona che ha ricevuto tutta la sua coltura dai professori o dai libri, anche se sfugge alla tentazione solita di contentarsi d'imparare senza comprendere, non per nulla obbligata a conoscere tutte e due le faccie d'un soggetto. rarissimo, anche tra i pensatori, che si conosca a questo punto un argomento in ambedue le sue parti; e la parte pi debole di quello che ciascuno dice per difendere la sua opinione quello ch'esso destina come replica a' suoi avversari. Oggi di moda sprezzare la logica negativa, quella che indica i punti deboli in teoria o gli errori in pratica, senza stabilir delle verit positive. Certo, una tal critica negativa sarebbe triste come risultato finale; ma come mezzo di ottenere una conoscenza positiva o una convinzione veramente degna di questo nome, non si pu mai stimarla abbastanza. E finch gli uomini non vi siano di nuovo sistematicamente avviati vi saranno ben pochi grandi pensatori e il livello medio delle intelligenze sar poco elevato per tutto ci che non matematiche o scienze fisiche. Su qualunque altro soggetto, le opinioni di un uomo non meritano il nome di conoscenze se non in quanto egli abbia seguito, o spontaneamente o per forza, il cammino intellettuale che gli avrebbe fatto seguire un'attiva opposizione degli avversari. Si vede dunque quanta assurdit vi sia nel rinunciare, quando s'offre spontaneamente, a un vantaggio che cos indispensabile, ma cos difficile a creare quando manchi: se vi sono quindi persone che contestano una opinione ammessa comunemente o che lo faranno se la legge o l'opinione lo permette loro, ringraziamole, ascoltiamole, e rallegriamoci con noi stessi perch qualcuno fa per noi quello che altrimenti (se noi appena appena diamo qualche importanza alla certezza o alla vitalit delle nostre opinioni) noi stessi dovremmo fare con molto maggiore incomodo. Ci resta ancora a parlare d'una delle cause principali che rendono vantaggiosa la diversit d'opinioni. Questa causa sussister finch l'umanit sia entrata in uno stadio di progresso intellettuale che sembra, per ora, ad una incalcolabile distanza. Noi non abbiamo finora esaminato che due ipotesi: 1. l'opinione ammessa pu essere falsa e, di conseguenza, qualche altra opinione vera; 2. l'opinione ammessa vera, e una lotta tra essa e l'errore opposto indispensabile ad una concezione netta e ad un profondo sentimento della sua verit. Ma accade pi spesso ancora che le dottrine in contraddizione, invece d'essere l'una vera e l'altra falsa, si dividano la verit: allora l'opinione dissidente necessaria per fornire il resto della verit di cui la dottrina comunemente ammessa non possiede che una parte. Le opinioni popolari su qualunque cosa che non cada sotto i sensi sono spesso vere, ma non lo sono quasi mai completamente: esse contengono una parte di verit (talvolta pi, talvolta meno rilevante), ma esagerata, sfigurata, e separata dalle verit che la dovrebbero accompagnare e limitare. D'altra parte, le opinioni eretiche contengono generalmente qualcuna di queste verit soppresse e trascurate che, spezzando le loro catene, o cercano di riconciliarsi colla verit convenuta nell'opinione comune, o l'affrontano come nemica e di fronte ad essa si elevano, affermandosi in una maniera esclusiva cos come la stessa verit. Il secondo caso stato fino ad oggi il pi frequente perch lo spirito umano pi generalmente esclusivo che liberale: onde, di consueto, anche nelle rivoluzioni dell'opinione, una parte della verit si oscura mentre ne viene in luce un'altra. Il progresso medesimo che dovrebbe sempre pi accrescere il patrimonio della verit non fa, nella maggior parte dei casi, altro se non sostituire una verit parziale ed incompleta ad un'altra; e il miglioramento consiste semplicemente nell'essere il nuovo frammento di verit pi necessario, meglio adatto al bisogno del momento di quello a cui si sostituisce. Tale il carattere parziale delle opinioni dominanti, anche quando riposino su una base giusta: dunque, qualunque opinione che rammenti qualche poco della parte di verit dalla opinione comune trascurata, dev'esser considerata preziosa, per grandi che siano gli errori a cui tale verit pu andar congiunta. Nessun uomo sensato si vorr indignare perch quelli che ci obbligano a notare delle verit che altrimenti noi avremmo trascurato ne trascurano poi dal canto loro qualcuna di quelle che noi scorgiamo. Egli dir piuttosto che, dal momento che l'opinione pubblica cos fatta che non vede della verit se non una parte, desiderabile che le opinioni impopolari siano proclamate da apostoli non meno esclusivi, perch sono di solito i pi energici e i pi capaci d'attirare, suo malgrado, l'attenzione del pubblico sul frammento di saggezza ch'essi esaltano, come se fosse la saggezza tutta quanta. cos che nel secolo XVIII i paradossi di Rousseau fecero un'esplosione salutare in mezzo ad una societ in cui tutte le classi erano in profonda ammirazione davanti al cos detto incivilimento e davanti alle maraviglie della scienza, della letteratura, della filosofia moderna, e non si paragonavano agli antichi che per mettersi al di sopra di loro. Rousseau rese il servizio di spezzare la massa compatta della cieca opinione e di forzare i suoi elementi a ricostituirsi sotto una forma migliore e con parecchie aggiunte. Non gi che le opinioni ammesse fossero, tutto sommato, pi lontane dalla verit di quelle di Rousseau; al contrario, esse vi erano pi vicine, e contenevano pi verit positiva e meno assai di errori. Nulladimeno, c'era nelle dottrine di Rousseau, ed passato nell'opinione comune, un gran numero appunto di quelle verit di cui l'opinion popolare avea bisogno; e cos esse continuarono a sussistere. Le qualit superiori della vita semplice, l'effetto snervante e immorale delle pastoje e delle ipocrisie d'una societ artificiale sono idee che, da Rousseau in poi, non hanno mai completamente abbandonato gli spiriti colti; esse produrranno il loro effetto, sebbene, pel momento, abbiano ancora bisogno d'essere proclamate con atti; poich le parole su questo argomento hanno oramai quasi esaurita la loro potenza. D'altra parte, riconosciuto in politica che un partito d'ordine o di stabilit e un partito di progresso o di riforma sono i due elementi necessari d'uno stato fiorente, finch l'uno o l'altro dei partiti abbia talmente estesa la sua potenza intellettuale da saper essere ad un tempo partito d'ordine e partito di progresso, conoscendo e distinguendo quel che si deve conservare e quel che si deve distruggere. Ognuna di queste maniere di pensare trae profitto dai difetti dell'altra; ma principalmente la loro mutua opposizione che le mantiene entro i limiti della sana ragione. Se non si pu esprimere con uguale libert, sostenere e difendere con uguale ingegno e con uguale energia tutte le opinioni che si contendono il terreno della vita pratica, siano poi esse favorevoli alla democrazia o all'aristocrazia, alla propriet privata o all'uguaglianza economica, alla cooperazione o alla concorrenza, al lusso o all'astinenza, allo stato o all'individuo, alla libert o alla disciplina; non v' alcuna probabilit che i due elementi ottengano ci che loro dovuto; sicuro che uno dei piatti della bilancia traboccher. La verit, nei grandi interessi pratici della vita, sopratutto una questione di combinazione e di conciliazione degli estremi; e poich pochissimi uomini hanno abbastanza criterio ed imparzialit sufficiente per fare questo accomodamento in modo pi o meno corretto, cos talvolta esso deve compiersi col proceder violento di una lotta tra combattenti sotto bandiere nemiche. Se, a proposito d'una delle grandi questioni che abbiamo enumerato test, un'opinione ha maggior diritto dell'altra ad essere non soltanto tollerata, ma anche incoraggiata e sostenuta, la pi debole. Ecco l'opinione che, pel momento, rappresenta gl'interessi trascurati, il lato del benessere umano che in pericolo di ottener meno della parte che gli spetta. Io so che tra noi son tollerate le opinioni pi varie sulla maggior parte di tali materie: e ci prova con esemp numerosi e non equivoci l'universalit di questo fatto: che nello stato attuale dello spirito umano tutta la verit non pu farsi strada che traverso la diversit d'opinioni. Quando si trovano delle persone che non partecipano affatto all'apparente unanimit del mondo su di un soggetto, probabile che, se anche il mondo avesse ragione, questi dissidenti abbiano a dire per altro in loro favore qualcosa che merita d'essere ascoltato, e che pel loro silenzio la verit ci rimetta qualcosa. Si pu fare l'obbiezione seguente: Ma qualcuno dei princip comunemente ammessi, sopratutto sui soggetti pi elevati ed essenziali, qualcosa di meglio d'una mezza verit. La morale cristiana, per esempio, contiene la verit tutta quanta, e se qualcuno insegna una morale diversa, completamente in errore. Poich questo uno dei casi pi importanti in pratica, nulla di meglio per mettere alla prova la massima generale. Ma, prima di decidere quello che sia o non sia la morale cristiana, sarebbe desiderabile di fissare che cosa per morale cristiana s'intenda. Se s'intende la morale del Nuovo Testamento, io mi meraviglio che qualcuno che trae da questo stesso libro la sua dottrina possa supporre che esso sia stato concepito od annunciato come una dottrina completa di morale. L'Evangelo si riferisce sempre ad una morale preesistente, e limita i suoi precetti ai punti particolari in cui questa morale dev'esser corretta o sostituita da un'altra pi vasta ed elevata; inoltre, esso si esprime sempre nei termini pi generali, che bene spesso non si possono letteralmente interpretare ed hanno il colore della poesia o dell'eloquenza piuttosto che la precisione della legge. Non si mai potuto estrarne un corpo di dottrina morale, senza aggiungervi il Testamento Vecchio, un sistema cio elaborato per dire il vero, ma barbaro sotto molti rapporti, e fatto solamente per un popolo barbaro. San Paolo, nemico dichiarato di questa maniera giudaica d'interpretar la dottrina e di compiere lo schizzo dal suo maestro abbozzato, ammette egli pure una morale preesistente, quella dei Greci e dei Romani, e consiglia ai cristiani di venire con essa quasi ad un accomodamento, fino al punto di sanzionare in apparenza la schiavit. Quel che si chiama morale cristiana, ma che si dovrebbe piuttosto chiamare morale teologica, non per nulla opera di Cristo n degli apostoli: essa ha una data pi recente, stata messa gradatamente insieme dalla Chiesa cristiana dei primi cinque secoli; e, sebbene i moderni e i protestanti non l'abbiano implicitamente accettata, pure essi l'hanno modificata meno di quel che si sarebbe potuto aspettarsi. A vero dire, la maggior parte si contentata di rintracciare le aggiunte che v'erano state fatte nel medio evo, e ciascuna setta le sostitu con aggiunte nuove, pi conformi al suo carattere e alle sue tendenze. Io non pretendo punto di negare tutto quello che la specie umana deve a questa morale e a coloro che pei primi la bandirono; ma oso dire per che essa in molti punti incompleta ed esclusiva e che, se idee e sentimenti ch'essa non sanziona non avessero contribuito alla formazione della vita e del carattere europeo, le cose umane sarebbero ora a ben peggior partito di quel che sono. La cos detta morale cristiana ha tutti i caratteri d'una reazione; in gran parte una protesta contro il paganesimo. Il suo ideale negativo piuttosto che positivo, passivo piuttosto che attivo, l'innocenza piuttosto che la grandezza, l'astensione dal male piuttosto che l'energica ricerca del bene; nei suoi precetti, come stato benissimo osservato, il: _tu non farai_ domina eccessivamente sul: _tu farai_. Nel suo orrore per la sensualit essa ha fatto un idolo dell'ascetismo, e quindi, per un compromesso graduale, della legalit; essa considera la speranza del cielo e il timor dell'inferno come le spinte di una vita virtuosa; e restando in questo ben al di sotto dei saggi dell'antichit, fa ci che pu per dare alla morale umana un carattere essenzialmente egoista, separando i sentimenti di dovere presso ciascun uomo dagl'interessi dei suoi simili, tranne che quando un motivo interessato lo conduca ad avervi riguardo. essenzialmente una dottrina di passiva obbedienza; inculca la sommessione a tutte le autorit costituite; o cio alle autorit non vuole si obbedisca attivamente quando esse comandino ci che la religione proibisce; ma non si deve resister loro, meno ancora ribellarsi, per ingiuste ch'esse siano. E mentre nella morale delle migliori nazioni pagane i doveri del cittadino verso lo stato tengono un posto sproporzionato ed usurpano il campo della libert individuale, nella morale puramente cristiana questa gran parte dei nostri doveri appena ricordata o riconosciuta. Nel Corano e non nel Nuovo Testamento noi leggiamo questa massima: _Un governante che nomina un uomo ad un impiego, quando c' nei suoi stati un altr'uomo pi degno di occuparlo, pecca contro Dio e contro lo Stato_. Se l'idea d'obbligo verso il pubblico giunta a farsi strada nella morale moderna, essa stata attinta non al Cristianesimo, ma ai Greci ed ai Romani. Allo stesso modo, quello che c' nella morale privata di magnanimit, di elevazione di spirito, di dignit personale, e direi anche di senso d'onore proviene non dalla parte religiosa, ma dalla parte puramente umana della nostra educazione, e non avrebbe mai potuto essere frutto di una dottrina morale che non riconosce del merito se non nell'obbedienza. Io sono ben lontano dall'affermare che questi difetti siano necessariamente inerenti alla dottrina cristiana, qualunque sia la forma in cui la si concepisce, o anche dall'affermare che quanto le manca per essere una dottrina completa sia con essa inconciliabile; e tanto meno pretendo d'insinuar questo a proposito delle dottrine e dei precetti di Cristo stesso. Io penso che le parole di Cristo sono chiaramente tutto quello che han voluto essere; ch'esse non sono inconciliabili con nulla di quanto richiesto da una morale completa; che vi si pu far rientrare tutto quanto v' di eccellente in fatto di dottrine morali senza violentarne il significato pi di quello che abbiano fatto quanti hanno tentato di dedurne un qualunque sistema di pratica condotta. Ma credo nello stesso tempo e non sono con questo in contraddizione ch'esse non contengano n volessero contenere se non una parte della verit. Io credo che, nei suoi precetti, il fondatore del cristianesimo abbia a bello studio trascurati molti elementi essenziali della pi alta morale, che la Chiesa cristiana ha completamente rifiutati, nel sistema di morale ch'essa ha basato su queste stesse istruzioni; e, dato questo, io considero un grande errore quello di voler trovare nella dottrina cristiana una regola completa di condotta che il suo fondatore non ha voluto particolareggiar tutta quanta, ma solamente sanzionare ed appoggiare. Credo anche che questa angusta teoria divenga praticamente un male gravissimo, diminuendo assai il valore della educazione e della istruzione morale che tante persone ben intenzionate si sforzano d'incoraggiare. Temo forte che tentando di formare lo spirito e i sentimenti su di un tipo esclusivamente religioso e lasciando da banda quei modelli secolari (se l'espressione mi permessa) che stavano a lato della morale cristiana e la integravano mescolando il loro spirito al suo non ne sia per risultare un tipo di carattere basso, abbietto, servile, capace forse di sottomettersi a quello ch'egli crede la volont divina, ma non di elevarsi alla concezione della divina bont e di provare per essa un'alta simpatia. Credo che un'altra morale oltre a quella puramente cristiana debba esistere a lato di questa per produrre la rigenerazione morale dello spirito umano; e, secondo me, il sistema cristiano non fa eccezione alla regola generale che, dato uno stato d'imperfezione dello spinto umano, gl'interessi della verit esigono la diversit d'opinioni. Non necessario che, cessando d'ignorare le verit morali non contenute nel cristianesimo, gli uomini debbano ignorare qualcuna di quelle che esso contiene. Un tal pregiudizio o un tale errore, quando si verifica, senza dubbio un male; ma un male da cui noi non possiamo sperare d'essere sempre esenti, e che deve considerarsi come il prezzo di un bene inestimabile. Si deve protestare contro la pretesa esclusiva che una parte della verit eleva di essere la verit tutta quanta; e se una reazione rendesse ingiusti alla lor volta quelli che protestano, questo acciecamento pu, come l'altro, esser deplorato, ma deve esser tollerato. Se i cristiani volevano insegnare ai pagani ad esser giusti verso il cristianesimo dovevano cominciare essi pei primi ad esser giusti verso il paganesimo. un rendere dei cattivi serviz alla verit il perder di vista questo fatto, ben noto a quanti hanno la minima nozione di storia letteraria, che una gran parte dell'insegnamento morale pi nobile ed elevato stata l'opera non gi d'uomini che non conoscevano, ma di uomini che conoscevano e non accettavano la fede cristiana. Io non sostengo gi che l'uso pi illimitato della libert di esprimere tutte le opinioni possibili metterebbe fine ai mali dello spirito settario in religione o in filosofia; tutte le volte che uomini di mente angusta credono in buona fede una verit, si sicuri di vederli a proclamarla, inculcarla ed anche spesso agire secondo la loro convinzione, come se al mondo non ci fossero altre verit, o almeno nessun'altra che potesse limitare o modificare la prima. Io riconosco che la pi libera discussione non un ostacolo alla tendenza, che ogni opinione ha, di divenir settaria; che anzi, al contrario, essa spesse volte l'aumenta, la fa pi acre; perch si respinge con violenza tanto maggiore la verit fino allora inavvertita, in quanto essa proclamata da persone considerate avversarie. Ma non sul partigiano appassionato, sullo spettatore pi calmo e disinteressato che questo cozzo delle opinioni produce il suo effetto salutare. Non la lotta violenta tra le parti diverse della verit il male da temere; bens la soppressione tranquilla d'una met del vero. Vi sempre speranza quando gli uomini sono obbligati ad ascoltare le due parti; quando essi non s'occupano se non di una che i loro errori si mutano in pregiudizi e la verit esagerata e falsata cessa di aver gli effetti della verit. E poich nulla in un giudice tanto raro quanto la facolt di dare un giudizio sensato in una causa in cui egli non ha sentito perorare che un avvocato, la verit non pu sperar di farsi strada che se ogni opinione, la quale racchiuda qualcuna delle sue parti, trovi degli avvocati, e degli avvocati capaci di farsi ascoltare. Noi abbiamo dunque cos riconosciuta la necessit pel benessere intellettuale della specie umana (d'onde dipende il suo benessere morale e materiale) della libert di opinione e della libert di discussione: e questo per quattro distinte ragioni che ora brevissimamente riassumeremo: 1. una opinione che si ridurrebbe al silenzio pu benissimo essere vera: negare questo, quanto affermare la propria infallibilit; 2. quando anche l'opinione ridotta al silenzio fosse un errore, essa potrebbe, come nella maggior parte dei casi avviene, contenere una parte di verit: e poich l'opinione generale o dominante su qualsivoglia soggetto raramente o non mai tutta la verit, non v' mezzo di conoscerla per intero se non col cozzo delle opinioni avverse; 3. anche nel caso in cui l'opinione dominante contenesse la verit e tutta la verit, essa sar professata come una specie di pregiudizio, senza comprendere o sentire i suoi princip razionali, se non pu esser discussa vigorosamente e lealmente; 4. il significato stesso della dottrina sar in pericolo di perdersi o indebolirsi o vedersi privato del suo effetto vitale sul carattere e sulla condotta; poich il dogma diverr una semplice formula che, inefficace pel bene, ingombra il terreno e impedisce il formarsi di qualunque convinzione reale fondata sulla ragione o sulla personale esperienza. Prima di lasciare questo soggetto della libert di opinione bene prestare orecchio un istante a quelli che dicono: Si pu permettere di esprimere liberamente qualunque opinione, purch lo si faccia con moderazione e non si passino i limiti della discussione leale. Si potrebbe parlare a lungo sulla impossibilit di fissare questi supposti limiti. Non affatto possibile dire: basta non offendere coloro di cui si oppugna l'opinione, perch e l'esperienza lo prova essi si considereranno come offesi tutte le volte che l'attacco sar potente, ed accuseranno di mancar di moderazione tutti gli avversar che daran loro da pensare. Ma questa considerazione, per quanto importante sotto l'aspetto pratico, sparisce davanti ad una obbiezione pi fondamentale. Senza dubbio alcuno, il modo di proclamare una opinione, anche giusta, pu essere molto riprovevole e provocare a giusta ragione una severa censura; ma le principali offese di questo genere sono tali che il pi delle volte impossibile, tranne che per una confessione accidentale, giungere a dimostrarle. La pi grave di queste offese discutere in una maniera sofistica, sopprimere dei fatti o degli argomenti, esporre inesattamente gli elementi di fatto o snaturare l'opinione avversaria. Ma persone che non sono ritenute e che, sotto molti altri rispetti, non meritano punto d'esser ritenute ignoranti o incompetenti, agiscono a questo modo, magari con la massima gravit, cos spesso e con tanta buona fede, che raramente possibile di potere, in coscienza e con sufficienti ragioni, dichiarare moralmente colpevole una falsa esposizione; e la legge potrebbe tanto meno tentar d'incriminare questo vizio di polemica. Quanto poi a ci che s'intende comunemente per discussione intemperante: le invettive, il sarcasmo, le personalit, ecc., ecc., la denuncia di questi modi di procedere meriterebbe pi simpatia se si pensasse almeno a proibirli ugualmente alle due parti; invece non si desidera se non restringerne l'uso all'opinione dominante. Che un uomo l'impieghi contro le altre opinioni, ed sicuro non soltanto di non esser biasimato, ma d'esser anche lodato pel suo onesto zelo e per la sua giusta indignazione. Tuttavia il male che questi mezzi di discussione possono produrre non mai cos grande come quando se ne fa uso contro opinioni relativamente indifese; e l'ingiusto profitto che un'opinione pu trarre da questa maniera di affermarsi ridonda quasi unicamente a vantaggio delle opinioni comunemente ammesse. La peggior offesa di questo genere che in una polemica si possa commettere di vituperare come uomini pericolosi ed immorali quelli che professano l'opinione contraria alla nostra. Gli uomini che professano un'opinione impopolare sono specialmente esposti a tali calunnie, perch in generale sono poco numerosi e punto influenti e nessuno s'interessa di veder loro resa giustizia; ma, per la natura delle cose, di quest'arma non si possono valere quelli che