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The Project Gutenberg eBook of La libert
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Title: La libert
Author: John Stuart Mill
Translator: Arnaldo Agnelli
Release date: May 7, 2020 [eBook #62047]
Language: Italian
Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)
*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA LIBERT ***
Produced by Barbara Magni and the Online Distributed
Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was
produced from images made available by The Internet Archive)
BIBLIOTECA UNIVERSALE
LA LIBERT
DI
GIOVANNI STUART MILL
TRADUZIONE ITALIANA
DI
ARNALDO AGNELLI
MILANO
SOCIET EDITRICE SONZOGNO
14 Via Pasquirolo 14
PROPRIET LETTERARIA RISERVATA
Milano, 1911. Tip. della SOCIET EDITRICE SONZOGNO.
GIOVANNI STUART MILL
Giovanni Stuart Mill nacque a Londra nel 1806. Il padre di lui, Giacomo
Mill, storico ed economista di qualche valore, scolaro di Bentham
ed intimo amico di Ricardo, sottopose il suo promettente ingegno ad
un sistema di educazione che ne svilupp assai per tempo le forze:
giovinetto ancora, lo Stuart Mill conosceva perfettamente il latino,
il greco, la storia, specialmente antica: dopo alcuni mesi passati nel
1820 in Francia, ritorn in patria, studi filosofia e giurisprudenza,
e ottenne, sotto la dipendenza del padre, un posto negli uffici
amministrativi della Compagnia delle Indie, che conserv dal 1823 al
1858. Fu, per qualche anno, membro della Camera dei Comuni, mandatovi
dagli elettori di Westminster. Ritiratosi negli ultimi anni ad Avignone
in Francia, vi moriva nel 1873.
L'ingegno dello Stuart Mill si esplic nelle forme pi svariate:
scrisse di filosofia, seguendo e modificando dapprima l'utilitarismo
di Geremia Bentham, poi subendo l'influenza del positivismo di Augusto
Comte, col quale egli fu in corrispondenza ed amicizia; pubblic un
_Sistema di logica_; patrocin ardentemente quelle riforme agrarie
d'Irlanda, di cui gi si faceva sentire la necessit.
Ma il maggior titolo di gloria a cui il nome di lui si lega sono,
senza dubbio, i suoi scritti in materia di economia politica e di
diritto pubblico. Seguace, in economia, della scuola classica, quale in
Inghilterra l'avevano costituita Adamo Smith, Malthus, Ricardo, egli si
occup nondimeno con amore di questioni operaje, accettando e svolgendo
a questo proposito delle idee prettamente moderne; coi suoi lavori poi
sul _Governo rappresentativo_, sulla _Soggezione delle donne_ e con
questo saggio di cui presentiamo una traduzione al lettore italiano,
egli prese posto fra i primi pubblicisti d'Europa.
Propugn la rappresentanza delle minoranze; fu un apostolo intelligente
ed appassionato di quel complesso di riforme che si comprendono sotto
il nome di Emancipazione della donna: sopratutto, col presente lavoro
sulla _Libert_, si pose in una decisa posizione di combattimento
contro quelle tendenze ad allargare le funzioni del potere sociale,
che, portato inevitabile di nuovi tempi e di nuove condizioni, debbono
essere per altro energicamente frenate in ci che hanno di eccessivo e
di tirannico.
Questo libro uscito per la prima volta a Londra nel 1859. Eppure,
esso non invecchiato, non ha perduto d'interesse n di sapore
d'attualit; anzi, il giudizio del tempo ha dato alle idee che vi sono
svolte una cos incontestata ragione, che la loro importanza e la loro
autorevolezza ne cresciuta d'assai.
Non ho creduto bene di premettere al libro un cos detto proemio
critico. Davanti ad una mente come quella dello Stuart Mill, davanti ad
un lavoro come questo, un giudizio sarebbe facilmente avventato: bene
che il lettore se lo formi da s, secondo i suoi convincimenti e le sue
tendenze.