dn l'assalto ad una opinione dominante; essi correrebbero un pericolo personale a servirsene e, quand'anche pericolo non vi fosse, non farebbero cos se non screditare la loro causa. In generale le opinioni opposte alle opinioni dominanti non giungono a farsi ascoltare che usando un linguaggio studiatamente temperato, ed evitando con la massima cura ogni inutile offesa: esse non possono, senza perder terreno, menomamente deviare da questa linea di condotta; mentre al contrario gl'insulti senza misura indirizzati dall'opinione dominante alle opinioni contrarie allontanano realmente gli uomini da queste. Perci, nell'interesse della verit e della giustizia, importante sopratutto di proibire l'uso del linguaggio offensivo e, per esempio, se si dovesse scegliere, sarebbe molto pi necessario riprovare gli attacchi insultanti contro le libere credenze che quelli contro la religion di Stato. tuttavia evidente che n la legge n l'autorit non debbono occuparsi d'impedire gli uni o gli altri; e che il giudizio dell'opinione deve determinarsi, in ogni occasione, colle contingenze del caso particolare. Si deve condannare ogni uomo, senza riguardo alla parte dell'argomento da cui si metta, nelle cui parole faccia capolino o la mancanza di buona fede, o la malignit, o la bigotteria, o l'intolleranza di sentimento. Ma non bisogna accusar di questi difetti i nostri avversar perch sono i nostri avversar; e si deve rendere onore a quella persona, qualunque sia il partito cui essa appartiene, che ha la calma di scorgere e l'onest di riconoscere che cosa sono in realt i suoi avversar e le loro opinioni, non esagerando nulla di ci che li pu danneggiare, non nascondendo nulla di ci che loro pu riuscir di vantaggio. Ecco la vera moralit della pubblica discussione, e, se essa soventi volte violata, io sono lieto di pensare che vi son molti polemisti che la osservano a un grado altissimo, ed un numero pi grande ancora che coscienziosamente fanno ogni sforzo per giungere ad osservarla. FINE DEL CAPITOLO SECONDO CAPITOLO TERZO. L'INDIVIDUALIT COME ELEMENTO DI BENESSERE. Abbiamo vedute le ragioni che rendono assolutamente necessaria agli uomini la libert di formarsi delle opinioni e di esprimerle senza tacite riserve; abbiamo pure veduto che, se questa libert non riconosciuta o mantenuta a dispetto della proibizione, le conseguenze per l'intelligenza e la natura morale dell'uomo sono funeste: ricerchiamo ora se le stesse ragioni non richiedano che gli uomini siano liberi di contenersi nella vita secondo le loro opinioni senza esserne impediti dai propr simili, finch, s'intende, essi agiscono a loro rischio e pericolo. Questa ultima condizione naturalmente indispensabile. Nessuno sostiene che le azioni debbano essere cos libere come le opinioni; al contrario, le opinioni stesse perdono la loro immunit, quando le si esprimono in circostanze tali, che la loro espressione un'instigazione positiva a qualche atto dannoso. L'idea che i mercanti di grano fanno morire di fame i poveri o che la propriet privata un furto, non deve essere perseguitata finch si limita a circolare nella stampa; ma essa pu incorrere in una giusta punizione se la si esprima oralmente, in mezzo ad un'assemblea di violenti, agglomerati davanti alla porta di un mercante di grano, o se la si diffonde sotto forma di avviso. Certe azioni, non importa di qual genere, che senza causa giustificabile danneggiano altrui, possono e, nei casi pi importanti, devono assolutamente essere seguite dalla disapprovazione e, quando ve ne sia bisogno, dall'intervento attivo del genere umano. La libert dell'individuo dev'esser limitata: egli non deve rendersi dannoso agli altri; ma s'egli non ferisce gli altri in ci che li riguarda, e si contenta di agire secondo la sua inclinazione e il suo giudizio nelle cose che riguardano lui stesso solamente, le stesse ragioni le quali stabiliscono che l'opinione dev'esser libera provano pure che il mettere, a proprio repentaglio, in pratica le proprie opinioni deve essere perfettamente lecito. La specie umana non infallibile; le sue verit non sono, per la maggior parte, se non delle mezze verit; l'unanimit delle opinioni non desiderabile, a meno ch'essa non risulti dal confronto pi libero e completo delle opinioni contrarie; la diversit di opinioni non un male ma un bene, finch l'umanit non sar molto pi atta che oggi non sia a riconoscere tutti i lati diversi del vero: ecco dei princip che si possono applicare cos alle opinioni degli uomini come alla loro maniera d'agire. Poich utile, finch il genere umano imperfetto, che vi siano diverse opinioni, buono nello stesso modo che si provino delle differenti maniere di vivere; vantaggioso concedere un libero slancio ai diversi caratteri, impedendo tuttavia loro di essere gli uni agli altri dannosi; e ciascuno deve potere, quando lo giudichi conveniente, tentar la prova dei diversi generi di vita. L dove la norma della condotta dettata non dal carattere di ciascuno, ma dalle tradizioni o dai costumi degli altri, ivi manca completamente uno degli elementi principali del benessere umano e l'elemento pi essenziale del progresso individuale e sociale. Qui la pi gran difficolt non consiste nel valutare i mezzi che conducono ad uno scopo riconosciuto, ma nell'indifferenza della generalit a proposito dello scopo stesso. Se si considerasse il libero sviluppo dell'individualit come uno dei princip essenziali del benessere, se lo si tenesse non in conto di un elemento che si coordina con tutto quanto vien designato dalle parole d'incivilimento, di istruzione, di educazione, di coltura, ma bens in conto di una parte necessaria e d'una condizione perch tutte queste cose si ottengano, non vi sarebbe pericolo che la libert non fosse stimata al suo giusto valore; non si troverebbero delle difficolt enormi a tracciare la linea di demarcazione tra essa e la sorveglianza sociale. Ma, pur troppo, alla spontaneit individuale si riconosce soltanto, ed a fatica, qualche poco di valore intrinseco. Dappoich la maggioranza soddisfatta dei costumi attuali dell'umanit (i quali infatti sono opera sua) essa non pu comprendere perch questi costumi non debbano bastare a tutti quanti. Vi anche di peggio: la spontaneit non entra nell'ideale della maggioranza dei riformatori morali e sociali; essi la considerano piuttosto con gelosia, come un ostacolo noioso e forse insuperabile all'accettazione generale di quello che, secondo il giudizio di questi riformatori, sarebbe il miglior partito per l'umanit. Poche persone, fuori di Germania, comprendono il significato di quella dottrina sulla quale Guglielmo Humboldt, uomo cos notevole e come erudito e come politico, ha scritto un trattato: la dottrina per cui il fine dell'uomo, non quale lo suggeriscono vaghi e fugaci desider, ma quale lo prescrivono gli eterni ed immutabili decreti della ragione, lo sviluppo pi vasto ed armonico di tutte le sue facolt in un complesso sodo e completo e quindi lo scopo a cui deve tendere incessantemente ogni essere umano, e in particolare quelli che vogliono influire sui loro simili, l'individualit nel potere e nello sviluppo. A questo due cose sono necessarie: La libert e una variet di condizioni. La loro unione produce il vigore individuale e la diversit multipla che si fondono nella originalit[6]. Tuttavia, per nuova e sorprendente che possa sembrare questa dottrina humboldtiana, che d tanto valore all'individualit, la questione non dopo tutto ci si pensi bene che una questione di pi o di meno. Nessuno suppone che la perfezione della natura umana sia di copiarsi esattamente gli uni gli altri; nessuno afferma che il giudizio o il carattere particolare di un uomo non debba entrar per nulla nella sua maniera di vivere e di curare i suoi interessi. E d'altra parte sarebbe assurdo pretendere che gli uomini dovessero vivere come se nulla fosse stato al mondo prima della loro venuta, come se l'esperienza non avesse ancora in nessun caso mostrato che un certo modo di comportarsi preferibile a un certo altro; nessuno contesta che si debba elevare ed istruire la giovent in modo da farla approfittare dei risultati ottenuti dall'umana esperienza. Ma privilegio e condizione propria di un essere umano arrivato alla piena maturanza delle sue facolt il servirsi dell'esperienza e l'interpretarla a suo modo; tocca a lui scoprire che cosa vi sia, nell'esperienza accumulata, di applicabile alla sua condizione e al suo carattere. Le tradizioni e i costumi degli altri individui sono, fino a un certo segno, delle testimonianze di ci che l'esperienza ha loro appreso, e questa testimonianza, questa presunzione deve essere accolta con rispetto dall'adulto che noi abbiamo supposto: ma, anzitutto, l'esperienza degli altri pu essere troppo limitata, o essi possono averla interpretata male; l'avessero poi anche rettamente interpretata, la loro interpretazione pu benissimo non esser conveniente ad un individuo in particolare. I costumi sono fatti pei caratteri e per le condizioni usuali; e il suo carattere, la sua condizione posson bene non esser fra queste. E quand'anche i costumi fossero buoni in s stessi, e potessero convenire a questo individuo, un uomo che si adatta al costume semplicemente perch il costume non mantiene n sviluppa in s alcuna di quelle qualit che sono l'attributo caratteristico di un essere umano. Le facolt umane di percezione, di giudizio, di discernimento, di attivit intellettuale ed anche di preferenza morale, si esercitano soltanto col fare una scelta; chi agisce sempre in modo da seguire il costume non fa scelta di sorta, e non impara a discernere o a desiderare il meglio. La forza intellettuale e la forza morale, precisamente come la forza muscolare, non fanno dei progressi se non in quanto sono esercitate; e non si esercitano le proprie facolt facendo una cosa semplicemente perch la fanno gli altri, pi di quello che le si esercitino credendo una cosa unicamente perch la credono gli altri. Se alcuno adotta un'opinione senza che i princip di questa opinione gli siano sembrati concludenti, la sua ragione non ne sar punto rafforzata, ma piuttosto indebolita; e se esso commette un'azione i cui motivi determinanti non sono conformi alle sue opinioni o al suo carattere (sempre dove non si tratti di affetti n di diritti altrui) esso riuscir solamente a snervare il suo carattere e le sue opinioni, che dovrebbero essere attivi ed energici. L'uomo il quale permette che il mondo, o almeno il suo mondo, scelga anche per suo conto personale il modo di vivere non ha da invidiare alle scimie se non la facolt d'imitazione: l'uomo che sceglie egli stesso la sua maniera di vivere fa uso di tutte le sue facolt. Egli deve usare l'osservazione per vedere, il ragionamento e il giudizio per prevedere, l'attivit per raccogliere i materiali necessar alla decisione, il discernimento per decidere; e, quando abbia deciso, la fermezza e la padronanza di s stesso per attenersi alla deliberazione presa; e quanto maggiore la parte della sua condotta ch'egli governa secondo il suo giudizio e i suoi sentimenti, tanto pi necessarie gli sono queste diverse qualit. Egli pu, all'occorrenza, esser guidato sul retto cammino e salvato da qualunque influenza dannosa senza nulla di tutto ci: ma quale sar il valore comparativo di lui come essere umano? Quello che veramente importante non solo ci che gli uomini fanno, ma altres ci che sono. Fra le opere dell'uomo, cui la vita legittimamente chiamata a perfezionare e ad abbellire, la pi importante senza dubbio l'uomo stesso. Supponendo che fosse possibile fabbricar delle case, far crescere del grano, dare delle battaglie, giudicare delle cause, ed anche erigere delle chiese e pronunciar delle preghiere, meccanicamente, per mezzo di automi di forma umana, si perderebbe molto ad accettare questi automi in cambio degli uomini e delle donne che popolano oggid le parti pi civili del globo, bench essi siano, fuor d'ogni dubbio, degli esemp ben miseri di ci che la natura pu produrre e produrr un giorno. La natura umana non una macchina che si possa costruire secondo un modello per fare esattamente un'opera designata, ma bens un albero che vuol crescere e svilupparsi da tutti i lati seguendo la tendenza delle forze intime che fanno di lui qualcosa di vivente. Si riconoscer senza dubbio che desiderabile per gli uomini ch'essi coltivino la loro intelligenza, e che val meglio seguire coscientemente il costume od anche, all'occasione, coscientemente staccarsene, che non conformarvisi ciecamente e macchinalmente. Si ammette fino ad un certo punto che la nostra intelligenza ci deve appartenere; ma non si ammette altrettanto facilmente che deve accadere lo stesso dei nostri impulsi e dei nostri desider; si considera quasi come una pericolosa insidia l'avere degli impulsi energici: tuttavia i desider e gl'impulsi fanno parte altrettanto integrante di un essere umano nella sua perfezione, quanto le credenze e le astinenze. Forti eccitamenti non sono pericolosi se non quando non sono equilibrati; quando cio un complesso di vedute e di tendenze si energicamente sviluppato mentre altre vedute ed altre tendenze, che dovrebbero farsi sentire a lato delle prime, restano deboli ed inattive. E gli uomini non agiscono gi male perch i loro desider sono ardenti, ma perch sono deboli le loro coscienze: anzi non vi una relazione naturale tra eccitamenti energici e debole coscienza: la relazione naturale in senso opposto. Dire che i desider e i sentimenti di una persona sono pi vivi e numerosi di quelli d'un'altra dire semplicemente che la dose di materia bruta della natura umana , in quella persona, pi abbondante; per conseguenza, essa capace forse di far pi male, ma senza dubbio di far pi bene. Insomma, gli impulsi potenti rappresentano, sott'altro nome, dell'energia; ecco tutto. L'energia pu essere mal impiegata: ma una natura energica pu far bene maggiore di una natura indolente ed apatica. Quelli che hanno maggior quantit di sentimenti naturali sono anche quelli in cui i sentimenti, per cos dire, artificiali si possono meglio sviluppare. L'ardente sensibilit che rende gl'impulsi personali vivi e potenti pure la sorgente da cui derivano l'amore pi appassionato della virt, la pi rigorosa padronanza di s; coltivando questa sensibilit che la societ fa il suo dovere e tutela i suoi interessi; non rifiutando la stoffa con cui si fanno gli eroi, giacch essa non capace di crearli. Si dice di una persona ch'essa ha del carattere, quando i suoi desider e i suoi impulsi appartengono in tutto a lei sola e sono l'espressione della sua propria natura, cos come l'ha sviluppata e modificata la coltura sua propria; un essere che non ha, per proprio conto, desider n impulsi, non possiede pi carattere di una macchina a vapore. Se un uomo ha degl'impulsi non solo suoi propr, ma forti e posti sotto il controllo di una potente volont, esso ha un carattere energico. Chiunque pensi che non si debba incoraggiare la manifestazione e lo sviluppo dell'individualit nei desider e negl'impulsi, deve sostenere altres che la societ non ha bisogno di nature forti, che essa non trae vantaggio alcuno dal racchiudere un gran numero di uomini di carattere, e che infine non desiderabile di vedere la media degli uomini possedere molta energia. Nelle societ nascenti, queste forze sono forse senza proporzione col potere che la societ possiede di disciplinarle e di sorvegliarle: vi fu un tempo in cui l'elemento di spontaneit e d'individualit dominava in modo eccessivo, e in cui il principio sociale doveva con esso sostenere delle fiere battaglie. La difficolt allora era condurre degli uomini potenti di corpo o di spirito a subire delle regole che pretendevano controllare i loro impulsi. Per vincere questa difficolt, la legge e la disciplina (per esempio, i papi in lotta cogl'imperatori) proclamarono il loro potere su tutto quanto l'uomo, rivendicando il diritto di sorvegliarne tutta intera la vita, allo scopo di poterne sorvegliare il carattere, per frenare il quale la societ non sapeva trovare altro mezzo. Ma la societ oggi ha piena ragione dell'individualit, e il pericolo che minaccia la natura umana non pi l'eccesso, bens il difetto di impulsi e di gusti personali. Le cose sono ben mutate dal tempo in cui le passioni degli uomini potenti per la loro condizione o per le loro qualit personali erano in uno stato di abituale ribellione contro le leggi e le ordinanze, e dovevano essere rigorosamente vincolate, affinch tutto quanto li circondava potesse godere di una certa sicurezza; nell'epoca nostra, ogni uomo, dal pi elevato al pi basso sulla scala sociale, vive sotto lo sguardo di una censura ostile e temuta. Non soltanto per quel che riguarda gli altri, ma anche per quel che tocca loro stessi esclusivamente, l'individuo o la famiglia non si domandano gi: Che cosa preferisco io? Che cosa si attaglierebbe all'indole mia e alle mie attitudini? Che cosa darebbe buon giuoco e le massime probabilit di svolgersi alle nostre pi elevate facolt? ma si domandano bens: Che cosa conviene alla mia condizione, e che cosa fanno di solito le persone del mio stato e della mia fortuna, o (peggio ancora) che cosa fanno di solito le persone d'uno stato sociale e d'una fortuna al di sopra della mia? Io non pretendo dire ch'essi preferiscano ci che il costume prescrive a ci che loro piace: non vien neppur loro in mente ch'essi possano aver un capriccio per qualcosa che il costume non permetta. Cos anche lo spirito curvato sotto il giogo; anche in quello che gli uomini fanno per loro svago, la uniformit il loro primo pensiero; essi amano in massa, non fanno scelte se non in generale; evitano come un delitto qualunque singolarit di gusto, quantunque, a forza di non seguire la loro natura, essi non abbiano ormai pi natura; le loro capacit umane sono inaridite e ridotte a nulla; essi divengono incapaci di provare alcun desiderio vivo, alcun piacere naturale; e non hanno, in generale, n opinioni n sentimenti da essi elaborati, ad essi appartenenti. E tutto questo pu dunque esser ritenuto una sana condizione delle cose umane? S, seguendo la teoria calvinista. Secondo questa teoria, la colpa capitale dell'uomo di avere una volont indipendente; tutto il bene di cui l'umanit capace compreso nell'obbedienza. Voi non avete una scelta da fare; dovete agire cos e non altrimenti; e tutto quanto non dovere peccato. Dappoich la natura umana completamente corrotta, non vi redenzione per alcuno, finch'esso non abbia ucciso in s la natura umana. Per chi sostiene una simile teoria, non un male l'annullare tutte le facolt, le capacit, le sensibilit umane; l'uomo non ha bisogno d'altra capacit fuorch quella di abbandonarsi alla volont di Dio, e s'egli si serve delle sue facolt altrimenti che per eseguire in un modo pi efficace i decreti di questa supposta volont sarebbe meglio per lui che non le possedesse. Ecco la teoria del calvinismo; molte persone che non si considerano come calviniste la professano sotto un'altra forma pi moderata; il temperamento consiste nel dare una interpretazione meno ascetica alla volont supposta dell'Altissimo. Si afferma ch'egli vuole che gli uomini soddisfacciano a qualcuno dei loro gusti; non gi, certamente, nel modo ch'essi preferirebbero, ma in una maniera obbediente, che quanto dire nella maniera prescritta dall'autorit, la qual maniera necessariamente la stessa per tutti. Sotto una tal forma insidiosa, vi ora una forte tendenza verso questa angusta teoria della vita e verso questo tipo, ch'essa predica, di carattere umano ristretto ed inflessibile. Senza dubbio alcuno, molte persone credono sinceramente che gli uomini cos torturati e ridotti alla statura di nani, siano quali il loro creatore li ha voluti; proprio come molta gente ha creduto che gli alberi siano molto pi belli tagliati a palla o in forme di animali che lasciati nel loro stato naturale. Ma, se fa parte della religione il credere che l'uomo sia stato creato da un essere buono, in armonia con questa tendenza pensare che questo essere abbia dato le facolt umane perch'esse siano coltivate e sviluppate, e non perch le si sradichino o le si distruggano. ragionevole d'imaginare ch'egli goda, tutte le volte che le sue creature fanno un passo verso l'ideale di cui esse portano in s la concezione, tutte le volte ch'esse aumentano una delle loro facolt di comprensione, di azione o di godimento. Ecco un tipo di perfezione umana ben diverso dal tipo calvinista: qui si suppone che l'umanit non riceva la sua natura per farne tantosto sacrificio. La liberazione di s stesso dei pagani uno degli elementi del merito umano, cos come l'oblo di s stesso dei cristiani[7]; vi un ideale greco di sviluppo di s stesso, a cui si accompagna, senza soppiantarlo, l'ideale platonico e cristiano d'impero su s stesso. Pu sembrar preferibile essere Giovanni Knox ad Alcibiade; ma vale ancora meglio essere Pericle, che l'uno o l'altro; e un Pericle, s'esistesse oggid, non sarebbe privo di qualcuna delle buone qualit che appartenevano a Giovanni Knox. Non gi indirizzando all'uniformit tutto ci che in essi c' d'individuale, ma coltivandolo e sviluppandolo nei limiti imposti dai diritti e dagli interessi altrui che gli esseri umani divengono un bello e nobile oggetto di ammirazione; e, come l'opera si foggia secondo il carattere di quelli che la compiono, cos, per lo stesso processo, la vita umana diviene essa pure ricca e svariata. Essa produce e conserva con maggiore abbondanza i pensieri elevati, i sentimenti che inalzano; rafforza il legame che congiunge gli individui alla razza, dando alla razza stessa maggior valore. In ragione dello sviluppo della sua individualit, ogni persona assume maggior pregio agli occh suoi propri, e per conseguenza capace di assumerne uno maggiore agli occh degli altri: vi una pi grande pienezza di vita in tutta la sua esistenza; e quando c' maggior vita nell'unit, c' maggior vita anche nella massa, che fatta di unit. Non si pu trascurare la costrizione necessaria per impedire agli esemplari pi energici della natura umana di invadere il campo dei diritti degli altri; ma a questo c' un ampio compenso, anche dal punto di vista dello sviluppo umano. I mezzi di sviluppo che l'individuo perde, se gli s'impedisce di soddisfare alle sue tendenze in modo agli altri dannoso, non si otterrebbero che a spese degli altri uomini; ed egli stesso vi trova un compenso, perch la coazione imposta al suo egoismo facilita lo sviluppo pi elevato della parte sociale della sua natura. L'essere sottomessi pel bene degli altri alle strette norme della giustizia sviluppa i sentimenti e le facolt che pel bene degli altri si esercitano; ma l'essere costretti nelle cose che non toccano punto il bene degli altri, pel loro semplice dispiacere, non isviluppa altro di buono se non la forza di carattere che si pu, forse, spiegare resistendo alla costrizione. Se ci si sottomette, questa costrizione