Certo che, se il libro ottenesse in Italia quel successo e quella
diffusione che pur troppo non gli meriter la povera veste ch'io gli ho
saputo dare, esso potrebbe fare qualche po' di bene. La dimostrazione
limpida, pacata, serena che la libert non soltanto un astratto
diritto teorico, ma anche una condizione imprescindibile di saldo
progresso civile, potrebbe contribuire a diffondere nel nostro paese
quel senso della libert di cui, in tante occasioni, si constata
malinconicamente l'assenza. Oso raccomandare in modo speciale a chi
segue ciecamente l'impulso di certi pregiudizi e di certi timori, quel
piccolo capolavoro che il capitolo secondo, sulla libert di pensiero
e di parola.
Se, ad ogni modo, l'intento di sgombrar dalle menti qualche falsa
opinione, d'insegnare a qualcuno un po' di tolleranza in fatto di
religione e di politica, fosse, anche in minima parte, raggiunto, io
sarei esuberantemente compensato del mio modesto lavoro.
_Gennajo, 1895._
ARNALDO AGNELLI.
Il gran principio, il principio dominante,
a cui mettono capo tutti gli argomenti
esposti in queste pagine, l'importanza
essenziale ed assoluta dello sviluppo umano
in tutta la ricchezza della sua variet.
GUGLIELMO DI HUMBOLDT. _Della sfera
d'azione e dei doveri del governo._
Io dedico questo volume alla cara e lagrimata memoria di colei che fu
l'inspiratrice, e in parte l'autrice, di quanto v'ha di meglio ne'
miei lavori: alla memoria dell'amica e della sposa, il cui fervido
senso del vero e del giusto fu il mio pi vivo incoraggiamento la cui
approvazione fu la mia ricompensa pi alta.
Come tutto quello ch'io ho scritto da molti anni, questo volume tanto
opera sua quanto mia, ma il libro, quale ora si presenta, non ha goduto
se non in grado molto insufficiente il vantaggio inestimabile d'esser
riveduto da lei: qualcuna delle parti pi importanti era riservata ad
un secondo e pi accurato esame, che ormai non destinata a ricevere
mai pi.
S'io sapessi interpretare la met soltanto dei grandi pensieri, dei
nobili sentimenti che sono con essa sepolti, il mondo ne coglierebbe
un frutto ben maggiore che da tutto quello ch'io posso scrivere, senza
l'inspirazione e l'assistenza della sua impareggiabile saggezza.
G. STUART MILL.
LA LIBERT
CAPITOLO PRIMO.
INTRODUZIONE.
Il soggetto di questo lavoro non il cos detto libero arbitrio tanto
infelicemente opposto a quella che mal si chiama dottrina di necessit
filosofica, ma bens la libert sociale o civile, cio la natura
e i limiti del potere che la Societ pu legittimamente esercitare
sull'individuo: questione posta di rado e forse non discussa mai in
termini generali, ma che colla sua presenza inavvertita ha una profonda
influenza sulle controversie pratiche del secolo e probabilmente sar
bentosto riconosciuta come la questione vitale dell'avvenire. Questa
questione s lungi dall'esser nuova, che, in un certo senso, essa ha
diviso l'umanit, fin quasi dai tempi pi remoti. Ma essa si presenta
sotto nuove forme nell'epoca di progresso in cui ora sono entrati i
gruppi pi civili della specie umana, ed necessario trattarla in modo
diverso e pi fondamentale.
La lotta tra libert ed autorit la nota caratteristica di quelle
epoche storiche che ci divengono a prima giunta familiari nelle
storie greca, romana ed inglese. Ma, in altri tempi, la lotta era tra
i sudditi, o qualche classe di sudditi, e il governo: per libert,
s'intendeva la protezione contro la tirannia dei governanti politici.
Questi (tranne che in qualche citt democratica di Grecia) sembravano
in una posizione necessariamente nemica al popolo da essi governato.