indebolisce ed appesantisce tutta la nostra natura. Per dar buon giuoco alla natura di ciascuno bisogna che diverse persone possano seguire un diverso tenor di vita; i secoli che hanno avuto in maggior quantit questa larghezza sono quelli che pi si raccomandano all'attenzione dei posteri; il dispotismo stesso non produce i suoi peggiori effetti finch la individualit resiste sotto questo regime, e tutto ci che distrugge la individualit dispotismo, qualunque sia il nome che gli si possa dare, pretenda esso poi d'imporre la volont di Dio o i comandi degli uomini. Avendo detto che individualit sinonimo di sviluppo, e che solamente la coltura dell'individualit produce o pu produrre degli esseri umani bene sviluppati, io potrei qui chiudere l'argomento. In favore d'una data condizione delle cose umane che cosa si potrebbe dire meglio di questo: che essa conduce gli uomini il pi vicino possibile al loro tipo ideale? E di un ostacolo al bene che cosa si potrebbe dire di peggio, se non ch'esso impedisce un tale progresso? Tuttavia, senza dubbio alcuno, queste considerazioni non basteranno a convincere quelli che hanno maggior bisogno di essere convinti. Ed necessario inoltre di provare che questi esseri umani sviluppati sono utili agli esseri non sviluppati; necessario di mostrare a quelli che non desiderano la libert e che non se ne vorrebbero servire, che, se permettono ad altri di farne uso senza ostacolo, possono esserne in qualche modo apprezzabile ricompensati. E prima di tutto, non potrebbero essi imparar qualche cosa da questi individui lasciati liberi? Nessuno vorr negare che l'originalit sia un elemento prezioso nelle cose umane: vi sempre bisogno di gente, non soltanto per iscoprire verit nuove, non soltanto per indicare il momento in cui quello che fu in altri tempi una verit cessa di esserlo; ma anche per farsi iniziatori di nuove pratiche, per dar l'esempio d'una condotta pi illuminata, di maggior buon gusto e di maggior buon senso nelle cose umane. Questo non pu esser negato da chiunque non creda che il mondo abbia raggiunto la perfezione in tutte le sue abitudini e in tutti i suoi costumi. vero che un tal servigio non pu esser reso da tutti quanti senza distinzione: non vi sono che poche persone, in confronto di tutto il genere umano, le esperienze delle quali, se generalmente adottate, segnerebbero un progresso sul costume stabilito. Ma queste poche persone sono il sale della terra; senza di esse la vita umana diverrebbe un mare stagnante; e non soltanto introducono un bene ignoto, ma conservano alla vita quello che essa gi possedeva. Se anche non ci fosse nulla di nuovo da fare, forse che la intelligenza umana cesserebbe di essere necessaria? Sarebbe questa una ragione perch coloro che seguono una antica tradizione dimentichino perch la seguano, agiscano come bruti e non come esseri umani? Le migliori credenze e le pratiche migliori hanno una eccessiva tendenza a degenerare in qualcosa di macchinale; ed a meno che non vi sia una serie di persone la cui originalit infaticabile conservi la vita in queste credenze e in queste pratiche, un automatismo cos morto non resisterebbe punto all'urto pi leggiero di qualcosa di realmente vivente; non vi sarebbe ragione allora perch la civilt non isparisse, come nell'impero d'Oriente. In verit gli uomini d'ingegno sono e saranno sempre, probabilmente, una impercettibile minoranza; ma per averne, bisogna conservare il suolo sul quale possono fiorire. E l'ingegno non respira liberamente che in un'atmosfera di libert; gli uomini d'ingegno sono _ex vi termini_ pi individuali degli altri, meno capaci, per conseguenza, di modellarsi, senza una dannosa compressione, in alcuno di quegli stampi poco numerosi che la societ prepara per risparmiare a' suoi membri la fatica di formarsi un carattere. Se per timidit gli uomini d'ingegno consentono a sopportare uno di questi modelli e a permettere che non si espanda quella parte di loro stessi che non si pu dilatare sotto una tale pressione, la societ non potr approfittare del loro ingegno; ma se essi sono dotati di una gran forza di carattere e spezzano i loro legami, divengono il punto di mira della societ; non essendo riuscita a ridurli alle proporzioni comuni, essa li segna a dito come bizzarri, stravaganti ecc. Press'a poco come se ci si lagnasse di non vedere il Niagara scorrere con la stessa calma di un canale olandese. Se io insisto con questa enfasi sulla importanza dell'ingegno e sulla necessit di lasciare ch'esso liberamente si sviluppi, come pensiero e come pratica, perch, se nessuno nega in teoria la cosa, il mondo in realt vi del tutto indifferente. Gli uomini considerano l'ingegno come una bella cosa, se esso rende un individuo capace di scrivere un poema inspirato o di dipingere un bel quadro: ma dell'ingegno nel vero senso della parola, cio dell'originalit nel pensiero e nelle azioni, sebbene ognuno in teoria ammetta che sia una cosa degna di ammirazione quasi tutti in fondo del cuore trovano che si potrebbe benissimo fare a meno. Pur troppo questo un sentimento ben naturale perch deva suscitar maraviglia. L'originalit una cosa di cui gli spiriti non originali non possono sentire la utilit; essi non possono scorgere quello che l'originalit saprebbe far per loro: e come lo potrebbero? Se lo potessero, non si tratterebbe pi di originalit. Il primo servigio che la originalit deve rendere a tali spiriti, di aprir loro gli occh; e fatto questo, e fattolo bene, essi pure avran qualche speranza di diventare originali. Frattanto, questi poveri di spirito si ricordino che nulla ancora fu fatto senza che qualcuno abbia cominciato, che tutto quanto esiste di bene frutto dell'originalit; e siano modesti abbastanza per credere ch'essa ha qualcosa ancora da fare, e per convincersi che, quanto meno sentono il bisogno di originalit, tanto pi essa loro necessaria. La verit che, per grandi che siano gli omaggi onde si pretenda onorare, o si onori anche, la superiorit intellettuale, vera o supposta, la tendenza generale delle cose nel mondo di fare della mediocrit la potenza dominante. Nella storia antica, nel medio evo, e, in un grado minore, durante il lungo passaggio dalla feudalit ai tempi moderni, l'individuo era per s stesso una potenza, e, s'egli aveva o un ingegno straordinario o una condizione sociale elevata, la potenza era considerevole. Oggi, gl'individui sono perduti nella folla. In politica, quasi banale il dire che oggi il mondo governato dalla pubblica opinione; il solo potere che merita davvero nome di potere quello delle masse o quello dei governi, che si fanno strumenti delle tendenze e degl'istinti delle masse. Questo cos vero per le relazioni morali e sociali della vita privata come per le pubbliche convenzioni. Quello che si chiama opinione pubblica non sempre l'opinione delle stesse specie di pubblico: in America, il pubblico tutta la popolazione bianca, in Inghilterra, semplicemente la classe media; ma si tratta sempre di una massa, vale a dire di una mediocrit collettiva. E novit ancora pi grande oggi la massa non si forma un'opinione sull'autorit dei dignitari della Chiesa o dello Stato, di qualche capo ostensibile o di qualche libro; la sua opinione fatta da uomini press'a poco della sua levatura, che, per mezzo dei giornali, si rivolgono ad essa o parlano in suo nome sulla questione del momento. Io non lamento tutto questo, non affermo che nulla di meglio sia compatibile, come regola generale, coll'umile stato attuale dello spirito umano. Ma questo per non toglie che il govern della mediocrit sia un governo mediocre: mai il governo d'una democrazia o d'un'aristocrazia numerosa giunto ad elevarsi al di sopra della mediocrit, sia pei suoi atti politici, sia per le opinioni, le qualit, il genere di spirito pubblico a cui esso d vita, tranne l dove la folla sovrana (come ha fatto sempre nelle sue epoche migliori) si lasciata guidare dai consigli e dall'influenza d'una minoranza o di un uomo pi colto e pi riccamente dotato. L'iniziativa di tutte le cose saggie e nobili dee venir dagl'individui, e prima di tutto, in generale, da qualche individuo isolato. L'onore e la gloria della media degli uomini di poter seguire questa iniziativa, d'aver il senso di ci che saggio e nobile, e di farvisi guidare ad occhi aperti. Io non incoraggio con queste parole quella specie di culto dell'eroe, che applaudisce un uomo di genio potente perch esso s'impadronisce colla forza del governo del mondo, e gl'impone, buono o malgrado suo, i propr voleri. Tutto ci che un tal uomo pu pretendere, la libert d'indicare il cammino; quanto al potere di costringere gli altri a seguirlo, non solo esso incompatibile colla libert e lo sviluppo del resto dell'umanit, ma corrompe lo stesso uomo di genio. Sembra tuttavia che, quando le opinioni delle masse composte di uomini ordinar, son divenute o divengono dappertutto il poter dominante, contrappeso e correttivo della loro tendenza sarebbe l'individualit sempre pi spiccata de' pi eminenti pensatori. Sopratutto in tali contingenze gl'individui eccezionali dovrebbero essere incoraggiati ad agir diversamente dalla massa, in vece d'esserne impediti. In altri tempi, non c'era vantaggio in questo, a meno che essi non avessero agito non solo diversamente, ma meglio; oggi, il semplice esempio della non uniformit, il semplice rifiuto di mettersi in ginocchio davanti al costume per s stesso un fatto benefico. Appunto perch la tirannia dell'opinione tale, ch'essa fa dell'_eccentricit_ un delitto, desiderabile, per ispezzare questa tirannia, che gli uomini siano eccentrici. L'eccentricit e la forza di carattere camminano sempre di pari passo; e la somma di eccentricit che una societ contiene generalmente in ragione diretta della somma d'ingegno, di vigore intellettuale e di coraggio morale ch'essa racchiude. Ci che davvero ci addita il principal pericolo dell'et nostra il vedere cos pochi uomini osare d'essere eccentrici. Io ho detto che importante di dare il pi libero sfogo a quello che non nell'uso, affinch si possa a tempo opportuno vedere che cosa meriti di passarvi; ma la indipendenza d'azione e lo sdegno del costume non meritano d'essere incoraggiati soltanto come quelli che presentano la probabilit di creare dei modi d'agire migliori e dei costumi pi meritevoli d'esser da tutti adottati; non sono pi soltanto le persone di una superiorit intellettuale ben evidente che abbiano un giusto diritto a condurre la vita che loro aggrada. Non v' ragione perch tutte le esistenze umane siano costruite su di un unico modello, o su di un piccolo numero di modelli: se una persona possiede una sufficiente quantit di senso comune e d'esperienza, il suo proprio modo di condurre l'esistenza il migliore; non perch sia il migliore in s, ma perch il suo proprio. Gli esseri umani non sono dei montoni: e gli stessi montoni non si somigliano tutti cos da non potersi distinguere l'uno dall'altro; un uomo non pu avere un abito o un pajo di scarpe che gli stiano bene se non le fa fare apposta o se non le sceglie tra tutte quelle di un magazzino. dunque pi facile di fornirgli una vita che un abito, o la conformazione fisica e morale degli esseri umani pi uniforme di quella dei loro piedi? Se questo fosse soltanto perch gli uomini non hanno tutti lo stesso gusto, gi non occorrerebbe assolutamente di tentare di modellarli tutti ad una stessa maniera; ma, oltre a questo, le diverse persone vogliono differenti condizioni pel loro sviluppo intellettuale, e non possono mantenersi sane nella stessa atmosfera morale pi di quello che tutte le variet di piante possano fiorire sotto lo stesso clima. Le stesse cose che ajutano una persona a coltivare la sua natura superiore sono di ostacolo per un'altra. La stessa maniera di vivere per l'uno un salutare eccitamento che conserva nelle migliori condizioni le sue facolt di godimento e d'azione, mentre per l'altro un carico spaventevole che sospende o distrugge la vita interiore. Vi sono tali differenze fra gli uomini, nella loro maniera di godere, di soffrire, di soggiacere all'opera delle diverse influenze fisiche e morali, che se non vi una simile diversit nella loro maniera di vivere, essi non sapranno n ottenere tutta la loro parte di bene, n giungere all'altezza intellettuale, morale ed estetica di cui la loro natura capace. Perch dunque la tolleranza, se si tratta di sentimento pubblico, si estenderebbe solamente ai gusti e alle maniere di vivere che si fanno accettare dalla moltitudine dei partigiani di esse? In nessun luogo (salvo nelle istituzioni monastiche) si nega la diversit di gusto: una persona pu, senza esser biasimata, amare o non amare il sigaro, la musica, gli eserciz del corpo, gli scacchi, le carte o lo studio, perch i partigiani e i nemici di tutte queste cose son troppo numerosi per esser ridotti al silenzio; ma l'uomo e, anche pi, la donna che pu essere accusata di fare ci che nessuno fa o di non fare ci che fanno tutti, oggetto di un biasimo pari a quello in cui incorrerebbe per aver commesso qualche grave delitto morale. Bisogna possedere un titolo o qualche altra ragione che ci elevi nell'opinione dei concittadini al livello della gente d'importanza, perch ci si possa permettere un po' il lusso di fare quel che ci garba, senza nuocere alla nostra riputazione. Permettere un poco ho detto, e lo ripeto; perch chiunque si permettesse largamente questo lusso correrebbe il rischio di qualcosa di peggio che discorsi maldicenti; sarebbe in pericolo di esser sottoposto ad una commissione _de lunatico_ e di vedersi togliere la propriet a profitto della sua famiglia[8]. V' un tratto caratteristico nelle attuali tendenze della pubblica opinione, che proprio fatto per renderla intollerante contro qualunque spiccata dimostrazione d'individualit. In generale gli uomini non soltanto mancano di intelligenza, ma anche hanno delle inclinazioni temperate; non hanno gusti n desider abbastanza vivi per esser condotti a far qualcosa di straordinario, e, per conseguenza, non comprendono punto chi ha tutt'altre doti: lo classificano fra quegli esseri stravaganti e disordinati cui sono avvezzi a disprezzare. Oltre questo fatto, che generale, noi dobbiamo tener conto che oggid si manifestato un potente progresso morale; e si sa che cosa se ne pu attendere. Questo movimento si manifestato a' d nostri: si fatto molto per accrescere la regolarit di condotta e sconsigliare gli eccessi, e v' dappertutto uno spirito filantropico che trova la sua pi gradita applicazione nel miglioramento dei nostri simili, in fatto di morale e di prudenza. Per effetto di queste tendenze, il pubblico pi disposto che in altri tempi a prescrivere delle regole generali di condotta ed a studiarsi di ricondurre tutti al tipo normale. E questo tipo, lo si confessi o no sinceramente, di nulla desiderare con vivacit. Il suo ideale di carattere di non averne alcuno bene spiccato; qualunque parte saliente della natura umana, che tenda a rendere una persona esteriormente diversa dalla comune degli uomini, si deve mutilare colla compressione, come il piede di un chinese. lo stesso qui, che per qualunque ideale il quale escluda la met di ci che desiderabile; il tipo attualmente dominante non produce che una imitazione inferiore dell'altra met. In luogo di una grande energia guidata da una ragione vigorosa e di sentimenti potenti potentemente guidati da una coscienziosa volont, non si ottengono che una scarsa energia e dei sentimenti deboli, che per conseguenza possono conformarsi alla regola, almeno nell'apparenza, senza richiedere un grande sforzo n di volont n di ragione. Gi i caratteri energici su larga scala van diventando puramente leggendar. Oggi, nel nostro paese, l'energia non trova modo di applicarsi se non negli affari; l'energia che vi si spende pu ancora essere ritenuta considerevole; e il poco che ne sopravanza impiegato a cercar di soddisfare qualche passione, che pu essere una passione utile, magari filantropica: ma che si restringe ad una cosa sola, e, in generale, poco importante. La grandezza d'Inghilterra oggi tutta collettiva: piccoli individualmente, noi sembriamo capaci di qualcosa di grande solo per la nostra abitudine dell'associazione; e di questo i nostri filantropi morali e religiosi sono perfettamente soddisfatti. Ma uomini di un'altra tempra hanno fatto l'Inghilterra ci che essa stata; uomini d'altra tempra saranno necessar per impedirne la decadenza. Il dispotismo del costume dappertutto l'ostacolo perpetuo al progresso umano, perch esso combatte una lotta incessante contro quella disposizione a tendere a qualcosa di meglio del costume, che si chiama, secondo i casi, spirito di libert o spirito di progresso e di miglioramento. Lo spirito di progresso non sempre spirito di libert, perch pu volersi imporre a gente che non se ne cura; e lo spirito di libert, quando resiste a simili sforzi, pu allearsi, per un dato luogo o per un dato tempo, cogli avversar del progresso; ma l'unica sorgente infallibile e perenne del progresso la libert, perch solo per suo mezzo si possono avere tanti centri indipendenti di progresso quanti sono gl'individui. Tuttavia il principio progressivo, sia sotto la forma dell'amore di libert, sia sotto quella dell'amor di miglioramento, nemico dell'impero del costume; perch esso implica per lo meno la liberazione da questo giogo e la lotta tra queste due forze forma il principale interesse della storia dell'umanit. La pi gran parte del mondo, nel preciso senso della frase, non ha storia, perch ivi assoluto il dispotismo del costume. il caso di tutto l'Oriente: l il costume regna sovrano ed arbitro su tutte le cose; giustizia e diritto significano conformarsi ad esso; nessuno, salvo qualche tiranno ubbriacato dal potere, pensa a resistervi: e noi vediamo gli effetti di tutto questo. Queste nazioni debbono, in altri tempi, aver avuto dell'originalit; esse non sono uscite dalla terra popolose, colte in letteratura, e profondamente versate in certe arti della vita; sotto tutti questi rapporti debbono a s stesse la loro esistenza ed erano un tempo le pi grandi e potenti nazioni del mondo. Che cosa sono esse ora? sono suddite o dipendenti di trib i cui antenati erravano nella foresta, mentre i loro avevano dei magnifici palazzi e degli splendidi templi; ma su questi barbari il costume divideva il suo impero con la libert e col progresso. Un popolo, a quel che sembra, pu essere, durante un certo lasso di tempo, progressivo e poi fermarsi: e quando? Quando cessa di possedere l'Individualit. Se un simile cambiamento dovesse accadere anche nelle nazioni d'Europa, non sarebbe precisamente cogli stessi caratteri. Il dispotismo del costume, che minaccia queste nazioni, non precisamente l'immobilit; esso condanna la singolarit, ma non pone ostacolo al mutamento purch tutto muti nello stesso tempo. Noi abbiamo abbandonati i costumi immobili da cui i nostri avi non si allontanavano: bisogna bene ancora vestirsi come tutti gli altri: ma la moda pu mutare una o due volte per anno. Con questo, noi facciamo in modo di cambiare per amor del mutamento, non per alcun concetto di estetica o di comodit; perch lo stesso concetto di estetica o di comodit non verrebbe in testa a tutti nello stesso punto e non sarebbe, ad un altro punto, abbandonato da tutti. Noi siamo progressivi cos come siamo mutevoli: facciamo continuamente delle nuove invenzioni in meccanica e le conserviamo finch non le si possano sostituire con invenzioni migliori; siamo pronti a migliorare in fatto di politica, di educazione, di costumi, sebbene in quell'ultimo caso la nostra idea di miglioramento consista sopratutto nel rendere gli altri, o colle buone o colle brusche, buoni come siamo noi. Non ci opponiamo al progresso; anzi, ci lusinghiamo di essere la gente pi progressiva che mai si sia vista. Contro l'individualit noi combattiamo; e crederemmo d'aver compiuta un'opera meravigliosa, se ci fossimo resi tutti gli uni agli altri identici, dimenticando che la dissomiglianza tra due persone la prima cosa che attira l'attenzione, sia per l'imperfezione d'uno di questi tipi e per la superiorit dell'altro, sia per la possibilit di produrre qualcosa di meglio di ciascuno dei due, combinandone i pregi. Un esempio ed un avvertimento ci qui fornito dalla China una nazione molto ingegnosa e, sotto certi rispetti, dotata di molta saggezza, grazie alla rara fortuna d'aver di buon'ora ottenuto un complesso soddisfacentissimo di costumi: opera, fino a un certo segno, d'uomini che gli Europei pi illuminati debbono riconoscere, salvo qualche riserva, per saggi e filosofi. Questi costumi sono pure notevoli come quelli che assai bene si prestano per imprimere il pi profondamente possibile i loro migliori precetti in tutti gli spiriti della collettivit, e come quelli che attribuiscono i posti d'onore e di potere a coloro che di essi sono meglio penetrati. Senza dubbio il popolo che cos agisce deve avere scoperto il segreto dell'umana perfettibilit e marciare sovranamente in testa al progresso universale. Ebbene, no. I Chinesi son divenuti stazionar; essi da migliaja d'anni sono quali noi ora li vediamo e, se sono destinati a qualche miglioramento, questo verr loro da fuori. Essi sono riusciti in modo da superare ogni aspettazione all'opera di cui tanto faticosamente si occupano i filantropi inglesi: rendere tutto il mondo uniforme, far s che ciascuno governi i suoi pensieri e la sua condotta colle stesse massime e colle stesse regole con quali frutti, lo vediamo! Il regime della pubblica opinione , sotto una forma inorganica, quello che sono i sistemi chinesi d'educazione e di politica sotto una forma organizzata: e, a meno che l'individualit (minacciata da questo giogo) non sappia vittoriosamente rivendicare i suoi diritti, l'Europa, nonostante i suoi nobili precedenti storici e il cristianesimo che professa, tender a diventare un'altra China. E, fino ad oggi, che cosa ha salvato l'Europa da questa sorte? Che cosa ha fatto delle nazioni europee una parte progressiva e non stazionaria dell'umanit? Non la loro perfezione superiore che, quando esiste, un effetto e non una causa, ma le loro notevoli differenze di carattere e di coltura. In Europa, gl'individui, le classi, le nazioni sono state estremamente dissimili: esse si sono tracciata una grande variet di strade, ciascuna delle quali conduceva a qualcosa di preciso; e sebbene a ciascun'epoca quelli che seguivano le diverse vie siano stati intolleranti gli uni verso gli altri, e ciascuno abbia considerato una cosa eccellente poter obbligare tutti gli altri a seguire il proprio cammino, nondimeno i reciproci sforzi per impedire il loro sviluppo hanno avuto ben di rado un successo duraturo e, ciascuno alla sua volta, tutti hanno dovuto risentire il vantaggio dagli altri apportato. Secondo me, l'Europa deve soltanto a questa pluralit di vie il suo vario e progressivo sviluppo; ma gi essa comincia a possedere questo vantaggio in un grado molto meno considerevole, essa cammina direttamente verso l'ideale Chinese di rendere tutto il mondo uniforme. Il Tocqueville, nel suo ultimo ed importante lavoro, osserva quanto i Francesi d'oggi si rassomiglino pi di quelli della stessa ultima generazione: la stessa osservazione, a molto maggior ragione, si potrebbe fare sugl'Inglesi. In un passo gi citato, Guglielmo di Humboldt indic due cose come condizioni necessarie dello sviluppo umano perch esse sono necessarie per rendere gli uomini diversi gli uni dagli altri: la libert e la variet di condizione; la seconda si va ogni giorno perdendo in Inghilterra. Le contingenze che circondano le diverse classi e i diversi individui, e che plasmano il loro carattere, si vengono ogni d pi rassomigliando. In altri tempi, le diverse classi, i diversi ceti, i diversi mestieri e le professioni diverse vivevano si poteva dire in mondi differenti; oggi, in modo assoluto, vivono tutti nello stesso mondo. Oggi, relativamente parlando, leggono tutti le stesse cose, ascoltano le stesse cose, vedono le stesse cose, vanno negli stessi luoghi; hanno le loro speranze e i loro timori diretti verso gli stessi obbiettivi, gli stessi diritti, le stesse libert, e i medesimi mezzi per rivendicarle. Per grandi che siano le differenze di condizione sopravvissute, non sono nulla a confronto di quelle che sono scomparse. E l'assimilazione procede continuamente: tutti i mutamenti politici la facilitano, poich tendono tutti ad elevare le classi inferiori e ad abbassar le elevate; ogni estensione dell'educazione la facilita, perch l'educazione riunisce gli uomini sotto influenze comuni e d a tutti adito di arrivare al fondo generale dei fatti e dei sentimenti universali; ogni progresso nei mezzi di comunicazione la facilita, mettendo a contatto personale gli abitanti di luoghi lontani, e promovendo una rapida successione di mutamenti di residenza di citt in citt; ogni accrescimento di commerci e d'industrie facilita ancora quest'assimilazione estendendo la fortuna e ponendo alla portata di tutti i pi grandi oggetti di ambizione, cosicch il desiderio di elevarsi non appartiene pi ad una sola classe, ma a tutte. Ma una influenza pi potente di tutte queste per apportare una generale somiglianza fra gli uomini lo stabilirsi completo, in questo o in altri paesi, dell'influenza dell'opinione pubblica nello stato. Poich le numerose preminenze sociali, che permettevano alle persone trincerate dietro di esse di sprezzare l'opinione pubblica, si vengono grado grado livellando, poich la stessa idea di resistere alla volont del pubblico, quando si sa con certezza ch'esso ha una volont, vien sempre pi scomparendo dallo spirito degli uomini politici pratici, cessa di esservi alcun sostegno sociale per la non conformit. Non vi pi nella societ un potere indipendente, che, opposto all'influenza della maggioranza, sia interessato a prendere sotto la sua protezione delle opinioni e delle tendenze contrarie a quelle del pubblico. La riunione di tutte queste cause forma una cos gran massa d'influenze ostili all'Individualit, che non si pu ormai intravvedere come essa sar capace di difendere il suo terreno. Essa vi trover una difficolt sempre crescente, a meno che la parte intelligente del pubblico non impari a valutare questo elemento, a tener per necessarie le differenze, quand'anche esse non siano in meglio, quand'anche, nell'opinione di qualcuno, esse siano in peggio. Se i diritti della individualit devono mai essere rivendicati, venuto il momento di farlo, finch molte cose ancora mancano per completare l'assimilazione imposta: soltanto sui princip che ci si pu, con buon esito, difendere contro l'usurpazione. La generale pretesa di rendere gli altri simili a noi cresce quanto pi soddisfatta; se si attende, per resisterle, che la vita sia ridotta quasi ad un tipo unico, tutto ci che da questo tipo si stacca sar allora considerato come cosa empia, immorale ed anche mostruosa e contro natura; e la specie umana diverr ben presto incapace di comprendere la variet, quando ne avr da qualche tempo perduto lo spettacolo. FINE DEL CAPITOLO TERZO CAPITOLO QUARTO. DEI LIMITI AL POTERE DELLA SOCIET SULL'INDIVIDUO. Dove sono dunque i giusti limiti della sovranit dell'individuo su s stesso? Dove incomincia il potere della societ? Quanta parte della vita umana dev'essere attribuita all'individualit e quanta alla societ? Ciascuna di esse ricever la parte che le spetta, se avr quella che la tocca pi da vicino: la individualit deve governar la parte della vita che interessa specialmente l'individuo, e la societ la parte che interessa specialmente il corpo sociale. Sebbene, a base della societ, non istia un contratto, e sebbene non serva a nulla d'imaginarlo per dedurne degli obblighi sociali, non di meno tutti quelli che ricevono la protezione dalla societ debbono ripagarle questo beneficio: il fatto solo di vivere in societ impone a ciascuno una certa linea di condotta verso gli altri. Questa condotta consiste: 1. nel non danneggiare gl'interessi altrui o piuttosto certi fra questi interessi che, sia per espressa disposizione di legge, sia per un tacito accordo, devono essere considerati come diritti; 2. nell'assumersi ciascuno la propria parte (che dev'esser fissata secondo qualche equo principio) delle fatiche e dei sacrific necessar a difendere la societ o i suoi membri contro qualunque danno o vessazione. La societ ha l'assoluto diritto d'imporre questi obblighi a quelli che se ne vorrebbero esimere. E non si riduce a questo ci che la societ pu fare: gli atti di un individuo possono essere dannosi agli altri, o non dare una sufficiente importanza al loro benessere, senza giungere fino a violare alcuno dei loro diritti costituiti; il colpevole pu allora esser punito dall'opinione, sebbene non lo sia dalla legge. Dal momento che la condotta d'una persona dannosa agli interessi altrui, la societ ha diritto di giudicarla, e la questione di sapere se questo intervento sar o no un ajuto al benessere generale, diviene argomento di discussione. Ma non il caso di discutere una questione simile, finch la condotta di una persona non tocca che i suoi propr interessi o non riguarda gl'interessi degli altri se non col loro pieno consenso (e tutte le persone interessate sono di et matura e dotate della intelligenza normale). In casi simili, si dovrebbe avere libert completa, legale e sociale, di fare qualunque cosa, a qualunque rischio. Si fraintenderebbero queste idee, se vi si vedesse una dottrina di indifferentismo egoistico, la quale pretendesse che gli esseri umani non debbano aver mutui riguardi nella loro condotta n occuparsi del benessere e delle azioni altrui, se non quando il loro interesse in giuoco: in luogo di una diminuzione, ci che occorre un grande aumento degli sforzi disinteressati per favorire il bene altrui. Ma la benevolenza disinteressata pu trovare un altro mezzo di persuasione che non sia lo staffile, figurato o anche reale. Io non voglio per nulla toglier pregio alle virt personali: soltanto, esse vengono dopo le sociali: tocca all'educazione di coltivarle tutte allo stesso modo. Ma l'educazione stessa procede per mezzo della convinzione e della persuasione, cos come per mezzo della coazione: ed soltanto coi due primi mezzi che, una volta finita l'educazione, si dovrebbero inculcare le virt individuali. Gli uomini debbono vicendevolmente ajutarsi a distinguere il meglio dal peggio, e incitarsi a preferire il primo e ad evitare il secondo; essi dovrebbero stimolarsi continuamente ad un esercizio crescente delle loro pi nobili facolt, ad una direzione crescente dei loro sentimenti e delle loro vedute verso scopi, non pi sciocchi ma saggi, non pi bassi ma elevati. Ma una persona, o un certo numero di persone, non hanno diritto di dire ad un uomo di et matura che egli non sapr regolarsi nella vita secondo il proprio interesse, come meglio gli conviene. Il suo benessere riguarda, pi di tutti, lui stesso; l'interesse che vi pu porre un estraneo, non nulla (tranne il caso di un vivo affetto personale) a confronto di quello ch'egli stesso vi pone; la maniera con cui egli interessa la societ (salvo quanto alla sua condotta verso gli altri) parziale e indiretta: mentre per tutto quanto spetta ai suoi sentimenti o alla sua condizione, l'uomo o la donna pi comune sanno infinitamente meglio di chiunque altro come comportarsi. L'intervento della societ per dirigere il giudizio e i disegni di un uomo in ci che non riguarda che lui, si fonda sempre su presunzioni generali: ora queste presunzioni possono essere completamente false; fossero anche giuste, esse saranno probabilmente applicate a torto, nei casi particolari, da persone che non conoscono se non la superficie dei fatti. Per questo un tal ramo dell'attivit umana proprio degli individui. Per quanto riguarda la condotta degli uomini gli uni verso gli altri, l'osservanza delle regole generali necessaria, affinch ciascuno sappia che cosa deve aspettarsi; ma, quanto agli interessi particolari di ciascuna persona, la spontaneit individuale ha diritto di liberamente esercitarsi. La societ pu offrire ed anche imporre all'individuo delle considerazioni per facilitare il suo giudizio, delle esortazioni per rafforzare la sua volont: ma egli solo ne giudice supremo. Egli pu ingannarsi, non ostante gli avvertimenti e i consigli; ma il male minore di quel che si farebbe lasciando che gli altri lo costringessero a proposito di ci che ritengono suo vantaggio. Io non voglio gi dire che i sentimenti della societ verso una persona non debbano essere modificati dalle sue qualit o dai suoi difetti personali: questo non n possibile n desiderabile. Se una persona possiede in un grado eminente le qualit che possono volgere al suo vantaggio, alla sua elevazione, soltanto per questo degna d'ammirazione: si avvicina tanto pi all'ideale della perfezione umana: se, all'incontro, queste qualit le mancano grossolanamente, si avr per essa il sentimento opposto all'ammirazione. C' un grado di sciocchezza e un grado di quella che si potrebbe chiamare (sebbene questo sia un punto contestabile) bassezza o depravazione di gusto, che, se non danneggia positivamente colui che lo manifesta, lo rende per necessariamente e naturalmente oggetto di repulsione ed anche, in certi casi, di disprezzo. Sarebbe impossibile, a chiunque possieda in tutta la loro forza le qualit opposte, di non provare di questi sentimenti. Senza nuocere ad alcuno, un uomo pu agire in modo da obbligarci a considerarlo o uno sciocco, o un essere inferiore; e poich questo modo di giudicarlo non gli farebbe gran piacere, gli si rende un servizio avvertendolo anticipatamente di questo come di ogni conseguenza sgradevole a cui egli si espone. Sarebbe ottima cosa davvero che la cortesia attuale permettesse di rendere pi spesso un tal servizio, e che una persona potesse, senza passare per incivile o presuntuosa, dir francamente al proprio vicino ch'egli in errore. Noi abbiamo anche il diritto di agire in var modi, seguendo la nostra sfavorevole opinione su qualcuno, senza la minima offesa alla sua individualit, ma nel semplice esercizio della nostra. Noi non siamo obbligati, per esempio, a cercare la sua compagnia; noi abbiamo il diritto di evitarlo (non per in modo troppo visibile); perch abbiamo il diritto di scegliere la societ che meglio ne conviene; noi abbiamo il diritto, e forse anche il dovere, di metter gli altri sull'avviso contro questo individuo, se noi crediamo il suo esempio o la sua conversazione dannosa a quelli che egli frequenta; noi possiamo dare ad altri la preferenza per le spontanee cortesie, tranne se queste potessero tendere a migliorarlo. In questi modi diversi una persona pu ricevere dagli altri delle severissime punizioni per difetti che riguardano direttamente lei sola: ma essa non subisce queste punizioni se non in quanto sono le naturali e, per cos dire, spontanee conseguenze degli stessi difetti; non le s'infliggono a bello studio, con lo scopo di punirla. Una persona che mostra della precipitazione, dell'ostinazione, della boria, che non pu vivere con un patrimonio ordinario, che non sa proibirsi delle soddisfazioni dannose, che corre al piacere animale, sacrificando ad esso il sentimento e l'intelligenza, deve aspettarsi d'essere molto in basso nell'altrui estimazione e di possedere una minima parte dell'altrui benevolenza. Ma di questo essa non ha diritto di lagnarsi, a meno che non abbia meritato il favore degli altri per la speciale eccellenza delle sue relazioni sociali e non si sia cos creato un tale diritto alle loro cortesie, che essi non debbano occuparsi dei demeriti ch'ella ha verso di s. Quello che io sostengo che gl'inconvenienti strettamente connessi col giudizio sfavorevole degli altri, sono i soli a cui debba essere sottomessa una persona per quella parte della sua condotta e del suo carattere che tocca il bene suo proprio, ma non gl'interessi degli altri nelle sue relazioni con essa. Ben diversamente vanno invece trattati gli atti dannosi agli altri. Se voi usurpate i loro diritti, se voi fate subire loro una perdita o un danno che i vostri propr diritti non giustificano; se voi, a loro riguardo, mostrate della falsit o della doppiezza; se voi vi servite contro di essi di vantaggi sleali o appena poco generosi ed anche se, per egoismo, vi astenete dal salvarli da qualche danno... voi meritate, ben a ragione, la disapprovazione morale e, in casi gravi, i rimproveri e le punizioni morali. E non soltanto questi atti, ma anche le disposizioni che vi conducono sono, per parlar propriamente, immorali, e meritano una disapprovazione che pu divenire orrore. La crudelt naturale, la malizia e la malvagit, l'invidia la pi odiosa ed antisociale di tutte le passioni la dissimulazione, la mancanza di sincerit, l'irascibilit, le bizze senza sufficiente motivo, la smania di dominare, il desiderio di accaparrarci pi di quel che ci spetta (la p?e??e??a dei Greci), l'orgoglio che trova una soddisfazione nell'abbassamento degli altri, l'egoismo che pone s e i propr interessi al di sopra di ogni altra cosa al mondo e decide in proprio favore qualunque dubbia questione: ecco altrettanti viz morali che costituiscono un'indole malvagia e odiosa; essi non rassomigliano in questo ai difetti personali prima ricordati, che non sono immoralit nel senso proprio della parola, e, per quanto eccedano, non costituiscono la malvagit. Questi difetti possono provare la sciocchezza o una mancanza di dignit personale o di rispetto di s stesso, ma non sono soggetti a biasimo se non quando importano un oblo dei nostri doveri verso gli altri, pel bene dei quali l'individuo obbligato ad aver cura di s stesso. Ci che si chiama dovere verso noi stessi, non costituisce una obbligazione sociale, a meno che le circostanze non ne facciano un dovere verso gli altri; la espressione _dovere verso s stesso_, quando significa qualcosa di pi che prudenza, significa rispetto o sviluppo di s stesso; e nessuno deve, in questo argomento, render conto ai suoi simili, perch essi non vi sono interessati. La distinzione tra il discredito a cui una persona giustamente si espone, ove gli manchi la prudenza o la dignit personale, e il rimprovero che le dovuto per aver attentato ai diritti degli altri, non puramente nominale: c' una gran differenza e nei nostri sentimenti e nella nostra condotta verso una persona, a seconda ch'essa ne spiace nelle cose in cui noi riteniamo di potere a buon diritto controllarla o nelle cose in cui sappiamo di non avere tale diritto. Se essa ci spiace, noi possiamo esprimere la nostra antipatia e tenerci lontani da un essere come ci terremmo da una cosa che non ci garba; ma non ci sentiremo per questo in dovere di renderle dolorosa la vita: noi penseremo ch'essa sopporta gi o sopporter ben presto la pena del suo errore. Se essa si rovina la vita per un difetto di condotta, noi non desidereremo, proprio per questo, di rovinargliela anche di pi: lungi dall'invocare sul suo capo una punizione, noi tenteremo piuttosto di alleviare l'espiazione che per essa incomincia, mostrandole il mezzo d'evitare o di guarire i mali che la sua condotta le sta per cagionare. Questa persona insomma pu essere per noi oggetto di piet o anche d'avversione, ma non d'irritazione o di risentimento: noi non la tratteremo come un nemico della societ; il pi che ci crederemo lecito commettere a suo riguardo sar d'abbandonarla a s stessa; se pure non interverremo con benevolenza, additandole i mezzi di guarire i mali ch'essa si attirata con la sua condotta sregolata. Ma tutto il contrario se questa persona abbia infrante le regole stabilite per la protezione, individuale o collettiva, dei suoi simili: allora le conseguenze funeste delle sue azioni ricadono non su di essa, ma sugli altri, e la societ come protettrice di tutti i suoi membri deve reagire sul colpevole, infliggergli un castigo, e un castigo abbastanza severo, coll'intenzione espressa di punire. In un caso, la persona un colpevole chiamato a comparire davanti al nostro tribunale: e noi siamo incaricati non solo di giudicarlo, ma anche di eseguire, in un modo o nell'altro, la sentenza da noi emanata; nell'altro, noi non dobbiamo occuparci di punirla in modo diverso da quello che ne deriver naturalmente se noi, per regolare i nostri propr affari, useremo della stessa libert che accordiamo a lei per i suoi. Molte persone rifiuteranno di ammettere la distinzione qui stabilita, tra la parte della condotta di un uomo che tocca soltanto lui e la parte che tocca gli altri. Ci si osserver, forse: come una parte della condotta di un membro della societ pu essere indifferente agli altri membri? Nessuno completamente isolato: impossibile ad un uomo di fare qualcosa di seriamente o costantemente dannoso per s, senza che il male si estenda per lo meno a quelli che gli stanno vicini e spesso a molti altri. S'egli mette in pericolo la sua fortuna, nuoce a quelli che direttamente o indirettamente ne traevano un sostentamento, e di solito diminuisce pi o meno la ricchezza collettiva; s'egli guasta le sue qualit fisiche o morali, non fa soltanto danno a tutti quelli il cui bene dipendeva da lui, ma si rende incapace di compiere i suoi doveri verso il prossimo in generale; diviene forse un grave carico per l'altrui benevolenza o per l'affetto altrui, e, se una tale condotta fosse pi frequente, poche colpe diminuirebbero di pi la massa generale dei beni. In fine, ci si pu dire, se una persona non cagiona agli altri un danno diretto coi suoi viz o colle sue folle non di meno perniciosa per l'esempio ch'essa d, e dovrebbe esser costretta a frenarsi pel bene di quelli che la vista o la conoscenza della sua condotta potrebbero corrompere o traviare. Ed anche si aggiunger se le conseguenze della mala condotta fossero circoscritte agl'individui viziosi o poco riflessivi, la societ potrebbe abbandonare a s stessi quelli che evidentemente sono incapaci di guidarsi? Se la societ, come tutti riconoscono, deve protezione ai bambini e ai minorenni, non ne deve forse allo stesso modo alle persone d'un'et matura che sono egualmente impotenti a governarsi da s? Se il giuoco o l'ubbriachezza o l'incontinenza o l'ozio o l'oscenit sono ostacoli al bene ed al progresso altrettanto gravi che la maggior parte delle azioni dalla legge vietate, perch la legge non tenterebbe, fin dove la cosa possibile, di reprimere anche questi abusi? E per supplire alle inevitabili imperfezioni della legge, l'opinione non dovrebbe essa almeno organizzare una forte polizia contro questi viz, e dirigere contro quelli che ne sono macchiati tutti i rigori delle penalit sociali? Non si tratta qui ci dicono di comprimere la individualit n d'impedire che si provi qualche maniera di vivere nuova ed originale; le sole cose che si cerca d'impedire sono cose che furono gi provate e, da che mondo e mondo, condannate; sono cose che l'esperienza ha dimostrato n utili n convenienti all'individualit di alcuno. Occorre un certo lasso di tempo ed una certa quantit d'esperienza, perch una verit di morale o di prudenza possa esser considerata come stabilita, e tutto quello che si desidera d'impedire che le generazioni, l'una dopo l'altra, cadano nell'abisso che stato fatale alle loro preceditrici. Io riconosco pienamente che il torto che una persona si fa pu seriamente danneggiare i suoi prossimi parenti nei loro interessi e nei sentimenti loro, e, in un grado minore, la societ in generale. Quando da una tale condotta un uomo trascinato a violare una obbligazione precisa ed accertata verso uno o pi altri, il caso cessa di essere personale e divien soggetto alla disapprovazione morale nel vero senso della parola. Per esempio, se un uomo, colla sua intemperanza o colla sua stravaganza, diviene incapace di pagare i suoi debiti, oppure, se, gravato della responsabilit di una famiglia, diviene per le stesse cagioni incapace di mantenerla e di allevarla, egli giustamente disapprovato e pu essere giustamente punito: ma questo non per la sua stravaganza, bens per aver mancato a' suoi doveri verso la famiglia o verso i creditori. Se il danaro che ad essi doveva essere consacrato fosse stato stornato per l'impiego pi prudente, la sua colpevolezza morale sarebbe stata la stessa: Giorgio Barnwell uccise suo zio affine di aver danaro per l'amante; ma sarebbe stato impiccato ugualmente s'egli l'avesse fatto per istabilirsi negli affari. Allo stesso modo, se un uomo, come spesso accade, procura alla famiglia dei dispiaceri col darsi a cattive abitudini, si pu rimproverargli ben a ragione la sua malvagit o la sua ingratitudine; ma lo si potrebbe fare ugualmente se si desse ad abitudini, punto viziose in s, ma penose per quelli con cui passa la vita, o il cui benessere dipende da lui. Chiunque manca al rispetto generalmente dovuto agl'interessi e ai sentimenti degli altri, senza esservi costretto da qualche dovere pi imperioso o giustificato da qualche lecita inclinazione, merita la disapprovazione morale per questa mancanza, ma non per la causa di essa, non per gli errori puramente personali che possono avervelo in origine condotto. E del pari, se una persona, per una condotta puramente egoistica, si rende incapace di adempire a qualche obbligo verso il pubblico, colpevole di offesa sociale. Nessuno dovrebbe essere punito unicamente perch ubbriaco, ma un soldato o un poliziotto debbono esser puniti se ubbriachi quando son di guardia. Insomma, dovunque c' per un individuo o pel pubblico un danno preciso, o il preciso pericolo di un danno, il caso non appartiene pi al dominio della libert e passa a quello della moralit o della legge. Ma quanto al danno semplicemente eventuale o, per dir cos, imaginabile che alcuno pu cagionare alla societ senza violare alcun preciso dovere verso il pubblico e senza evidentemente colpire altri