In altri tempi il governo era in generale tenuto da un uomo o da una
trib o da una casta che derivava la propria autorit dal diritto di
conquista o di successione, in nessun caso dal consenso dei governati
e di cui gli uomini non osavano, fors'anche non desideravano di
porre in dubbio la supremazia, pure prendendo qualche precauzione
contro l'esercizio oppressivo di essa. Si considerava allora il potere
dei governanti come necessario, ma anche come altamente pericoloso:
come un'arma ch'essi avrebbero tentato di usare tanto contro i loro
sudditi quanto contro i nemici esterni. Per impedire che i membri pi
deboli della collettivit fossero divorati da innumerevoli avolto,
era indispensabile che un uccello da rapina pi forte degli altri
fosse incaricato di frenare questi animali voraci; ma poich il re
degli avolto non sarebbe stato meno disposto a divorare il greggie
di nessuna delle arpie minori, cos bisognava tenersi sempre sulla
difensiva contro il suo becco e contro i suoi artigli.
Per questo, scopo dei patrioti era di assegnare dei limiti al potere
che i governanti dovessero esercitare sulla collettivit: questo
essi intendevano per libert. Vi si tendeva in due modi: anzitutto,
coll'ottenere il riconoscimento di certe immunit, dette libert o
diritti politici, che, secondo l'opinione generale, il governo non
poteva impunemente violare senza mancar di parola e senza correre,
ben a ragione, il rischio di una resistenza particolare o di una
ribellione generale. Un altro espediente, pi recente in generale, era
lo stabilire dei freni costituzionali, per mezzo dei quali il consenso
della comunit o di un corpo qualunque, supposto rappresentante
degl'interessi di questa, era condizione necessaria di qualcuno fra gli
atti importanti di governo. Nella maggior parte dei paesi d'Europa,
il governo stato costretto, pi o meno, a sottomettersi alla prima
di queste restrizioni. Non avvenne lo stesso per la seconda; e il
potervi giungere o, quando fino a un certo punto gi la si possedeva,
il giungervi pi completamente, divenne dappertutto principal fine
degli amici di libert. E finch l'umanit si content di combattere
un nemico coll'altro, e d'esser governata da un padrone, a condizione
d'esser pi o meno efficacemente garantita contro la sua tirannia, i
desider dei liberali non si elevarono pi alto. Pure, nel cammino
delle cose umane, venne un momento in cui gli uomini cessarono
di considerare come naturalmente necessario che i loro governanti
costituissero un potere indipendente, d'un interesse opposto al loro.
Parve ad essi assai meglio che i var magistrati dello Stato fossero
loro rappresentanti o delegati, revocabili a loro piacimento. Sembr
che solamente a questo modo l'umanit potesse avere la completa
assicurazione che non si sarebbe mai, a suo danno, abusato dei poteri
del governo. A poco a poco, questo nuovo bisogno di governanti elettivi
e temporanei divenne l'obbietto principale delle agitazioni del
partito popolare, dovunque ce n'era uno, e allora si abbandonarono
quasi dappertutto gli sforzi precedenti per limitare il potere dei
governanti. Poich in questa lotta si trattava di far emanare il potere
di governo dalla scelta periodica dei governati, alcuni cominciarono a
credere che si era attribuita troppa importanza all'idea di limitare
il potere stesso. Questo (a ci che pareva) era un vantaggio contro
quei governanti i cui interessi erano abitualmente opposti a quelli del
popolo; ma ci che allora occorreva, era che i governanti fossero una
cosa sola col popolo, che il loro interesse e la loro volont fossero
l'interesse e la volont della nazione. La nazione non avea bisogno
d'esser protetta contro la sua propria volont: non c'era da temere
ch'essa si tiranneggiasse da s. E poich i governanti di una nazione
erano efficacemente responsabili verso di essa, prontamente revocabili
quando a questa piacesse, si poteva bene affidar loro un potere di cui
la nazione stessa aveva il mezzo di prescrivere l'uso. Il loro potere
non era che lo stesso potere della nazione, concentrato e messo in
una forma comoda per essere esercitato. Questo modo di pensare o forse
piuttosto di sentire era comune, nell'ultima generazione dei liberali
europei, fra i quali prevale ancora sul continente. Quelli che pongono
qualche limite a ci che un governo pu fare, tranne il caso di governi
tali che, secondo essi, non dovrebbero esistere, sono, fra i pensatori
del continente, segnati a dito come brillanti eccezioni. Un tal modo di
sentire potrebbe, nell'ora che volge, prevalere anche nel nostro paese,
se le contingenze che per un dato tempo l'incoraggiarono non l'avessero
mutato dappoi.
Ma nelle teorie politiche e filosofiche, come nelle persone, il
successo lascia scorgere dei difetti e dei lati deboli che l'insuccesso
avrebbe potuto nascondere. L'idea che i popoli non hanno bisogno di
limitare il loro potere su loro stessi poteva sembrare assiomatica
quando il governo popolare era una cosa di cui ci si limitava a sognar
l'esistenza o a leggerla nella storia, in qualche epoca molto remota.
Questo concetto non fu necessariamente turbato da transitorie
aberrazioni, come quelle della rivoluzione francese, di cui le peggiori
furono opera di una minoranza usurpatrice e che, in ogni caso, non
rappresentavano l'azione permanente delle instituzioni popolari, ma
una esplosione subitanea e convulsiva contro il dispotismo monarchico
ed aristocratico. Frattanto, a tempo opportuno, una repubblica
democratica venne ad occupare una larga superficie della terra e
divenne una delle parti pi potenti della comunit delle nazioni.
D'allora in poi, il governo elettivo e responsabile divenne l'obbietto
di quelle osservazioni e di quelle critiche che si dirigono a qualunque
grande fatto esistente. Ci si accorse allora che certe frasi, come
il potere su s stesso e il potere dei popoli su loro stessi,
non esprimevano il vero stato delle cose; il popolo che esercita
il potere non sempre quello stesso su cui lo si esercita, e il
governo di s stesso di cui si parla non il governo di ciascuno
tenuto da lui stesso, ma di ciascuno tenuto da tutti gli altri.
Inoltre, volont del popolo significa, praticamente, volont della
parte pi numerosa ed attiva del popolo della maggioranza insomma,
o di quella che riesce a passare per tale. Di conseguenza, il popolo
pu desiderar di opprimere una parte di s stesso, e le precauzioni
sono, a questo riguardo, utili altrettanto che contro qualunque altro
abuso di potere. Per queste ragioni sempre importante limitare il
potere del governo sugl'individui, anche quando i governanti siano
regolarmente responsabili verso la comunit, o cio verso il partito
che nella comunit prevale. Questo modo di lumeggiare l'argomento non
ha durato fatica a farsi accettare: esso si raccomanda ugualmente
all'intelligenza dei pensatori e alle tendenze di quelle classi
notevoli della societ europea che considerano la democrazia come
ostile ai loro interessi. Cos ora si pone, nelle speculazioni
politiche, la tirannia della maggioranza nel novero dei mali contro di
cui la societ deve premunirsi.
Come le altre tirannie, quella della maggioranza fu dapprima ed
volgarmente ancora temuta, sopratutto in quanto agisce per mezzo
degli atti della pubblica autorit. Ma ogni attento osservatore si
accorse che, quando la societ essa stessa il tiranno la societ
collettivamente, rispetto ai singoli individui che la compongono
i suoi mezzi di tiranneggiare non si restringono agli atti ch'essa
comanda ai suoi funzionar politici. La societ pu eseguire, ed
eseguisce essa stessa, i suoi propr decreti; e, se ne emana di
cattivi, o se ne emana a proposito di cose in cui non dovrebbe entrare,
essa esercita una tirannia sociale pi formidabile di qualunque
oppressione legale: in realt, se una tal tirannia non dispone di
penalit altrettanto gravi, lascia per minor mezzo di sfuggirle;
perch penetra ben pi addentro nei particolari della vita ed incatena
l'anima stessa.
Per questo, la protezione contro la tirannia del magistrato non basta.