che s stesso, la societ pu e deve sopportare questo inconveniente, pel bene superiore della libert umana. Se si debbono punire degli adulti perch essi non vegliano, come si dovrebbe, su loro stessi, io vorrei lo si facesse per loro amore, e non sotto il pretesto ch'essi rendonsi incapaci di compiere certi doveri verso la societ, quando questa non pretende al diritto di imporli loro; ma io non posso ammettere che la societ non abbia altro mezzo di elevare i suoi membri pi deboli al livello ordinario della condotta razionale fuor che attendere ch'essi abbiano agito in modo disonorevole e punirli allora, legalmente o moralmente. La societ ha avuto tutto il potere su di essi durante la prima parte della loro esistenza, ha avuto tutto il periodo dell'infanzia e della minore et per tentar di renderli capaci di condursi ragionevolmente durante la vita. La generazione presente padrona dell'educazione e di tutto il destino della futura; in realt essa non la pu rendere perfettamente saggia e perfettamente buona, perch queste due qualit bont e saggezza mancano in modo deplorevole a lei stessa; e i suoi pi grandi sforzi, in molti casi particolari, non sono quelli coronati da esito pi felice; ma la generazione presente perfettamente capace insomma di rendere la generazione avvenire altrettanto buona ed anche un po' migliore di essa. Se la societ lascia che un gran numero de' suoi membri cresca in uno stato d'infanzia prolungata, incapace di sentir l'influenza di considerazioni razionali con cause un po' remote, la colpa delle conseguenze ricade sulla societ. Armata non soltanto di tutti i poteri della educazione, ma ancora della forza che qualunque opinione accetta all'universale esercita sui meno capaci di giudicare con la loro testa, ajutata dalle penalit _naturali_ che chiunque si espone al disgusto o al disprezzo di quei che lo conoscono non riesce ad evitare, la societ non deve pretendere, oltre a tutto questo, il potere di fare o d'imporre delle leggi relative agl'interessi personali degl'individui. Secondo tutte le regole di giustizia e d'utilit, la valutazione di questi interessi dovrebbe spettare a quelli che ne sopporteranno le conseguenze. Nulla tende maggiormente a screditare e a rendere inutili i buoni mezzi d'influire sulla condotta umana che l'aver ricorso ai peggiori; se vi in coloro che si tenta di costringere alla prudenza o alla temperanza la stoffa di un carattere vigoroso e indipendente, essi senza dubbio alcuno si ribelleranno al giogo. Nessun uomo cosiffatto penser che gli altri abbiano il diritto di sorvegliarlo nei suoi interessi, come hanno invece quello d'impedirgli di danneggiare i loro; e facilmente, da questo, si giunge a considerare come segno di forza e di coraggio il far fronte ad un'autorit cos usurpata e l'eseguire con ostentazione precisamente il contrario di ci che essa prescrive. Cos si videro, al tempo di Carlo II, dei costumi licenziosi succedere come una moda all'intolleranza morale nata dal fanatismo puritano. Quanto a quello che si dice della necessit di proteggere la societ contro il cattivo esempio dato dagli uomini viziosi o leggieri, vero che il cattivo esempio, sopratutto quello di nuocere impunemente agli altri, pu avere un effetto pernicioso. Ma noi parliamo ora della condotta che, mentre non nuoce agli altri, si suppone dannosissima a chi la segue; ed io non vedo come, in questo caso, non si trovi l'esempio pi salutare che dannoso, perch, se esso mette in mostra la condotta cattiva, addita nello stesso tempo le conseguenze penose e degradanti che in generale, per mezzo di una censura giustamente applicata, finiscono coll'esserne l'espiazione. Ma l'argomento pi forte contro l'intervento del pubblico nella condotta _personale_ che, quando esso interviene, lo fa inconsideratamente. In questioni di moralit sociale o di dovere verso gli altri, l'opinione del pubblico (che quanto dire di una maggioranza dominante) sebbene spesso falsa, ha qualche probabilit d'essere anche pi spesso giusta, perch il pubblico chiamato cos a giudicare soltanto dei propr interessi e del modo con cui essi sarebbero danneggiati da una certa maniera di comportarsi, se questa fosse permessa; ma l'opinione di una tale maggioranza imposta alla minoranza come legge su questioni personali ha altrettanta probabilit di esser falsa quanto d'esser giusta. Infatti, in tali casi, le parole _opinione pubblica_ significano tutt'al pi l'opinione di qualche persona su ci che per altre persone buono o cattivo, e spessissimo non significano neppur questo, giacch il pubblico con la pi perfetta indifferenza trascura il piacere o la convenienza di quelli di cui biasima la condotta, e non ha riguardo che alle sue proprie inclinazioni. Molti ritengono un'offesa ogni condotta che, mentre eccita il loro disgusto, sembra loro un oltraggio ai loro sentimenti: come quel bigotto che, accusato di trattare con troppa indifferenza i sentimenti religiosi degli altri, rispondeva ch'erano gli altri a trattare con indifferenza i suoi, persistendo nelle loro abominevoli credenze. Ma non c' alcuna identit fra il sentimento di una persona per la sua propria opinione e il sentimento di un'altra che si ritiene offesa dal veder professata questa opinione pi di quella che vi sia tra il desiderio di un ladro di prendere una borsa, e quello che prova il possessore legittimo di conservarla. E il gusto di una persona sua stretta propriet appunto come la sua opinione o la sua borsa. facile imaginare un pubblico ideale che lasci tranquilla la libert e la scelta degl'individui per ogni cosa incerta, esigendo soltanto che si astengano da quei modi di comportarsi che l'universale esperienza ha condannati: ma dove si veduto un pubblico porre tali limiti alla sua censura? Oppure, quando mai il pubblico si cura dell'esperienza universale? Il pubblico, intervenendo nella _condotta personale_ pensa raramente ad altro fuor che all'enormit che vi nel pensare ed agire diversamente da lui; e questo criterio, appena mascherato, presentato alla specie umana come il precetto della religione e della filosofia, dai nove decimi degli scrittori moralisti e speculativi. Essi c'insegnano che le cose sono giuste perch sono giuste, perch noi sentiamo che lo sono; ci dicono di cercare nel nostro spirito o nel nostro cuore le leggi di condotta che ci obbligano e verso noi stessi e verso gli altri. Che cosa pu fare il povero pubblico, pi di applicare questi insegnamenti e rendere obbligator per tutti i suoi sentimenti personali di bene o di male, quando essi sono abbastanza unanimi? Il male che qui si addita non esiste soltanto in teoria, e il lettore attende forse che io citi i casi particolari in cui il pubblico di questo secolo o di questo paese d, a torto, il carattere di legge morale ai suoi capricci. Io non iscrivo un saggio sulle attuali aberrazioni del senso morale: ed questo un soggetto troppo importante per essere discusso tra parentesi e come esempio illustrativo; non di meno sono necessar degli esemp per dimostrare che il principio da me sostenuto ha una seria importanza pratica e che io non cerco di far sorgere ostacoli contro mali imaginar. Non difficile provare con esemp numerosi che una delle pi universali tendenze della umanit d'estendere i limiti di ci che si pu chiamare la polizia morale fino al punto in cui essa invade il campo delle libert pi sicuramente legittime dell'individuo. Come primo esempio, vedete le antipatie che gli uomini nutrono a proposito di un motivo tanto frivolo come la differenza delle pratiche e sopratutto delle astinenze religiose. Per citare un caso un po' triviale, nulla nella credenza o nel culto dei cristiani attizza di pi l'odio dei musulmani contro di loro che il vederli mangiar carne di majale; poche azioni sono pi antipatiche ai cristiani ed agli europei di quello che questo modo di nutrirsi sia ai maomettani. , prima di tutto, un'offesa verso la loro religione; ma questa circostanza non ispiega punto il grado o la forma della loro ripugnanza: perch il vino pure proibito dalla loro religione, e, sebbene i musulmani trovino biasimevole bere del vino, non ne sono affatto disgustati. La loro avversione per la carne della _bestia sudicia_ porta all'incontro quel carattere particolare, simile ad una istintiva antipatia, che l'idea di sporcizia, quando sia penetrata ben addentro nei sentimenti, sembra eccitar sempre anche in quelli le cui abitudini personali non sono affatto di una propriet scrupolosa. Il sentimento dell'impurit religiosa, cos vivo presso gl'Indiani, ne un notevole esempio. Supponete ora che in un popolo in cui la maggioranza musulmana, questa maggioranza voglia proibire, in tutto il paese, che si mangi carne di majale: non vi in questo nulla di nuovo per paesi maomettani[9]. Sarebbe un esercitare legittimamente l'autorit morale dell'opinione pubblica? No, dite voi: e perch no? Questo costume realmente disgustante per un tal pubblico: esso crede sinceramente che Dio lo proibisca e lo aborra. Non si potrebbe d'altro canto biasimare questo divieto come una persecuzione religiosa: sar religioso nell'origine, ma non una persecuzione per causa religiosa, perch nessuna religione obbliga a mangiar carne di majale. Il solo motivo sostenibile per condannare un tal divieto sarebbe questo: il pubblico non ha nulla che vedere nei gusti e negli interessi personali degli individui. Per parlar di cose a noi pi vicine, la maggioranza degli Spagnuoli considera una grossolana empiet e la pi grave offesa verso l'Essere Supremo il tributargli un culto che non sia quello dei cattolici romani, e sul suolo di Spagna non v' altro culto tollerato. Per tutti i popoli del mezzogiorno d'Europa, un clero ammogliato non soltanto irreligioso, ma impudico, indecente, rozzo, disgustante. Che cosa pensano i protestanti di questi sentimenti perfettamente sinceri e dei tentativi fatti per applicarli con ogni rigore a quelli che non sono cattolici? Tuttavia, se gli uomini possono vicendevolmente turbare la propria libert nelle cose che non toccano gli interessi degli altri, per quali princip si pu logicamente escluderne questi casi d'intolleranza? O chi pu biasimare della gente perch vogliono distruggere ci ch'essi considerano come uno scandalo innanzi a Dio e innanzi agli uomini? Non si possono aver ragioni migliori per vietare ci che si ritiene una immoralit personale di quelle che, per sopprimere questi costumi, abbiano coloro i quali li considerano come emp; e, a meno che noi vogliamo adottar la logica dei persecutori e dire che noi possiamo perseguitare perch abbiamo ragione, e che essi non devono perseguitare noi perch hanno torto, dobbiamo ben guardarci dall'ammettere un principio, la cui applicazione, se si facesse a nostro carico, ci sembrerebbe una s grande ingiustizia. Si pu, sebbene a torto, osservare che gli esemp precedenti sono tratti da eventualit impossibili nel nostro paese, perch da noi l'opinione non giunger fino ad imporre apertamente l'astinenza da certi cibi o a molestare la gente perch segue questo o quel culto o perch essa si ammoglia o no secondo le sue credenze e le sue tendenze: ebbene, l'esempio che segue sar tratto da un attentato alla libert di cui non punto scomparso il pericolo. Dovunque i puritani sono stati in forza sufficiente, come nella Nuova Inghilterra e nella Gran Bretagna al tempo della repubblica, hanno tentato, e con successo, di sopprimere i divertimenti pubblici e quasi tutti i privati, in ispecial modo la musica, la danza, il teatro, i giuochi pubblici o qualunque altra riunione a scopo di divertimento. Vi ancora nel nostro paese un numero non indifferente di persone, le cui idee di religione e di moralit condannano queste ricreazioni; ora, poich queste persone appartengono sopratutto alla classe media che ha oggi pi influenza di qualunque altra nel nostro paese, non punto impossibile che i seguaci di queste opinioni possano un d o l'altro disporre di una maggioranza in parlamento. Che cosa dir il resto della comunit vedendo i divertimenti ad essa permessi regolati dai sentimenti morali e religiosi dei calvinisti e dei metodisti pi severi? Non intimer, e molto risolutamente, a questi uomini cos importunamente pii, di occuparsi degli affari loro? precisamente quello che si dovrebbe dire a qualunque governo o pubblico avesse la pretesa di privare tutti quanti dei piaceri ch'esso condanna. Ma, se il principio su cui la pretesa si fonda ammesso, non si pu ragionevolmente opporsi a che la maggioranza o qualunque altro potere dominante nel paese lo applichi secondo le sue vedute; e ciascuno deve tenersi pronto ad adattarsi all'idea di una repubblica cristiana, quale la pensavano i coloni primitivi della Nuova Inghilterra, se una setta religiosa come la loro rioccupasse mai il terreno perduto, come han fatto spesso delle religioni che si credevano in decadenza. Supponiamo ora un'altra eventualit che ha forse probabilit maggiore di esser mandata ad effetto. Tutti riconoscono nel mondo moderno una potente tendenza verso una costituzione democratica della societ, sia poi essa accompagnata o no da instituzioni politiche popolari. Si dice che nel paese dove pi prevale questa tendenza, negli Stati Uniti, dove si hanno la societ ed il governo pi democratico, il sentimento della maggioranza, a cui spiace qualunque modo di vivere troppo brillante o troppo dispendioso perch essa possa sperar di uguagliarlo, fa abbastanza bene l'ufficio di una legge suntuaria; e vi sono, dicesi, molte parti dell'Unione, in cui una persona ricchissima pu difficilmente trovar qualche modo di spendere la sua fortuna senza attirarsi la disapprovazione popolare. Sebbene, senza alcun dubbio, questo racconto esageri grandemente i fatti esistenti, tuttavia lo stato di cose ch'esso descrive non soltanto concepibile e possibile; il pi probabile risultato delle idee democratiche alleate a questo concetto: che il pubblico ha diritto d'imporre il suo veto sul modo con cui gl'individui spendono le loro rendite. Ora noi non abbiamo che da supporre una notevole diffusione delle idee socialiste, e pu divenire, agli occh della maggioranza, infame il possedere qualcosa di pi che una piccolissima propriet o qualcosa di pi che un salario guadagnato col lavoro manuale. Simili opinioni (almeno in principio) hanno gi fatto grandi progressi nella classe operaja, e pesano in modo oppressivo sui suoi membri. Dir una cosa molto nota: i cattivi opera (che sono in maggioranza in molti rami dell'industria) professano fermamente l'opinione ch'essi dovrebbero avere gli stessi salar dei buoni opera, e che non si dovrebbe permettere a nessuno, sotto pretesto di lavorare a cottimo o altrimenti, di guadagnare pi degli altri, per la sua maggiore abilit o destrezza. Ed essi impiegano una polizia morale, che all'occasione diviene una polizia fisica, per impedire agli abili opera di ricevere e ai padroni di dare un compenso pi grande ai serviz migliori. Se il pubblico ha la minima giurisdizione negli interessi privati, io non vedo qual sia la colpa di costoro, n perch il pubblico particolare relativo ad un individuo possa meritare biasimo, quando pretende sulla costui condotta individuale il diritto preteso dal pubblico in generale sugli individui in generale. Ma, per non fermarci alle ipotesi, oggi si invade grossolanamente il campo della libert privata. Si minaccia di farlo anche di pi con qualche probabilit di successo, e si predicano delle opinioni che rivendicano nel pubblico il diritto illimitato di proibire colla legge non soltanto tutto quello che esso trova cattivo, ma anche, per colpire pi sicuramente quello ch'egli crede tale, molte cose che riconosce innocenti. Sotto pretesto d'impedire l'intemperanza, si vietato per legge a tutta una colonia inglese e a quasi una met degli Stati Uniti di servirsi delle bevande fermentate altrimenti che come medicine; perch, in realt, vietarne la vendita, proibirne l'uso; e del resto lo si comprendeva bene cos. E sebbene l'impossibilit di eseguire la legge l'abbia fatta abbandonare dalla maggior parte degli Stati che l'avevano adottata, compreso quello che le aveva dato il nome, tuttavia molti dei nostri dichiarati filantropi hanno tentato e tentano di continuo di ottenere una legge simile nel nostro paese. L'associazione o _alleanza_, come essa si chiama, che si formata a questo scopo, ha avuto della notoriet per la pubblicit data ad una corrispondenza tra il suo segretario e un uomo di Stato, appartenente al piccolo numero di quelli che in Inghilterra credono che le opinioni di un personaggio politico debbano basarsi su princip. La parte che lord Stanley ha preso in questa corrispondenza rafforzer le speranze che gi aveva concepite su di lui chiunque sa quanto le qualit di cui egli, a pi riprese, ha dato pubbliche prove siano rare presso i militanti nella politica. L'organo dell'_Alleanza condanna altamente qualunque principio che possa servire a giustificare il fanatismo e la persecuzione_ e si prova a dimostrarci _la barriera assolutamente insuperabile_ che divide questi princip da quelli dell'associazione. _Tutte le materie relative al pensiero, all'opinione, alla coscienza, mi sembrano dice al di fuori del dominio legislativo. Le cose soltanto che appartengono alla condotta sociale, ai costumi, alle relazioni mi sembrano soggette ad un poter discrezionale posto nella legge e non nell'individuo._ Qui non si fa alcuna menzione d'una terza classe di atti diversa dalle due ricordate: le azioni e le abitudini non sociali ma individuali, quantunque a questa classe appartenga senza dubbio il bere liquori fermentati. Ma mi si dir che vendere bevande fermentate commerciare, e che commerciare un atto sociale. Ancora, noi ci lagniamo d'una limitazione illecita delle libert non del venditore, ma del compratore e del consumatore, perch lo Stato potrebbe allo stesso modo proibirgli di bere del vino che rendergli impossibile di procurarselo. Tuttavia il segretario continua: _Io esigo come cittadino il diritto di fare una legge dovunque l'atto sociale d'un altro invade il campo dei miei diritti sociali._ Ed ecco la descrizione di questi _diritti sociali_: _Se qualcosa vi che invada questo campo, , senza dubbio alcuno, il commercio dei liquori spiritosi. Esso distrugge il mio fondamental diritto di sicurezza, creando e stimolando continuamente disordini; viola il mio diritto d'eguaglianza, con lo stabilire dei profitti che creano una miseria per sollevar la quale si fa contribuire anche me; annulla il mio diritto ad un libero sviluppo intellettuale e morale, circondandomi di pericoli e indebolendo e rendendo immorale la societ, da cui ho diritto di esigere ajuto e soccorso_. Tale sistema dei diritti sociali, che giammai senza dubbio era stato cos nettamente formulato, si riduce, in sostanza, a questo: diritto sociale assoluto per ciascun individuo di esigere che tutti gli altri agiscano in ogni cosa precisamente come dovrebbero: chiunque manca menomamente al suo dovere, viola il mio diritto sociale e mi d ragione di chiedere alla legge un rimedio a questo male. Un principio cos mostruoso infinitamente pi pericoloso che qualunque isolata usurpazione a danno della libert; non v' violazione di questa che con esso non si possa giustificare. Esso non riconosce nessun diritto a nessuna libert salvo forse quella di professare in segreto delle opinioni senza palesarle mai; perch dal momento che alcuno emette una opinione che io considero dannosa, viola i _diritti sociali_ dall'_Alleanza_ riconosciutimi. Questa dottrina accorda a tutti gli uomini vicendevolmente un interesse determinato nella loro perfezione morale, intellettuale e persino fisica, che ciascun d'essi deve definire secondo il proprio criterio. Un altro esempio notevole di violazione della giusta libert dell'individuo, che non una semplice minaccia, ma una pratica dominante ed antica, la legislazione del riposo festivo. Senza dubbio alcuno, astenersi dalle occupazioni ordinarie un giorno la settimana, per quanto lo concedono le esigenze della vita, un'abitudine altamente salutare, sebbene non sia un dovere religioso che per gli Ebrei. E poich questo costume non pu essere osservato senza il consenso generale delle classi operaje, e qualcuno lavorando potrebbe imporre agli altri la necessit di fare lo stesso, forse ammissibile e giusto che la legge garantisca a ciascuno l'osservanza generale dell'abitudine sospendendo in un dato giorno le principali operazioni dell'industria. Ma questa giustificazione, fondata sul diretto interesse che hanno gli altri o che ciascuno segua tale costume, non si applica alle occupazioni che una persona si sceglie da s e a cui crede conveniente dedicare le sue ore d'ozio; aggiungo che non si applica menomamente di pi alle restrizioni legali imposte ai divertimenti. vero che il divertimento di qualcuno pu essere, nel giorno di festa, il lavoro di qualche altro; ma il piacere, per non dire l'utile ricreazione d'un gran numero, val bene il lavoro di qualcuno, purch l'occupazione sia scelta liberamente e possa essere liberamente abbandonata. Gli opera hanno perfettamente ragione di pensare che se tutti lavorassero la domenica, si darebbe il lavoro di sette giorni pel salario di sei: ma dal momento che la gran massa delle operazioni sospesa, quel piccolo numero di persone che deve continuare il lavoro pel piacere degli altri, ottiene un proporzionale accrescimento di salario e nessuno obbligato a continuare nelle sue occupazioni se preferisce il riposo al guadagno. Chi voglia cercare un altro rimedio, lo potr trovare nello stabilire un giorno di vacanza durante la settimana per queste classi speciali di persone. Per giustificare adunque le restrizioni poste ai divertimenti della domenica, bisogna confessare che essi sono riprovevoli dal punto di vista religioso un motivo di legislazione contro di cui non si protester mai abbastanza. _Deorum injuriae Diis curae_. Resta a stabilire che la societ, o qualcuno dei suoi funzionar, abbia ricevuto di lass l'incarico di vendicare qualunque supposta offesa alla potenza suprema, che non sia anche un torto fatto ai nostri simili. L'idea che dovere dell'uomo rendere religioso il suo prossimo fu la causa di tutte le persecuzioni religiose che mai siano state ordinate; e, se fosse ammessa, le giustificherebbe pienamente. Quantunque nel sentimento che si rivela coi tentativi spesso ripetuti d'impedire alle ferrovie di far servizio, ai musei d'essere aperti la domenica, ecc., non vi sia la crudelt degli antichi persecutori; tuttavia v' l'indizio di uno stato di spirito assolutamente identico a quello. la decisione di non tollerare negli altri quello che la loro religione permette, ma che la religione del persecutore vieta; la persuasione che Dio non soltanto detesta l'atto del miscredente, ma non avr per innocenti neppur noi, se permettiamo che si commetta. Io non posso astenermi dall'aggiungere a queste prove del poco conto in cui generalmente tenuta la libert umana, il linguaggio di franca persecuzione che la stampa del nostro paese si lascia sfuggire tutte le volte che deve rivolger la sua attenzione sul notevole fenomeno del mormonismo. Si potrebbe parlare a lungo assai su questo fatto inatteso e pieno d'insegnamenti che una pretesa rivelazione e una religione la quale su questa base riposa (ci quanto dire il frutto di una evidente impostura, che non neppur sostenuta dal fascino di alcuna qualit straordinaria nel suo fondatore) oggetto di fede per moltitudini ed stato il fondamento di una societ, nel secolo dei giornali, delle ferrovie e dei telegrafi. Quello che ci riguarda si che questa religione, come molte altre e migliori, ha i suoi martiri; che il suo profeta e fondatore fu mandato a morte in una sommossa a causa della sua dottrina, e che molti fra i suoi seguaci perdettero allo stesso modo la vita; che la loro setta fu espulsa dal paese ov'era nata e che ora, mentre essa stata cacciata in un solitario rifugio, in mezzo ad un deserto, molti inglesi dichiarano apertamente che sarebbe bene (solamente non sarebbe comodo) fare una spedizione contro i Mormoni ed obbligarli colla forza ad accettare opinioni diverse. La poligamia adottata dai Mormoni la cagion principale di questa antipatia contro le loro dottrine, con cui si violano cos le leggi della tolleranza religiosa; la poligamia, sebbene permessa ai Maomettani, agl'Indiani, ai Chinesi, sembra eccitare una implacabile animosit quando praticata da gente che parla inglese e che dice di essere una specie di cristiani. Nessuno pu disapprovare pi energicamente di me questa istituzione dei Mormoni: ci per molte ragioni, e fra le altre perch, lungi dall'essere basata sul principio di libert, essa ne una diretta violazione poich non fa che rafforzare le catene di una parte delle collettivit ed esimere l'altra da ogni reciprocit di obblighi. Tuttavia, conviene ricordare che questa relazione tanto volontaria da parte delle donne che ce ne sembrano le vittime, quanto qualunque altra forma dell'instituzione del matrimonio; e del resto, per quanto la cosa possa sembrare sorprendente, essa ha la sua spiegazione nelle idee e nelle abitudini generali del mondo: si insegna alle donne a considerare il matrimonio come l'unica cosa necessaria: ed ben naturale cos che molte di esse preferiscano sposare un uomo che ha parecchie altre mogli, a non maritarsi del tutto. Non si domanda ad altri paesi di riconoscere tali unioni o di permettere che una parte dei loro cittadini abbandoni la legge nazionale per seguir la dottrina dei Mormoni; ma quando dei dissidenti hanno concesso ai sentimenti ostili dei loro avversar assai pi di quello che si potesse, in istretta giustizia, esigere, quando essi hanno abbandonato i paesi che non potevano tollerare le loro dottrine e si sono stabiliti in un remoto angolo della terra, che sono stati i primi a rendere abitabile, difficile scorgere secondo quali princip (salvo quelli della tirannia) si possa impedir loro di viverci come loro garba, purch essi non commettano aggressioni contro altri paesi, e lascino ai malcontenti la piena libert di andarsene. Uno scrittore moderno di merito, per qualche rispetto notevole, propone (usiamo le sue parole) una spedizione non di crociati, ma di pionieri della civilt contro questa comunit politica, per metter fine a ci che a lui sembra un passo addietro nel cammino del progresso. Io penso la stessa cosa ma non credo che alcuna comunit abbia diritto di forzare un'altra ad essere civile. Dal momento che le vittime di una legge cattiva non invocano i soccorsi di altre comunit, io non posso ammettere che persone completamente estranee abbiano il diritto di esigere la cessazione di uno stato di cose che pare soddisfaccia tutte le parti interessate, soltanto perch si tratta di uno scandalo per gente lontana qualche migliajo di miglia, e perfettamente al di fuori della questione. Spedite loro, se vi pare cosa buona, dei missionari, che predichino sull'argomento, ed impiegate tutti i mezzi leali (fra cui non quello d'imporre silenzio ai novatori) per impedire nel vostro paese il progresso di tali dottrine. Se la civilt ha prevalso sulla barbarie, quando la barbarie dominava il mondo incontrastata, eccessivo temere che la barbarie, sconfitta una volta, possa rivivere e riprendere il predominio sulla civilt. Una civilt che potrebbe soccombere cos davanti al suo nemico gi sbaragliato, deve essere talmente degenerata che n i suoi sacerdoti n i suoi institutori ufficiali n alcun altro abbiano la capacit o si vogliano dar l'incomodo di difenderla. Se cos , quanto pi da questa civilt si sar lontani, tanto meglio: essa non pu se non proseguire di male in peggio, finch sia distrutta e rigenerata (come l'impero d'Occidente) da pi energici barbari. FINE DEL CAPITOLO QUARTO CAPITOLO QUINTO. APPLICAZIONI. I principi in questo lavoro sostenuti devono essere ammessi in generale, come fondamento di una discussione particolareggiata, prima di poterli applicare, con qualche speranza di buon esito, ai var rami della politica e della morale. Le poche osservazioni che mi propongo di fare su questioni speciali sono destinate a rischiarare i princip piuttosto che a trarne le conseguenze; io non offro tanto delle applicazioni; quanto degli esemp di applicazioni, i quali possono servire a gettar maggior luce sul senso e sui limiti delle due massime che sono la base di questo saggio: inoltre, queste applicazioni possono giovare all'equit del giudizio quando non si sappia bene quale delle due massime convenga applicare. Ecco, intanto, i princip: 1. l'individuo non responsabile verso la societ delle sue azioni, finch queste non riguardano se non i suoi personali interessi: i consigli, l'istruzione, la persuasione, l'isolamento anche, se gli altri credono necessario pel loro bene di ricorrere a quest'ultimo mezzo: ecco le sole maniere con cui la societ pu legittimamente dimostrare il suo disgusto o la sua disapprovazione della condotta dell'individuo: 2. delle azioni ritenute dannose agli interessi altrui, l'individuo responsabile e pu esser sottomesso alle punizioni sociali e legali, se la societ giudica le une o le altre necessarie alla propria protezione. Anzitutto non affatto da credere che un danno o il pericolo di un danno fatto agli altrui interessi possa sempre giustificare l'intervento della societ: questo vero solo in certi casi. In un gran numero di casi, un individuo, nel proseguire un legittimo fine cagiona necessariamente, e di conseguenza legittimamente, un danno o un dispiacere ad altri individui, o intercetta un bene che essi potevano ragionevolmente sperare. Tali opposizioni d'interessi tra gli individui derivano spesso da cattive instituzioni, ma sono inevitabili finch queste instituzioni durano; qualcuna anche sarebbe inevitabile sotto qualunque forma d'instituzioni. Chiunque riesca in una professione che molti occupano o in un concorso; chiunque sia preferito ad un altro in qualunque lotta per uno scopo che due persone desideravano di raggiungere, trae profitto dalla perdita degli altri, dai loro sforzi riusciti vani e dal loro dispiacere. Ma una cosa che tutti ammettono: meglio, nell'interesse generale dell'umanit, che gli uomini continuino i loro sforzi senza esserne distolti da questo genere di conseguenze. In altri termini, la societ non riconosce ai competitori disgraziati alcun diritto morale o legale ad essere esenti da questa specie di dolore; essa non si sente chiamata ad intervenire se non quando i mezzi impiegati per raggiungere lo scopo sono di quelli che l'interesse generale non pu permettere; la frode o il tradimento, e la violenza. Commerciare ripetiamolo ancora un atto sociale. Chiunque si mette a vendere una merce qualunque fa una cosa che tocca gl'interessi altrui e la societ in generale; dunque la sua condotta , per principio, sotto la giurisdizione della societ: di conseguenza, si considerava in altri tempi come dovere del governo fissare il prezzo e regolare il modo di fabbricazione delle manifatture. Ma ora si riconosce, sebbene soltanto dopo una lunga lotta, che il buon prezzo e la buona qualit delle merci si garantiscono pi efficacemente lasciando produttori e venditori perfettamente liberi, senz'altro freno che l'uguale libert pei compratori di provvedersi altrove. Tale la dottrina detta del libero scambio, la quale riposa su basi non meno solide, ma diverse da quelle del principio di libert individuale proclamato in questo saggio. Le restrizioni poste al commercio o alla produzione per ragioni di commercio sono in realt coazioni; e qualunque coazione, in quanto coazione, un male: ma esse toccano soltanto quella parte della condotta umana che la societ ha diritto di sorvegliare e non hanno altro torto tranne quello di non produrre i risultati che se ne attendevano. Dappoich il principio della libert individuale non uno dei fondamenti della dottrina del libero scambio, non lo di pi nella maggior parte delle questioni che si elevano a proposito dei limiti di questa dottrina: per esempio, quando si tratta di sapere quanto di pubblica sorveglianza sia ammissibile per impedire la frode con falsificazione, o fino a qual punto si debbano imporre ai padroni delle precauzioni igieniche o dei mezzi di protezione per gli operai impiegati ad occupazioni pericolose. Tali questioni non comprendono considerazioni di libert se non in un senso: che, _cteris paribus_, sempre preferibile abbandonare gli uomini a s stessi piuttosto di sorvegliarli: ma, come principio, non contestabile ch'essi legittimamente possano essere per simili fini sorvegliati. D'altra parte vi sono delle questioni relative all'intervento pubblico nel commercio, che sono essenzialmente questioni di libert: tali, la _legge di Maine_[10], a cui si gi alluso, la proibizione dell'importazione dell'oppio in China, la restrizione imposta alla vendita dei veleni, e in generale tutti i casi in cui lo scopo dell'intervento di rendere difficile o impossibile la vendita di certe merci. Questo intervento biasimevole come una violazione, non gi della libert del produttore o del venditore, ma di quella del compratore. Uno di questi esemp, la vendita dei veleni, apre una questione nuova, quella dei limiti convenienti di ci che si pu chiamare funzione di polizia; trattasi di sapere fino a qual punto si possa legittimamente limitare la libert, per impedire delitti o disgrazie. Il prendere delle precauzioni contro il delitto prima che sia commesso, cos come lo scoprirlo e il punirlo una volta commesso, una delle funzioni che nessuno nega al governo: tuttavia si pu assai pi facilmente abusare, a danno della libert, della funzione preventiva che della repressiva: perch vi appena una parte della libert legittima di azione di un essere umano che non possa con ragione essere imaginata come tale da facilitare un qualunque delitto. Non di meno, se una autorit pubblica o anche un semplice privato vedono una persona che evidentemente si prepara a commettere un delitto, essi non sono obbligati a restare spettatori inerti finch il delitto sia commesso, ma possono intervenire e prevenirlo. Se non si comprassero dei veleni, oppure se non se ne facesse uso mai tranne che per avvelenare, sarebbe giusto di proibirne la fabbricazione e la vendita: invece si pu averne bisogno per iscopi non solo innocenti, ma utili, e la legge non pu imporre delle restrizioni in un caso senza che l'altro ne risenta. Inoltre, officio dell'autorit prevenire delle disgrazie. Se un pubblico funzionario o non importa chi altro vedesse una persona la quale sta per attraversare un ponte che si sa non essere sicuro, e non avesse il tempo di avvertirla del pericolo ch'essa affronta, potr bene afferrarla e farla indietreggiare a viva forza, senza violazione alcuna della sua libert: la quale infatti consiste nel fare ci che si desidera; e questa persona non desidera di cadere nell'acqua. Non di meno, quando non c' la certezza, ma solamente la possibilit di un pericolo, la persona stessa pu sola giudicare del valore del motivo che la spinge a correr tale rischio; e in questo caso, di conseguenza (a meno che non si tratti di un ragazzo, o che la persona non sia in delirio o in uno stato di eccitazione o di distrazione incompatibile coll'uso completo delle sue facolt) si dovrebbe, a mio vedere, limitarsi ad avvertirlo del pericolo e non impedirgli colla forza di esporvisi. Tali considerazioni, applicate ad una questione come quella della vendita dei veleni, possono ajutarci a decidere quali fra i diversi modi possibili di _regolamentazione_ siano o non siano contrar al principio: per esempio, si pu imporre senza violazione di libert una precauzione come quella di porre al veleno un'etichetta che ne faccia conoscere le qualit pericolose; non in fatti possibile che il compratore desideri ignorare le propriet venefiche della cosa da lui comprata: ma l'esigere sempre un certificato medico renderebbe talvolta impossibile, sempre poi dispendioso di ottenere l'oggetto per usi legittimi. A mio avviso, il solo modo con cui gli avvelenamenti si possano rendere difficili (senza violare la libert di quelli che hanno bisogno di sostanze venefiche per un altro fine) consiste in quello che Bentham chiama, nel suo linguaggio cos proprio, una testimonianza _preappointed_ (prestabilita). Nulla altrettanto comune nei contratti. giusta consuetudine, quando si fa un contratto, che la legge, la quale ne imporr l'adempimento, vi ponga come condizione l'osservanza di certe formalit, come le firme, l'attestazione dei testimoni e vai dicendo: affinch, in caso di contestazioni susseguenti, si possa avere la prova che il contratto stato realmente concluso, e in circostanze che non lo rendevano per nessuna ragione legalmente nullo. Effetto di queste precauzioni rendere difficilissimi i contratti fittiz o i contratti fatti a condizioni che, se fossero conosciute, ne distruggerebbero la validit. Si potrebbero imporre simili precauzioni per la vendita degli articoli che si prestano a diventare strumenti del delitto: per esempio si potrebbe esigere dal venditore che esso iscrivesse su di un registro la data esatta della vendita, il nome e l'indirizzo del compratore, la qualit e la quantit precise vendute, la risposta ricevuta quando ebbe chiesto al compratore che cosa volesse farne. Quando non vi sono ricette di medico, si potrebbe esigere la presenza di un terzo, per identificare il compratore, se pi tardi si avesse qualche ragion di credere che l'oggetto fosse stato usato a scopo delittuoso. Tali regolamenti non sarebbero in generale un materiale impedimento ad ottenere l'oggetto desiderato, ma bens un impedimento punto trascurabile a farne un uso illecito ed impunito. Il diritto che la societ possiede di opporre ai delitti delle precauzioni anteriori, suggerisce delle restrizioni evidenti alla massima che i danni puramente personali non sono materia di prevenzione o di repressione. L'ubbriachezza, per esempio, nei casi ordinar, non una ragion conveniente d'intervento legislativo; ma io troverei perfettamente legittimo che un uomo convinto d'aver commesso qualche violenza contro altri sotto l'influenza dell'ubbriachezza, fosse sottoposto a disposizioni speciali; che, se in seguito lo si trovasse ubbriaco, fosse soggetto ad una penalit; e che, se in questo stato egli commettesse un'altro fallo, la punizione di questo fallo nuovo fosse pi severa. Una persona che si ubbriaca quando l'ebrezza la spinge a nuocere agli altri, commette verso di questi un delitto. Allo stesso modo l'oziosit, tranne che in persone pagate dal pubblico, oppure quando questo vizio costituisce la violazione di un patto, non pu senza tirannia divenire oggetto di punizioni legali: ma se per oziosit o per qualche altra causa facile ad evitarsi un uomo manca ad uno dei suoi doveri legali verso gli altri, come quello di mantenere i suoi bambini, non vi tirannia a costringerlo ad adempire questo dovere con un lavoro obbligatorio, ove non si trovi altro mezzo. Inoltre, vi sono molti atti che, essendo direttamente dannosi soltanto a chi li commette, non dovrebbero essere legalmente proibiti, ma che, commessi in pubblico, divengono una violazione delle sociali convenienze e, passando cos nella categoria delle offese verso gli altri, possono in tutta giustizia essere vietati. Tali sono gli oltraggi alla decenza, su cui non necessario di dilungarsi, tanto pi che essi hanno col nostro soggetto un rapporto puramente indiretto, dappoich la pubblicit non un'aggravante minore nel caso di molte azioni punto biasimevoli in s stesse n tenute per tali. V' un'altra domanda a cui bisogna trovare una risposta che si accordi coi princip qui posti. Vi sono dei casi di condotta personale tenuti per biasimevoli, ma che il rispetto della libert impedisce di prevenire o di punire perch il male che ne deriva direttamente ricade tutto quanto sull'agente. Si deve lasciare ad altre persone la libert di consigliare o di costringere a fare ci che fa liberamente l'agente? La questione non scevra di difficolt. Il caso di una persona che ne sollecita un'altra a compiere un atto, non , a rigor di termini, un caso di condotta personale; dare dei consigli od offrire delle tentazioni a qualcuno, un atto sociale e pu di conseguenza, come in generale qualunque azione che riguardi gli altri, essere considerato come sottoposto alla sorveglianza sociale. Ma un po' di riflessione corregge la impressione prima dimostrando che se il caso non strettamente compreso nei confini della libert individuale, non di meno gli si possono applicar le ragioni su cui si fonda il principio di questa libert. Se si deve permettere agli individui, in ci che tocca loro stessi soltanto, di fare ci che meglio piace ad essi, a loro rischio e pericolo, eglino devono esser liberi di consultarsi l'un l'altro su ci che convenga fare, di scambiarsi i pareri, di dare e di ricevere dei suggerimenti: si deve poter consigliare tutto ci che permesso di fare. La questione non dubbia se non quando l'istigatore tragga un profitto personale dal suo consiglio, quando, per vivere o per arricchirsi, abbia per costume di incoraggiare a ci che la Societ e lo Stato considerano come un male. In realt allora un nuovo elemento di complicazione s'introduce: cio la esistenza di una classe di persone il cui interesse opposto a quello che si considera pubblico bene e la cui maniera di vivere basata sul partito preso di porre a questo bene ostacolo. questo il caso d'intervenire? Cos la corruzion dei costumi e il giuoco debbono essere tollerati, ma una persona deve esser libera di esercitare un mestiere come quello d'incoraggiare una tal corruzione o di tenere una casa di giuoco? Il caso uno di quelli che si trovano sul limite estremo dei due princip: e non si scorge, a prima vista, a quale esso appartenga effettivamente: vi sono argomenti pro e contro. Si pu dire in favore della tolleranza che il solo fatto di scegliere una cosa come proprio mestiere e di vivere o di arricchirsi esercitandolo non pu rendere delittuoso ci che altrimenti sarebbe ammissibile; che l'atto deve essere o sempre permesso o sempre vietato; che, se i princip da noi sin qui sostenuti sono giusti, la societ, come tale, non deve occuparsi di dichiarar malvagio qualcosa che riguardi l'individuo soltanto: essa non pu giungere pi in l della dissuasione, e una persona deve essere altrettanto libera di persuadere quanto un'altra di dissuadere. Si pu dire in favore dell'opinione opposta che, sebbene lo Stato non abbia il diritto di decidere, in via d'autorit e col disegno d'impedire o di punire, se sia buona o cattiva la tale o la tal altra condotta puramente personale, vi tuttavia ragione di credere che la questione sia per lo meno dubbia. Dato questo, si aggiunge, lo Stato non pu far male tentando di distruggere l'influenza d'instigatori che non agiscono in modo disinteressato ed imparziale, che hanno un interesse immediato da una parte (la parte cattiva, secondo l'opinione dello Stato) e che, secondo la loro stessa confessione, spingono verso questo lato per fini tutt'affatto personali. Inoltre, senza dubbio alcuno, non ci si perde nulla, nessun bene si sacrifica, procurando che gli uomini facciano la loro scelta, saggiamente o scioccamente, ma da loro stessi, senza essere sedotti n spinti da persone che vi hanno un interesse. Cos, ci si pu dire, quantunque le leggi sui giuochi illeciti siano insostenibili in teoria, quantunque tutti debbano esser liberi di giocare in casa propria, o in casa d'altri, o in qualche luogo di riunione fondato per sottoscrizioni ed aperto solamente ai membri ed a chi vuol far loro una visita, non di meno non bisogna permettere le case pubbliche di giuoco. vero che la difesa non mai efficace, per grandi che siano i poteri di cui si armi la polizia, e che le case di giuoco possono sempre essere aperte sotto altri pretesti; ma esse sono obbligate a condurre le loro operazioni sotto un certo velo di segreto e di mistero, in modo che nessuno ne sappia nulla, tranne quelli che ricercano queste case: la societ non deve chiedere nulla di pi. Questi argomenti hanno una forza considerevole; io per altro non oserei decidere s'essi bastino a giustificare l'anomala morale che vi nel punire l'_accessorio_ quando il _principale_ e deve essere libero, nel mettere in prigione, per esempio, chi tiene la casa di giuoco e non il giuocatore stesso. Ancora meno si dovrebbe, per simili ragioni, intervenire nelle operazioni comuni di compravendita. Quasi tutto ci che si compera e che si vende si pu prestare ad eccessi, e i venditori hanno un interesse pecuniario ad incoraggiarli: ma da questo non si pu dedurre un argomento in favore, per esempio, della _legge di Maine_, perch i negozianti di bevande spiritose, sebbene interessati all'abuso, sono indispensabili a cagione dell'uso legittimo di tali bevande. Tuttavia l'interesse che questi commercianti hanno a favorire l'intemperanza un male reale, e giustifica lo Stato quando impone delle restrizioni ed esige delle garanzie, che, senza questo motivo, sarebbero violazione della libert legittima. Sorge ancora una questione: ed di sapere se lo Stato, mentre tollera una condotta ch'esso crede contraria ai pi preziosi interessi dell'agente, non debba ci non di meno sconsigliarla indirettamente; se, per esempio, per rendere l'ubbriachezza pi costosa o pi rara, egli non debba studiare il modo di limitare il numero dei luoghi di vendita. In questa, come nella maggior parte delle questioni pratiche, bisogna fare una quantit di distinzioni. Colpire d'imposta le bevande alcooliche, allo scopo di renderle pi difficili ad ottenersi, un provvedimento che differisce ben poco dalla loro completa proibizione e non giustificabile se la proibizione stessa non lo sia; ogni aumento di prezzo una proibizione per quelli che non possono giungere al prezzo