Dappoich la societ ha la tendenza: 1. d'imporre come regole di
condotta, con mezzi che non entrano nelle penalit civili, le sue
idee e i suoi costumi a quelli che se ne staccano 2. d'impedire
lo sviluppo e, per quanto possibile, la formazione di qualunque
individualit spiccata 3. di costringere tutti i caratteri a
modellarsi sul suo proprio l'individuo ha il diritto di esser
protetto contro tutto questo. C' un limite all'azione legittima della
opinione collettiva sull'indipendenza individuale: trovare questo
limite e difenderlo contro qualunque usurpazione indispensabile
ad una buona condizione delle cose umane altrettanto che proteggerci
contro il dispotismo politico.
Ma, se questa proposizione non contestabile in termini generali,
la questione pratica del _dove_ il limite si debba porre, del _come_
si debbano metter d'accordo la libert individuale e la sociale
sorveglianza, un argomento sul quale quasi tutto ancora da fare.
Tutto ci che d qualche valore alla nostra esistenza dipende dalla
coazione imposta alle azioni d'altri: dunque alcune regole di condotta
debbono essere imposte dalla legge anzitutto, e poi dall'opinione, per
quelle molte cose su cui la legge non pu esercitare un'azione.
Quali debbono essere queste regole? Tale la fondamental questione
nelle cose umane; ma, eccezion fatta per qualcuno dei casi pi
importanti, anche quella per la soluzione della quale si fatto il
minor cammino.
Non vi sono due secoli n, quasi, due paesi che su questo siano
arrivati alla stessa conclusione; e la conclusione di un secolo o di
un paese argomento di stupore per un altro. Tuttavia, gli uomini
di ciascun secolo o di ciascun paese non trovano la questione pi
complicata che se si trattasse di un soggetto su cui la specie umana
sia sempre andata d'accordo. Le regole che in mezzo a loro predominano
sembrano evidenti ed aventi in s stesse la loro giustificazione:
questa illusione quasi universale uno degli esemp della magica
influenza dell'abitudine, la quale non soltanto, come dice il
proverbio, una seconda natura, ma continuamente scambiata con la
natura medesima. L'effetto dell'abitudine, impedendo che alcun dubbio
si elevi a proposito delle regole di condotta dall'umanit imposte a
ciascuno, tanto pi completo in quanto che, su questo argomento,
non si considera generalmente come necessario di poter dare delle
ragioni o agli altri o a s stesso: si avvezzi a credere (e certuni
che aspirano al titolo di filosofi c'incoraggiano in questa opinione)
che i nostri sentimenti su soggetti di tal natura valgano meglio di
ragioni e rendano queste inutili. Il principio pratico che ci guida
nelle nostre opinioni sul modo di regolare la condotta umana, l'idea,
nello spirito di ciascuno, che gli altri dovrebbero esser costretti ad
agire come desidererebbe egli e quelli pei quali egli ha simpatia. In
realt, nessuno si confessa che il regolatore del suo giudizio il suo
proprio capriccio; eppure un'opinione su un punto di condotta, che non
sostenuta da ragioni, non pu considerarsi se non come la tendenza di
una persona; e se le ragioni, una volta date, non sono che un semplice
richiamo ad una simile tendenza a cui altre persone obbediscono, e
sempre ancora la inclinazione di molti in luogo d'essere quella di
un solo. Per un uomo ordinario, tuttavia, la sua inclinazione, cos
sostenuta, non solo una ragione pienamente soddisfacente, ma l'unica
da cui derivano tutte le nozioni di moralit, di gusto, di convenienze,
che la sua fede religiosa gi non comprende: anche la sua principal
guida nell'interpretazione di questa.
Di conseguenza, le opinioni degli uomini su ci che lodevole o
biasimevole risentono l'influenza di tutte le cause diverse che
influiscono sui loro desideri a proposito della condotta degli altri,
cause numerose quanto quelle che determinano i loro desideri su
qualunque altro soggetto. Qualche volta la loro ragione; qualche
altra sono i loro pregiudizi o le loro superstizioni; spesso i loro
sentimenti sociali, e non di rado le loro tendenze antisociali,
l'invidia o la gelosia, lo sprezzo o l'improntitudine. Ma il pi delle
volte l'uomo guidato dal suo interesse, legittimo o illegittimo.