nuovo, e, quanto a quelli che possono, essi subiscono per una penalit per la soddisfazione di questo loro gusto. La scelta dei loro piaceri e del modo di spendere il loro danaro, dopo ch'essi hanno adempiuto le loro obbligazioni legali e morali verso lo Stato e gli individui, non riguarda che loro stessi e non deve dipendere che dal loro giudizio. A prima vista pu sembrare che queste considerazioni condannino la scelta delle bevande spiritose come soggetto speciale d'imposta a scopi fiscali. Ma bisogna ricordarsi che l'imposta a questo scopo assolutamente inevitabile, che in molti paesi essa deve essere in gran parte indiretta, che per conseguenza lo Stato non pu fare altro che imporre tasse su certi generi di consumazione, in un modo che per qualche persona pu giungere fino alla proibizione. dunque dovere dello Stato di esaminare, prima di mettere delle tasse, di quali derrate i consumatori possano pi facilmente fare a meno, e _a fortiori_ di scegliere quelle che, a suo parere, possono essere dannose se l'uso non ne moderatissimo. Per questo non soltanto ammissibile, ma lodevole il mettere sulle bevande spiritose l'imposta pi elevata, dato che lo Stato abbia bisogno di tutto il gettito di tale imposta. La questione di sapere se convenga fare della vendita di queste derrate un privilegio pi o meno esclusivo, deve essere diversamente risoluta secondo i motivi a cui si vuole subordinata la restrizione. Occorre la sorveglianza d'una polizia in tutte le pubbliche vendite, e specialmente in quei luoghi dove si macchinano volentieri delle offese contro la societ. Dunque, conveniente non accordare il permesso di vendere queste derrate (per lo meno quelle da consumarsi sul luogo) se non a persone la cui rispettabilit di condotta sia conosciuta e garantita; si deve, oltre a ci, regolare le ore di apertura e di chiusura come la sorveglianza pubblica esige, e ritirare il permesso quando si commettano a pi riprese delle violazioni della pubblica pace, grazie alla connivenza o all'inettitudine di colui che tiene la casa, o quando questa casa divenga il ritrovo di gente che si ribella alla legge. Io non trovo nessun'altra restrizione giustificabile come principio. Per esempio, la limitazione del numero delle bettole per renderne l'accesso pi difficile e diminuir le tentazioni, non soltanto espone tutti quanti ad una seccatura, solo perch qualcuno abuserebbe della facilit, ma ancora non conviene se non ad uno stato della societ in cui le classi lavoratrici siano apertamente trattate come si tratterebbero dei ragazzi o dei selvaggi, e poste sotto una educazione disciplinata, fatta per preparare la loro futura ammissione ai privilegi della libert. Questo non il principio secondo cui le classi operaje sono governate in qualunque libero paese, e chiunque stima al suo giusto valore la libert non consentir mai che esse siano governate a quel modo, a meno che per adattarli alla libert e governarli come uomini liberi, non si sia fatto, invano, ogni tentativo e non si abbia avuto la prova definitiva che esse non si possono governare se non come ragazzi. La semplice esposizione dell'alternativa dimostra l'assurdit che vi sarebbe nel supporre che tali sforzi siano stati fatti in alcuno dei casi di cui noi qui ci dobbiamo occupare. Soltanto perch le instituzioni del nostro paese sono un tessuto di contraddizioni, vi si vedono mettere in pratica delle cose appartenenti al sistema del governo dispotico o cos detto paterno, mentre la libert generale delle nostre instituzioni impedisce di esercitare quel controllo, che necessario per rendere la costrizione veramente efficace come educazione morale. stato dimostrato, nelle prime pagine di questo saggio, che la libert dell'individuo nelle cose che toccano soltanto lui, implica la libert per qualsivoglia numero d'individui di regolare con una mutua convenzione delle cose che li riguardano tutti collettivamente e che non riguardano altri. La questione non presenta difficolt finch la volont delle persone interessate resta la stessa; ma, poich questa volont pu mutare, spesso necessario, anche in cose che concernono soltanto queste persone, ch'esse si assumano degli obblighi vicendevoli; e, fatto questo, conveniente per regola generale che questi obblighi siano rispettati. Non di meno, probabile che nelle leggi d'ogni paese questa regola generale vada soggetta a qualche eccezione. Non soltanto non siamo tenuti ad adempire gli obblighi che violano i diritti di un terzo, ma talvolta si considera come ragion sufficiente per liberarci da un'obbligazione, ch'essa ci sia dannosa: per esempio nel nostro paese e nella maggior parte dei paesi civili, un patto pel quale una persona si vendesse o consentisse ad esser venduta schiava sarebbe irrito e nullo: n la legge n l'opinione pubblica lo renderebbero obbligatorio. Il motivo che si ha per limitare cos il potere di un individuo su s stesso evidente, e lo si scorge molto chiaro in questo caso estremo. La ragione per cui non si interviene (tranne che a vantaggio degli altri) nelle azioni volontarie d'una persona il riguardo che si ha per la sua libert; la scelta volontaria di un uomo prova che ci ch'egli sceglie cos desiderabile o quanto meno sopportabile per lui, e ad ogni modo non si pu meglio assicurare il suo benessere se non lasciando ch'egli lo prenda ove crede trovarlo. Ma, vendendosi schiavo, un uomo abdica alla sua libert, abbandona qualunque uso futuro della libert con un atto unico: dunque esso distrugge, nei suoi propr riguardi, la ragione per cui lo si lasciava libero di disporre di s; esso non pi libero, e d'allora in poi si trova in una condizione dove non si pu pi presumere ch'egli rimanga volontariamente. Il principio di libert non pu esigere ch'egli sia libero... di non esser libero; non vi libert insomma di poter rinunciare alla propria libert. Queste ragioni, la cui forza appare cos evidente in tal caso particolare, possono naturalmente essere applicate in molti altri casi: tuttavia esse trovano dappertutto delle limitazioni, perch le necessit della vita esigono continuamente non gi che noi rinunciamo alla nostra libert, ma che ci rassegniamo a vederla limitata in un modo o nell'altro. Il principio che chiede libert d'azione assoluta per tutto quello che riguarda solo gli agenti esige che coloro i quali si sono obbligati con un'altra persona per cose che non interessano punto i terzi, possano l'un l'altro liberarsi; ed anche senza questa liberazione volontaria non v' forse contratto od obbligazione, salvo che si tratti di danaro, da cui si osi dire che non si dovrebbe mai avere la libert di sciogliersi. Il barone di Humboldt, nell'opera eccellente che ho gi citato, dichiara che, a suo parere, i patti i quali implichino delle relazioni o dei servigi personali non dovrebbero mai essere obbligator salvo che per un tempo limitato; e che il pi importante di questi patti, il matrimonio, avendo questa particolarit, che fallisce al suo scopo se i sentimenti delle due parti a questo scopo non si accordino, dovrebbe potersi annullare semplicemente con la volont espressa di ciascuna delle parti. Questo soggetto troppo importante e troppo complesso per essere discusso tra parentesi; ed io mi limito a sfiorarlo, a titolo d'_illustrazione_. Se la concisione e la generalit della dissertazione di Humboldt non l'avessero obbligato su questo argomento a contentarsi di enunciare la sua conclusione, senza discutere le premesse, egli avrebbe riconosciuto senza dubbio alcuno che la questione non pu esser decisa con ragionamenti cos semplici come quelli ch'egli si limita a fare. Quando una persona, o per una promessa espressa o per la sua condotta, ne ha incoraggiata un'altra a confidare ch'essa agir in un dato modo, a fondare delle speranze, a fare dei calcoli, a regolare una parte della sua vita su questa supposizione, questa persona si creata coll'altra una nuova serie di obbligazioni morali che, nel fatto, potranno essere calpestate, ma che non permesso d'ignorare. Inoltre, se le relazioni tr a due parti contraenti sono state seguite da conseguenze per altri, se esse hanno posto dei terzi in una condizione speciale o se, come nel caso del matrimonio, esse hanno dato a terzi la vita, le due parti contraenti hanno presso questi ultimi delle obbligazioni il cui compimento sentir grandemente l'effetto della rottura o della continuazione delle loro relazioni. Non ne deriva invece, ed io non posso ammettere, che queste obbligazioni giungano fino ad esigere l'adempimento del contratto a prezzo del bene della parte riluttante; ma esse sono un elemento necessario nella questione, ed anche se Humboldt sostiene che non debbano apportare alcuna differenza nella libert legale che le parti hanno di liberarsi dall'obbligo assunto (neppure io ritengo che esse ne debbano apportare molta) pure creano necessariamente una differenza grande nella libert morale. Una persona obbligata a ben considerare tutto questo prima di risolversi ad una deliberazione che tanto pu colpire gl'interessi d'altri, e, se non ha il voluto riguardo a questi interessi, moralmente responsabile delle conseguenze funeste. Io ho fatto delle osservazioni di una tale evidenza allo scopo di meglio lumeggiare il principio generale della libert, e non gi perch esse siano necessarie in questa questione, la quale anzi si discute sempre come se l'interesse dei figli fosse tutto, e nulla l'interesse dei genitori. Io ho gi osservato che, in conseguenza della mancanza di princip generali riconosciuti, la libert accordata spesso l dove dovrebbe essere rifiutata, e _viceversa_; e uno dei casi in cui il sentimento di libert fortissimo nel moderno mondo europeo, un caso in cui, a senso mio, esso completamente fuori di posto. Una persona deve esser libera di fare ci che le piace negli affari propr; ma non quando essa agisce per conto di un altro, sotto il pretesto che gli affari di quest'altro sono i suoi propr; lo Stato, mentre rispetta la libert di ciascun individuo in ci che riguarda l'individuo soltanto, tenuto a vegliare con cura sul modo con cui questi usa del potere accordatogli su altri individui. Quest'obbligo quasi del tutto trascurato nel caso di relazioni di famiglia; un caso che, data la sua influenza diretta sul benessere umano, pi importante di tutti gli altri presi insieme. Non c' bisogno d'insistere qui sul potere quasi dispotico dei mariti sulle mogli, poich per distruggere dalla radice questo male non occorrerebbe altro se non accordare alle donne gli stessi diritti e la stessa protezione da parte della legge, che si accorda a qualunque altra persona, e poi perch, in questo argomento, i difensori dell'ingiustizia regnante non si servono della scusa della libert, ma si presentano, senza ambagi, come i campioni del potere. Ma nel caso dei figli che certi concetti di libert applicati a sproposito sono un ostacolo reale a che lo Stato adempia a' suoi doveri. Si direbbe quasi che i figli di un uomo sieno letteralmente (e non per metafora) parte di lui stesso, tanto l'opinione gelosa del minimo intervento della legge tra i ragazzi e l'autorit esclusiva ed assoluta dei genitori. Gli uomini la vedono pi di mal occhio della maggior parte delle violazioni della loro propria libert d'azione: tanto essi danno generalmente pi valore al potere che alla libert. Vedete, per esempio, che cosa accade per l'educazione. Non , si pu dire, evidente che lo Stato dovrebbe esigere da tutti i cittadini, ed anche imporre loro, una certa educazione? Non di meno tutti temono di riconoscere e di proclamare questa verit. A dire il vero, nessuno la nega: uno dei pi sacri doveri dei parenti (o, secondo la legge e l'uso attuale, del padre), dopo aver messo al mondo un essere umano, allevarlo in modo che esso sia capace di adempiere a tutti i suoi obblighi e verso gli altri e verso s stesso; ma mentre tutti quanti riconoscono che tale il dovere del padre, nessuno in Inghilterra si adatterebbe all'idea che altri l'obbligasse a compierlo. In luogo d'esigere che un uomo faccia qualche sforzo o qualche sacrificio per assicurare a suo figlio un'educazione, lo si lascia libero di accettare o di rifiutare questa educazione quando glie la si procura gratis. Non ancora riconosciuto che mettere al mondo un ragazzo, quando non si abbia la fondata certezza di potere non soltanto nutrirlo, ma anche istruirlo e formare il suo carattere, un delitto morale verso la societ e verso gl'infelici rampolli, e che, se il genitore non adempie a quest'obbligo, lo Stato dovrebbe vegliare per farlo adempiere possibilmente a spese di lui. Se l'obbligo d'imporre l'educazione universale fosse una buona volta ammesso, si porrebbe fine alle difficolt su ci che lo Stato debba insegnare e sul modo con cui debba insegnare; difficolt che, per ora, fanno dell'argomento un vero campo di battaglia pei partiti e per le sette. Si perde cos, a discutere sull'educazione, del tempo e della fatica che andrebbero meglio impiegate a dare l'educazione stessa. Se il governo si decidesse ad esigere per tutti i ragazzi una buona educazione, si risparmierebbe l'incomodo di fornirne ad essi; potrebbe lasciar liberi i parenti di fare allevare i figli dove e come loro piacesse, e, secondo i bisogni di ciascuno, sia ajutare a pagare, sia anche pagare interamente le spese. Le obbiezioni che si oppongono giustamente all'educazione di Stato non sono gi mosse al fatto che lo Stato impone l'educazione, ma al fatto che esso s'incarica di dirigerla: due cose affatto diverse. Io, pi di chicchessia, mi opporrei a che tutta la maggior parte dell'educazione di un popolo fosse affidata allo Stato; tutto quel che si detto sull'importanza dell'individualit di carattere e della diversit di opinioni e di tenor di vita implica una eguale importanza della diversit di educazione. Un'educazione generale fornita dallo Stato non altro che un meccanismo combinato per gettar tutti gli uomini nel medesimo stampo; e poich lo stampo in cui si gittano quello che piace al poter dominante (sia poi esso un monarca, un'aristocrazia, una teocrazia o la maggioranza della generazione esistente) quanto pi questa autorit efficace e potente, tanto pi essa stabilisce sullo spirito un dispotismo che tende naturalmente ad estendersi sul corpo. Un'educazione stabilita e sorvegliata dallo Stato non dovrebbe esistere, se non come esperimento, circondata da concorrenze e fatta al solo scopo di stimolarle e di mantenerle a un certo grado di perfezione; salvo quando la societ in generale cos arretrata che non potrebbe o anche non vorrebbe procurarsi dei mezzi convenienti d'educazione: in tali casi, dovendo l'autorit pubblica scegliere tra due mali, pu provvedere alle scuole ed alle universit, allo stesso modo che essa pu supplire le compagnie per azioni in un paese dove l'iniziativa privata non esiste in forma tale da permetterle d'intraprendere grandi opere industriali. Ma, in generale, se il paese racchiude un numero sufficiente di persone capaci di dar l'educazione sotto gli auspic del governo, queste stesse persone potrebbero e vorrebbero dare una educazione ugualmente buona sulla base del principio volontario, se ad esse fosse assicurato un compenso stabilito da una legge che rendesse obbligatoria l'educazione e garantisse l'assistenza dello Stato agli incapaci di pagarsela. Il solo modo di eseguir la legge sarebbe esaminare pubblicamente tutti i ragazzi, dalla pi tenera et in poi. Si potrebbe fissare un'et in cui ogni ragazzo o ragazza sarebbe esaminato per verificare se sappia leggere: e quando se ne mostrasse incapace, il padre, a meno che avesse motivi sufficienti di scusa, potrebbe esser sottoposto ad una ammenda moderata che, al bisogno, dovrebbe guadagnarsi col suo lavoro; e il ragazzo potrebbe esser messo a scuola a sue spese. Una volta l'anno, si potrebbe rinnovare la prova, ed estendere gradatamente il soggetto, per rendere virtualmente obbligatoria e conservare la conoscenza universale di un certo _minimum_ di scienza generale. Oltre questo _minimum_, vi sarebbero degli esami volontari su qualunque specie di soggetto, in seguito ai quali coloro che fossero giunti a un certo progresso avrebbero diritto ad un certificato. Per impedire allo Stato di esercitare con questi mezzi una influenza dannosa sull'opinione, la scienza da esigersi (oltre le parti puramente elementari del sapere, come le lingue e il loro uso) per superare un esame anche di ordine elevatissimo dovrebbe consistere esclusivamente in fatti ed in scienze positive. Gli esami sulla religione, la politica o qualunque altro argomento di discussione non riguarderebbero la verit o la falsit delle opinioni, ma il fatto che la tale opinione o tal altra professata per le tali ragioni, dai tali autori, o dalle tali scuole o dalle tali chiese. Con questo sistema, la generazione nascente non sarebbe peggio fornita, quanto alle verit discusse, di quello che non sia oggi; si farebbe degli uomini quello che sono ora, dei seguaci della religion dominante o dei dissidenti; soltanto lo Stato prenderebbe cura che nell'un caso o nell'altro fossero istruiti. Non vi sarebbe ostacolo a che si insegnasse ad essi la religione, quando i genitori lo chiedessero, nella scuola dove loro s'insegna tutto il resto. Tutti gli sforzi dello Stato per influire sul giudizio dei cittadini a proposito di soggetti discussi sono dannosi; ma lo Stato pu perfettamente offrirsi di assicurare e certificare che una persona possiede le cognizioni necessarie per rendere degna d'attenzione la opinione propria su un dato soggetto. Sarebbe tanto di guadagnato per uno studente di filosofia di poter sottoporsi ad un esame su Locke e su Kant non importa quale dei due egli adotti, e quando anche non dovesse adottare n l'uno n l'altro; e non ci sono ragionevoli obbiezioni ad esaminare un ateo sulle prove del cristianesimo, purch esso non sia obbligato a farne una professione di fede. Tuttavia gli esami sui rami pi elevati del sapere dovrebbero, a mio avviso, essere affatto facoltativi; sarebbe accordare un troppo pericoloso potere ai governi il permettere loro di chiudere il varco a qualche carriera, anche dell'insegnamento, sotto il pretesto che non si possiedono in un grado sufficiente le qualit richieste; ed io penso con Guglielmo di Humboldt che i gradi o gli altri certificati pubblici di cognizioni scientifiche o professionali dovrebbero essere accordati a tutti quelli che si presentano all'esame e che lo sostengono con buon esito, ma che tali certificati non dovrebbero dare altro vantaggio sui rivali oltre al valore che loro attribuisce l'opinione del pubblico. Si vede qui un caso in cui, per un mal inteso concetto di libert, non si riconoscono punto degli obblighi morali e non s'impongono punto degli obblighi legali, mentre e gli uni e gli altri sarebbero estremamente necessar; ma questo caso non isolato. Il fatto stesso di dar l'esistenza ad un essere umano una delle azioni nel corso della vita che portano con s la pi grande responsabilit. Prendersi questa responsabilit di dare una vita che pu essere fonte di dolore o di gioja un delitto verso l'essere a cui la si d quando non vi siano per lui le ordinarie probabilit di una esistenza desiderabile. E in un paese troppo popolato o che minaccia di diventarlo, mettere al mondo pi di un piccolo numero di figli, cio ridurre con la concorrenza il valore del lavoro, una seria colpa a danno di tutti quelli che vivono di lavoro. Le leggi che, in un gran numero di paesi del continente, proibiscono il matrimonio, a meno che le parti non provino di poter mantenere una famiglia, non oltrepassano i confini dei poteri legittimi dello Stato; e, siano esse utili o no (cosa che specialmente dipende dalle circostanze e dai sentimenti locali) non si pu rimproverar loro di essere violazioni di libert. Con tali leggi, lo Stato interviene per impedire un atto funesto, un atto dannoso agli altri e che dovrebbe essere l'oggetto della riprovazione e dell'ignominia sociale, anche quando non si credesse conveniente di aggiungervi i castighi legali. Non di meno, le idee di libert generalmente ammesse, che tanto facilmente si prestano a reali violazioni della libert dell'individuo per cose concernenti lui solo, respingerebbero ogni tentativo fatto per frenare le sue inclinazioni, quando, soddisfacendole, egli condanna uno o pi esseri ad una vita di miseria e di depravazione che eserciter pi d'una trista reazione sull'ambiente. Quando si paragona lo strano rispetto della specie umana per la libert colla sua strana mancanza di rispetto per la libert stessa, si potrebbe pensare che un uomo abbia il diritto indispensabile di nuocere agli altri e non il diritto di fare ci che gli piace e che non nuoce ad alcuno. Io ho riservato per la fine tutta una serie di questioni sui limiti dell'intervento del governo, le quali, sebbene si avvicinino assai al soggetto di questo saggio, pure, a tutto rigore, non ne fanno parte. Ci sono dei casi in cui le ragioni contro questo intervento non discendono dal principio di libert; la questione non pi di sapere se bisogni frenare le azioni degli individui, ma se convenga ajutarle: ci si chiede se il governo debba fare o ajutarli a fare qualcosa pel loro bene, in luogo di lasciare che essi facciano questo individualmente o per mezzo di associazione volontaria. Le obbiezioni fatte all'intervento del governo, quando esso non implichi una violazione di libert, possono essere di tre sorta. Si pu dire anzitutto che la cosa da farsi sar probabilmente fatta meglio dagli individui che dal governo. Parlando in generale, non v' nessuno pi capace di condurre un negozio, o di decidere come e da chi esso debba esser condotto di coloro che vi hanno un interesse personale. Questo principio condanna un intervento, in altri tempi cos comune, della legislazione o dei funzionari del governo nelle operazioni ordinarie della industria. Ma questa parte del soggetto stata sufficientemente sviluppata in opere di economia politica e non ha speciali relazioni coi princip del nostro saggio. La seconda obbiezione ha maggiori attinenze col nostro soggetto. In un gran numero di casi, sebbene la media degli individui non possa fare una data cosa altrettanto bene che i funzionar governativi, non di meno desiderabile che questa cosa sia eseguita dagl'individui piuttosto che dal governo. un mezzo di fare la loro educazione individuale, di rafforzare le loro facolt attive, di fornir loro una famigliarit coi soggetti che loro cos si lasciano discutere; e la principale se non l'unica raccomandazione del giur (pei casi non politici) delle instituzioni municipali e locali libere e popolari, della direzione delle instituzioni industriali e filantropiche da parte di associazioni volontarie. Queste non sono questioni di libert e non toccano tale argomento che da lontano; sono questioni di sviluppo. Non tocca a noi d'insistere ora sull'utilit di tutte queste cose come parte dell'educazione nazionale; ma esse in realt formano l'educazione particolare d'un cittadino, la parte pratica dell'educazione politica di un popolo libero. Esse fanno uscir l'uomo dalla ristretta cerchia in cui lo racchiude il suo egoismo, tutt'al pi allargato ai suoi; esse lo avvezzano a comprendere degl'interessi collettivi, a trattare degli affari collettivi, ad agire per motivi pubblici o quasi pubblici ed a lasciarsi guidare nella propria condotta da ragioni che lo avvicinano agli altri in luogo di isolarlo. Senza questi costumi e queste facolt non si pu n stabilire n conservare una libera costituzione, come ci prova troppo spesso la natura transitoria della libert politica nei paesi dove essa non riposa su di una base sufficiente di libert locali. La direzione degli affari puramente locali da parte delle localit, e la direzione delle grandi imprese industriali da parte della riunione di quelli che volontariamente ne forniscono i fondi si raccomandano inoltre per tutti i vantaggi che noi abbiamo additato come inerenti alla individualit di sviluppo e alla diversit di modo d'agire. Le operazioni del governo tendono dappertutto ad essere le stesse; all'incontro, grazie alle associazioni individuali e spontanee, si fa una immensa e costante variet di esperienze. Lo Stato pu poi essere utile come depositario centrale e distributore attivo dell'esperienza che risulta da numerose prove; il suo incarico far s che ogni esperimentatore profitti delle prove altrui, in luogo di non voler vedere che le sue proprie. L'ultima e pi potente ragione per restringere l'intervento del governo, il male gravissimo che deriva dall'aumentare senza necessit il suo potere. Ogni funzione aggiunta a quelle che gi il governo esercita, diffonde viepi la sua influenza sui timori e sulle speranze dei cittadini, e trasforma a mano a mano la parte attiva ed ambiziosa del pubblico in parte dipendente dal governo o di qualche partito che aspira a divenir tale. Se le strade, le ferrovie, le banche, le compagnie di assicurazioni, le grandi compagnie per azioni, le universit e gl'instituti di beneficenza fossero altrettante branche del governo; se, oltre a ci, i consigli municipali e locali, con tutte le loro attribuzioni, divenissero altrettanti dipartimenti dell'amministrazione centrale; se gli impiegati di tutte queste imprese diverse fossero nominati e pagati dal governo, e non attendessero che da questo le loro promozioni tutta la libert della stampa e di una costituzione popolare del potere legislativo, non impedirebbero all'Inghilterra o a qualunque altro paese di esser libero soltanto di nome. E quanto pi il meccanismo amministrativo fosse costrutto in modo efficace e sapiente, quanto pi gli accorgimenti per procurarsi le mani e le intelligenze pi atte a farlo funzionare fossero ingegnosi... tanto pi grave sarebbe il male. In Inghilterra, stato ultimamente proposto di scegliere tutti i membri del servizio civile del governo dopo un concorso, allo scopo di avere come impiegati le persone pi intelligenti e colte che fosse possibile: e molto si detto e molto si scritto pro e contro questa proposta. Uno degli argomenti su cui gli avversar di essa hanno pi insistito che la condizione d'impiegato a vita dello Stato non offre una prospettiva bastevole di stipend o d'importanza per attirare gl'ingegni pi elevati, che troveranno sempre da far meglio il loro cammino, sia nelle professioni liberali, sia al servizio delle compagnie o degli altri enti pubblici. Non ci saremmo sorpresi se questo argomento venisse dai partigiani della proposta come risposta alla sua principale difficolt; abbastanza strano invece che essa venga dagli avversar: quella che si pone innanzi come una obbiezione invece la valvola di sicurezza del sistema in questione. In realt, se il governo potesse attirare al suo servizio tutti gli ingegni elevati del paese, una proposta tendente a raggiungere questo scopo potrebbe inspirare dell'inquietudine; se tutto il lavoro di una societ che esige un'organizzazione prestabilita, delle vedute larghe e comprensive, fosse nelle mani dello Stato e tutti gli impieghi del governo fossero occupati dagli uomini pi capaci tutta la coltura, l'intelligenza esercitata del paese (salvo la parte puramente speculativa) sarebbe concentrata in una burocrazia numerosa; da questa burocrazia il resto della comunit attenderebbe tutto, l'impulso e la direzione per le masse, il miglioramento personale per gli intelligenti e per gli ambiziosi: essere ammessi nelle file di questa burocrazia, e, una volta ammessi, crescervi di grado, sarebbero i soli obbietti d'ambizione. Sotto questo regime, non soltanto il pubblico non capace di criticare o di controllare l'azione della burocrazia, ma anche se i casi fortuiti delle instituzioni dispotiche o il cammino naturale delle popolari daranno al paese un capo o dei capi amici di riforme, non se ne potr effettuare alcuna che sia contraria agl'interessi della burocrazia. Tale la triste condizione dell'impero russo, come ci attestano i racconti di quelli che l'hanno potuto osservare. Lo czar stesso impotente contro il corpo burocratico; egli pu mandare in Siberia ciascuno dei suoi membri, ma non governare senza di essi e contro la loro volont; essi possono mettere un tacito _veto_ su tutti i suoi decreti, col semplice astenersi dall'eseguirli. Nei paesi di civilt pi avanzata e di spirito pi rivoluzionario, il pubblico, avvezzo ad attendere che lo Stato faccia tutto per lui o almeno a non far nulla da s senza che lo Stato glie ne abbia non soltanto accordato il permesso, ma anche indicato il modo, il pubblico, diciamo, tiene naturalmente lo Stato responsabile di ci che gli accade di molesto, e se la sua pazienza un bel giorno si stanca, esso si solleva contro il governo e fa ci che si chiama una rivoluzione: dopo di che qualcuno, con o senza il consenso della nazione, s'impadronisce del trono, d i suoi ordini alla burocrazia e tutto procede press'a poco come prima, dappoich la burocrazia non mutata e nessuno capace di occuparne il posto. Ben altro lo spettacolo presso un popolo avvezzo a condurre da s i suoi affari. In Francia, avendo una gran parte della nazione servito nell'esercito, dove molti hanno raggiunto almeno il grado di sott'ufficiale, si trovano in tutte le insurrezioni popolari molte persone capaci di assumere il comando e d'improvvisare qualche piano d'azione non del tutto cattivo. Gli Americani sono, per gli affari civili, quello che i Francesi pei militari: togliete loro il governo e ogni congregazione d'America ve ne sapr organizzare uno immantinente, e condurr con un grado sufficiente d'intelligenza, di ordine, d'energia un qualunque pubblico negozio. Cos dovrebbe essere qualunque popolo libero; un popolo capace di tanto sicuro di conservare la propria libert: egli non si asservir mai ad alcun uomo o ad alcun corpo sociale, perch questi soli siano capaci di tenere o di maneggiare le redini dell'amministrazione centrale: nessuna burocrazia pu sperar di costringere un tal popolo a fare o a subire ci che non gli piace. Ma l dove la burocrazia fa tutto, nulla pu esser fatto di ci a cui essa realmente ostile; la costituzione di simili paesi un'organizzazione dell'esperienza e della pratica abilit della nazione in un corpo disciplinato, destinato a governare il resto della nazione; e quanto pi questa organizzazione perfetta in s stessa, tanto meglio essa riesce ad attirare a s ed a plasmare a sua imagine gl'ingegni della comunit, tanto pi completo l'asservimento di tutti, compresi i membri della burocrazia; poich i governanti sono schiavi della loro organizzazione e della loro disciplina cos come i governati sono schiavi di essi. Un mandarino cinese strumento e schiavo del dispotismo quanto l'infimo dei coltivatori; un gesuita , in tutta la estensione della parola, lo schiavo del suo ordine, sebbene l'ordine stesso esista a causa del potere collettivo e della importanza dei suoi membri. Non bisogna dimenticare poi che l'assorbimento di tutti gl'ingegni elevati del paese da parte del corpo che governa , tosto o tardi, fatale all'attivit e al progresso intellettuale di questo corpo stesso. Legato in tutte le sue parti, seguendo un sistema che, come tutti gli altri sistemi, procede quasi sempre dietro regole fisse, il corpo ufficiale costantemente tentato di addormentarsi in una indolente _routine_; oppure, se esso esce talvolta da questo eterno circolo, si appassioner per qualche idea appena sbozzata che sar andata a genio di qualche membro importante del corpo; e perch queste tendenze che si toccano da vicino (sebbene sembrino opposte) possano essere tenute in iscacco, perch tutti gli ingegni che il corpo racchiude si mantengano ad una certa altezza, bisogna che questo corpo sia esposto ad una critica vigile, acuta e che venga da fuori. Perci indispensabile che si possano formare degl'ingegni all'infuori dello Stato colle occasioni e l'esperienza necessaria per giudicar sanamente i grandi affari pratici. Se noi vogliamo possedere in perpetuo un corpo di funzionar abili, capace di rendere dei buoni servigi e inoltre tutto un corpo che sappia creare il progresso o disporsi ad adottarlo, se non vogliamo che la nostra burocrazia degeneri in _pedantocrazia_, occorre che questo corpo non assorba tutte le occupazioni che formano e coltivano le facolt necessarie pel governo dell'umanit. Dire dove comincino questi mali cos terribili per la libert e pel progresso umano, o piuttosto dire dove essi comincino a superare il bene che si pu attendere dalle forze libere della societ sotto i loro capi riconosciuti assicurare i vantaggi dell'accentramento politico ed intellettuale fin che si pu, senza attirare nelle vie ufficiali una troppo gran parte dell'attivit generale una delle questioni pi difficili e complicate nell'arte di governo; una questione sopratutto di particolari, dove non si possono dare delle regole assolute e dove bisogna tener conto delle pi numerose e varie considerazioni, ma io credo che dal punto di vista pratico il principio della salute, l'ideale da non perdersi di vista, il criterio secondo il quale si debbono giudicare tutti i mutamenti proposti per vincere la difficolt, si possa esprimere cos: la pi gran disseminazione di poteri, compatibile coll'azione utile del potere stesso; il massimo accentramento possibile d'informazioni, diffuso poi il pi che si pu dal centro alla periferia. Cos, dovrebbe esserci nell'amministrazione municipale, come negli Stati della Nuova Inghilterra, una divisione accuratissima tra i diversi funzionar, scelti per le localit, di tutti gli affari che non pi conveniente di lasciar nelle mani delle persone interessate; ma oltre a questo dovrebbe esserci in ciascuna divisione degli affari locali una soprintendenza centrale, una diramazione del governo generale. L'organo di questa soprintendenza concentrerebbe come in un faro tutta la variet d'_informazioni_ e d'esperienza tratta e dalla direzione di questo ramo de' pubblici affari in tutti i luoghi, e da ci che accade di analogo nei paesi stranieri e dai princip generali della scienza politica: ad esso dovrebbe spettare il diritto di sapere tutto quello che si fa; suo speciale ufficio sarebbe rendere utile dappertutto l'esperienza acquistata in un luogo. Essendo questo organo al di sopra delle ristrette vedute e dei meschini pregiudiz di una localit, per la sua posizione elevata e l'estensione della sua sfera di osservazione, il suo parere avrebbe naturalmente una grande autorit; ma il suo massimo potere dovrebbe, secondo me, limitarsi ad obbligare i funzionar locali a seguire le leggi stabilite dal loro speciale governo. Per tutto ci che non previsto da regole generali, questi funzionar dovrebbero essere abbandonati al loro giudizio colla sanzione della responsabilit davanti ai loro mandanti. Della violazione delle regole essi sarebbero responsabili davanti alla legge, e le regole stesse sarebbero stabilite dall'assemblea legislativa: l'autorit centrale amministrativa non farebbe che vegliare alla loro esecuzione; e, se la esecuzione non fosse ci che dev'essere, l'autorit se ne appellerebbe, secondo i casi, o al tribunale per imporre la legge, o ai corpi elettorali per deporre i funzionar che non l'avessero eseguita secondo il suo spirito. Tale , nel suo complesso, la sorveglianza centrale che l'_Ufficio della legge dei poveri_ destinato ad esercitare sugli amministratori della tassa dei poveri in tutti i paesi. Per quante usurpazioni di potere abbia commesso questo ufficio, ci era giusto e necessario in tal caso particolare, per tagliar dalle radici degli abusi inveterati in materie che interessano profondamente non solo le localit varie, ma tutta la comunit. In fatto, nessun paese ha moralmente il diritto di trasformarsi per la sua cattiva amministrazione in un semenzajo di miserie, che si diffondono necessariamente in altre localit e peggiorano la condizione morale e fisica di tutta la comunit operaja. I poteri di coazione amministrativa e di legislazione subordinata che l'ufficio della legge dei poveri possiede (ma che esercita assai debolmente a cagione delle idee dominanti a questo proposito) sebbene perfettamente giusti in un caso d'interesse nazionale di prim'ordine, sarebbero del tutto fuor di posto se si trattasse della sorveglianza d'interessi puramente locali. Ma un organo centrale d'informazioni e di istruzioni per tutte le localit sarebbe ugualmente prezioso in tutti i rami dell'amministrazione. Non sar mai eccessiva per un governo questa attivit che non arresta, ma ajuta e stimola i moti e gli sviluppi individuali. Il male comincia quando, invece di risvegliare l'attivit e le forze degl'individui e degli enti collettivi, il governo sostituisce alla loro la sua propria attivit; quando, invece d'istruirli, di consigliarli e all'occasione di denunciarli ai tribunali, li sottomette, incatena il loro lavoro, o li fa sparire, compiendo, al loro posto, l'ufficio ad essi spettante. Il valore d'uno Stato, in fin dei conti, il valore degl'individui che lo compongono; e uno Stato che preferisce all'espansione e all'elevazione intellettuale degli individui, una larva di abilit amministrativa nelle particolarit degli affari; uno Stato che impicciolisce gli uomini, affinch essi possano essere nelle sue mani docili strumenti dei suoi disegni (anche benefici), s'accorger che grandi cose non si fanno con uomini piccoli, e che la perfezione del meccanismo a cui esso tutto ha sacrificato finir col non essergli buona a nulla, per la mancanza della vitalit ch'egli ha voluto allontanare per render pi facile il funzionamento della macchina. FINE DEL CAPITOLO QUINTO E DELL'OPERA INDICE GIOVANNI STUART MILL Pag. 3 Capitolo I. Introduzione 7 II. La libert di pensiero e di discussione 21 III. L'individualit come elemento di benessere 57 IV. Dei limiti al potere della societ sull'individuo 77 V. Applicazioni 95 NOTE: [1] Queste parole erano appena scritte, quando, quasi per dar loro una solenne smentita, sopravvennero le persecuzioni del governo contro la stampa, nel 1858. Questo sconsigliato intervento nella libert della pubblica discussione non mi ha indotto a mutare una sola parola del testo; e non ha punto affievolito la mia convinzione che salvo nei momenti di panico l'epoca delle penalit per le discussioni politiche era passata nel nostro paese. Infatti, anzitutto non si persever nelle persecuzioni; e inoltre non si tratt mai di persecuzioni politiche, nello stretto senso della parola: l'offesa rimproverata non era di aver criticato le instituzioni, o gli atti, o le persone dei governanti: ma bens d'aver propagato una dottrina ritenuta immorale, la legittimit del tirannicidio. [2] Tommaso Pooltey, assise di Bodmin, 31 luglio 1857 nel seguente mese di dicembre, ottenne la grazia sovrana. [3] Giorgio Giacobbe Holyake, 17 agosto 1857; Edoardo Truelowe, luglio 1857. [4] Barone di Gleichem, corte di polizia di Marlborough Street, 4 agosto 1857. [5] Tutta la passione di persecuzione che si mescolata, durante la rivolta degli Indiani, al generale dispiegarsi delle parti pi cattive del nostro carattere nazionale, ci offre qui un grande insegnamento. I furori dei fanatici e dei ciarlatani del pergamo non sono, forse, degni di nota; ma i capi del partito evangelico hanno enunciato come loro principio di governo per gli Indiani e per i Maomettani che nessuna scuola in cui la Bibbia non sia insegnata deve essere sovvenzionata dallo stato, e che nessun impiego pubblico deve essere accordato a chi non cristiano o non si d per tale. Un sotto-segretario di stato, in un discorso diretto ai suoi elettori, il 22 novembre 1857, si esprimeva, stando ai resoconti, cos: Il governo inglese, tollerando la loro fede (la fede di 100 milioni di sudditi britannici), la superstizione ch'essi chiamano religione, non ha ottenuto altro risultato che di ritardare la supremazia crescente del nome inglese, e d'impedire la salutare diffusione del cristianesimo. La tolleranza stata la pietra angolare delle libert del nostro paese: ma non bisogna ingannarsi su questa preziosa parola. Nel modo con cui l'intendeva il sotto-segretario di stato, significava la completa libert per tutti, l'affrancamento del culto _fra i cristiani, che hanno un culto fondato sulle stesse basi_; significava la tolleranza di tutte le diverse sette di cristiani che _credono per in un solo mediatore_. Io desidero richiamare l'attenzione su questo fatto, che un uomo stimato degno di occupare un impiego elevato nel governo del nostro paese, sotto un ministero liberale, afferma questa dottrina: che non si ha diritto alla tolleranza quando non si crede alla divinit di Cristo. Dopo lo sciocco discorso che abbiamo test riportato, chi pu credere ancora che le persecuzioni religiose siano per sempre finite? [6] _Della sfera e dei doveri del Governo_, di Guglielmo Humboldt. [7] Saggio di Sterling. [8] Vi qualcosa di doloroso e di spregevole nel genere di testimonianza sulla quale si pu ai d nostri dichiarare giudiziariamente un uomo incapace di condurre i suoi affari e, dopo la sua morte, tener per non avvenuta la disposizione ch'egli ha fatto dei suoi beni, se vi si trova di che pagare le spese del processo, che son prelevate sui beni stessi. Si fruga in tutti i minuti particolari della sua vita quotidiana; e quello che i pi poveri fra i poveri di spirito vi scoprono, colle loro facolt percettive e descrittive, che non sia assolutamente comune, portato avanti al giur come una prova di follia, e sovente con buon esito. I giurati sono appena meno ignoranti dei testimoni, mentre i giudici, nulla sapendo della natura e della vita umana cosa che si nota con sorpresa ogni giorno presso l'uomo di legge inglese contribuiscono spesso ad indurli in errore. Questi processi valgono dei volumi, come indizio del sentimento e dell'opinione volgare sulla libert umana. Lungi dall'attribuire alcun valore all'individualit, lungi dal rispettare i diritti di ogni individuo ad agire nelle cose indifferenti come il suo giudizio e le sue tendenze lo guidano, giudici e giurati non riescono neppure a concepire che una persona sana di mente possa desiderare una tale libert. In altri tempi, quando si proponeva di bruciare degli atei, caritatevoli persone suggerivano volentieri che sarebbe stato meglio di metterle in un manicomio. Nulla vi sarebbe da meravigliarsi se lo stesso si facesse oggi; e se quelli che lo facessero si congratulassero secostessi di avere adottato una maniera cos umana e cristiana di trattare questi sfortunati in luogo di perseguitarli per causa religiosa, non senza, nel medesimo tempo, provare una segreta soddisfazione per aver loro procurato una sorte corrispondente ai loro meriti. [9] Il caso dei Parsi di Bombay un curioso esempio di questo fatto. Quando questa trib industriosa e intraprendente, che discendeva dai Persiani, adoratori del fuoco, abbandonando il proprio paese all'invasione musulmana, arriv nell'ovest dell'India, vi fu tollerata dai principi indiani a patto di non mangiare carne di bue. Quando, in seguito, queste regioni caddero sotto il dominio dei conquistatori maomettani, i Parsi ottennero che la tolleranza continuasse a patto di astenersi dalla carne di majale. Ci che in origine era sommessione divenne una seconda natura; e i Parsi non mangiano, neppur oggi, n carne di bue, n carne di majale. Sebbene la loro religione non lo esiga, la doppia astinenza ha avuto il tempo di entrare nei costumi della loro trib, e in Oriente il costume una religione. [10] Il Maine un paese del nord-est degli Stati Uniti, in cui vigeva una legge del 1851, notissima, che proibiva la vendita dei liquori fermentati. (_Il Trad._) Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA LIBERT *** Updated editions will replace the previous onethe old editions will be renamed. Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright law means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to copying and distributing Project Gutenberg electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you charge for an eBook, except by following the terms of the trademark license, including paying royalties for use of the Project Gutenberg trademark. If you do not charge anything for copies of this eBook, complying with the trademark license is very easy. You may use this eBook for nearly any purpose such as creation of derivative works, reports, performances and research. 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It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenbergs goals and ensuring that the Project Gutenberg collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundations EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your states laws. The Foundations business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundations website and official page at www.gutenberg.org/contact Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg depends upon and cannot survive without widespread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine-readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit www.gutenberg.org/donate. While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate. International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. Please check the Project Gutenberg web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: www.gutenberg.org/donate. Section 5. General Information About Project Gutenberg electronic works Professor Michael S. Hart was the originator of the Project Gutenberg concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For forty years, he produced and distributed Project Gutenberg eBooks with only a loose network of volunteer support. Project Gutenberg eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition. Most people start at our website which has the main PG search facility: www.gutenberg.org. 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