Dovunque c' una classe dominante, quasi tutta la morale pubblica
deriva dagli interessi di questa classe e dai suoi sentimenti di
superiorit. La morale tra Spartani ed Iloti, tra coltivatori e negri
nelle piantagioni, tra principi e sudditi, tra nobili e plebei, tra
uomini e donne, fu quasi dappertutto creazione degl'interessi e dei
sentimenti di classe: e le opinioni cos generate reagiscono alla lor
volta sui sentimenti morali dei membri della classe dominante, nelle
loro relazioni reciproche. D'altra parte, dovunque una classe in altri
tempi dominante ha perduto la sua influenza, o anche dovunque questa
influenza impopolare, i sentimenti morali che prevalgono portano il
segno di un'impaziente ribellione all'autorit. Un altro principio,
che determin delle regole di condotta imposte, sia dalla legge,
sia dall'opinione, fu la servilit della specie umana riguardo alle
preferenze o alle avversioni supposte dei suoi signori terreni o delle
sue divinit. Questa servilit, sebbene essenzialmente egoistica, non
nasce da ipocrisa, e fa sorgere dei sentimenti d'orrore perfettamente
sinceri; essa ha reso gli uomini capaci di bruciare degli stregoni e
degli eretici.
Frammezzo a tante pi basse influenze, gli interessi evidenti
e generali della societ hanno avuto naturalmente una parte, ed
importante, nella direzione dei sentimenti morali: meno tuttavia pel
valore loro proprio che come una conseguenza delle simpatie o delle
antipatie da questi interessi prodotte. In seguito si son fatte sentire
con altrettanto vigore nello stabilirsi dei princip morali delle
simpatie o delle antipatie le quali nulla o quasi avevano a che vedere
cogli interessi della societ.
Cos il capriccio o il disgusto della societ o di qualche parte
potente della societ sono la principale determinante, in pratica,
delle regole imposte all'osservanza generale sotto la sanzione della
legge o della opinione.
In genere, quelli che erano, quanto ad idee e a sentimenti, pi
avanzati della societ, hanno lasciato che un tale stato di cose si
mantenesse, come principio, intatto, per quanto abbiano potuto lottare
contro qualcuno dei suoi particolari; si sono dati cura di sapere
che cosa debba preferire o non preferire la societ, piuttosto che di
sapere se quanto essa preferiva o non preferiva si dovesse imporre agli
individui; si proposero di mutare i sentimenti della specie umana su
qualche punto speciale in cui essi stessi eran colpevoli di eresia,
anzich di fare, con tutti gli eretici in generale, causa comune per la
difesa della libert. Nessuno si , coscientemente, inalzato di pi; e
nessuno ci rimasto saldamente tranne che in materia di religione: un
caso che, sotto pi rispetti, contiene degl'insegnamenti, sopratutto
perch offre un esempio, che colpisce, della fallibilit del cos detto
senso morale: poich l'_odium theologicum_, in un bigotto sincero,
uno dei casi pi sicuri del sentimento morale. Quelli che scossero per
primi il giogo di ci che si chiamava la Chiesa universale, erano in
generale disposti a tollerare delle divergenze di opinioni religiose
quanto quella Chiesa stessa. Ma, quando fu sbollito l'ardore della
lotta senza dare completa vittoria ad alcun partito, quando ciascuna
chiesa o setta dovette limitare le sue speranze a conservare il
possesso del terreno occupato, le minoranze, vedendo che esse non
avevano probabilit di mutarsi in maggioranze, furono costrette a
sostenere la libera dissidenza religiosa in confronto di quelli che
non potevano convertire. Di conseguenza, quasi solo su questo campo
di battaglia che i diritti dell'individuo contro la societ sono
stati rivendicati sulla base di principi bene stabiliti, e che il
diritto della societ di far pesare l'autorit sua sui dissidenti fu
apertamente contestato. I grandi scrittori a cui il mondo deve ci
ch'egli possiede di libert religiosa hanno rivendicato la libert
di coscienza come un diritto inalienabile, ed hanno in modo assoluto
negato che un essere umano debba render conto agli altri della sua fede
religiosa. Tuttavia cos naturale alla specie umana l'intolleranza
per tutto quello che veramente le preme, che la libert religiosa non
fu attuata quasi in nessun luogo, salvo l dove l'indifferenza, che non
ama di vedersi turbata nella sua pace da dispute teologiche, ha fatto
sentire il suo peso sulla bilancia.
Nello spirito di quasi tutte le persone di fede, anche nei paesi pi
tolleranti, il diritto non ammesso senza tacite riserve. Una persona
lascier dire i dissidenti in materia di governo ecclesiastico, ma
non in materia di dogma; un altro pu tollerar chicchessia, ma non
un papista o un unitario; un terzo, tutti quelli che credono alla
religione rivelata; un piccolo numero va nella sua carit pi lontano,
ma si ferma alla credenza in un Dio e nella vita futura. Dovunque il
sentimento della maggioranza ancora sincero ed intenso, ci si accorge
che essa non ha punto rinunziato alle sue pretese di essere obbedita.
In Inghilterra (a cagione delle speciali contingenze della nostra
storia politica) sebbene il giogo della opinione sia forse pi grave,
quello della legge pi lieve che nella maggior parte dei paesi
di Europa, e c' una grande avversione contro qualunque diretto
intervento del potere, sia legislativo, sia esecutivo, nella condotta
privata; questo assai meno a causa di un giusto rispetto pei diritti
dell'individuo che a causa della vecchia abitudine di considerare
il governo come rappresentante di un interesse opposto a quello del
pubblico. La maggioranza non ha ancora imparato a considerare il potere
del governo come il suo potere, e le opinioni del governo come le sue:
e quando essa sar giunta a questo, la libert individuale correr
probabilmente il pericolo di essere violata dal governo quanto lo gi
ora dalla pubblica opinione.
Ma, pel momento, c' una forza grande di sentimento pronta a sollevarsi
contro qualunque tentativo della legge per sorvegliare gl'individui,
in cose che fino allora non erano di sua spettanza: e questo senza
alcun discernimento di ci che sia o no nella sfera legittima della
sorveglianza ufficiale; cosicch un tale sentimento, cos altamente
salutare in s, applicato altrettanto spesso a torto che a ragione.
In fatto, non v' principio riconosciuto per istabilire in modo
pratico la legittimit o l'illegittimit dell'intervento governativo:
si decide secondo le tendenze personali. Gli uni, dovunque vedono del
bene da fare o del male da riparare, vorrebbero spingere il governo
ad assumersi l'impresa, mentre gli altri preferiscono sopportare
ogni sorta di abusi sociali piuttosto di aggiungere alcunch alle
attribuzioni del governo. Gli uomini si schierano, in ciascun caso
particolare, in queste o in quelle file, seguendo o l'indirizzo
generale dei loro sentimenti, o il grado d'interesse ch'essi prendono
alla cosa che si propone di far fare al governo, o anche la persuasione
che il governo sapr o non sapr fare la cosa nel modo da essi
preferito. Ma essi agiscono molto di rado secondo una opinione meditata
e ferma sulle cose che naturalmente devono esser fatte dal governo. E
quindi mi sembra che oggid, in conseguenza di tale mancanza di regola
o di principio, un partito ha torto altrettanto spesso che l'altro;
l'intervento del governo invocato a torto altrettanto spesso che
condannato a torto.
Scopo di questo saggio proclamare un principio molto semplice,
e che deve assolutamente informare la condotta della societ verso
l'individuo, in tutto ci che costrizione e sorveglianza siano poi
i mezzi usati vuoi la forza fisica, sotto forma di pene legali, vuoi
la coazione morale della pubblica opinione. Ecco un tale principio: il
solo fine che permette agli uomini, individualmente o collettivamente,
di turbare la libert d'azione d'alcuno dei loro simili, la
protezione di s stesso; la sola ragione legittima che possa avere
una comunit per far uso della forza contro uno dei suoi membri,
d'impedirgli di nuocere agli altri: ma non ragione sufficiente il
bene, sia fisico, sia morale, di questo individuo.
Un uomo non pu, a rigore, essere costretto a fare o ad omettere
un'azione, perch ci sarebbe meglio per lui, o lo renderebbe pi
felice, o perch, nell'opinione degli altri, egli farebbe cosa saggia
od anche giusta. Tutte queste sono ragioni buone per fargli delle
osservazioni, per discutere con lui, per convincerlo o per supplicarlo,
ma non per costringerlo o per cagionargli alcun danno, s'egli non se ne
cura. Per giustificare questo, occorrerebbe che la condotta da cui si
vuole distogliere quest'uomo avesse per effetto di nuocere a qualche
altro: la sola parte della condotta d'un individuo, sulla quale la
societ abbia giurisdizione, quella che concerne gli altri: per ci
che interessa lui solo, la sua indipendenza , di diritto, assoluta;
su s stesso, sul proprio corpo e sul proprio spirito, l'individuo
sovrano.
Questa dottrina forse appena necessario di accennarlo non vuol
essere applicata se non agli esseri umani nella maturanza delle loro
facolt. Noi non parliamo dei ragazzi n degli adolescenti d'ambo i
sessi che non abbiano raggiunto, secondo la legge, l'et maggiore:
quelli che sono ancora in et che richiede le cure altrui, devono
essere protetti contro le loro proprie azioni cos come contro
qualunque pericolo esterno. Per la stessa ragione, noi possiamo
lasciar da parte quelle societ nascenti in cui la razza stessa pu
esser considerata come minorenne: le prime difficolt sulla strada
del progresso spontaneo sono cos grandi, che ben di rado si ha la
scelta dei mezzi di superarle. Cos, qualunque sovrano animato da
spirito progressivo pu bene servirsi di tutti i mezzi per raggiungere
uno scopo, che altrimenti, forse, gli sarebbe sfuggito per sempre.
Il dispotismo un modo legittimo di governare quando si tratta
con barbari, purch lo scopo sia il loro miglioramento e i mezzi si
giustifichino raggiungendolo sul serio. La libert, come principio,
non si pu applicare ad uno stato di cose anteriore al momento in
cui la specie umana divien capace di migliorarsi con un'equa e libera
discussione: fin l, essa non pu sperare che nella cieca obbedienza ad
un Akbar o ad un Carlomagno, se ha la fortuna di trovarne. Ma dacch il
genere umano capace di progredire per mezzo della convinzione o della
persuasione (grado che da molto tempo hanno raggiunto tutte le nazioni
di cui qui dobbiamo occuparci) la coazione, o sotto la forma diretta, o
sotto quella di penalit per la non osservanza, non pi ammissibile
come mezzo di far del bene agli uomini; essa giustificabile ancora
soltanto per la loro sicurezza reciproca.
Conviene premetterlo: io trascuro qualunque vantaggio possa venire
alla mia argomentazione dall'idea del diritto astratto come cosa
indipendente dall'utile: l'utilit , a senso mio, la soluzione suprema
di qualunque questione morale; ma dev'essere l'utilit nel senso
pi vasto della parola, l'utilit fondata sui vantaggi permanenti
dell'uomo, considerato come essere progressivo.
Questi interessi, io sostengo, non giustificano la sottomissione
della spontaneit individuale ad una sorveglianza esteriore se non per
quelle azioni di ciascuno che toccano l'interesse altrui. Se un uomo
compie un atto agli altri dannoso, c' evidentemente ragione di punirlo
colla legge, oppure, se le penalit legali non sono in tutta certezza
applicabili, colla generale disapprovazione. Vi sono anche molti atti
positivi vantaggiosi agli altri, che un uomo pu esser giustamente
obbligato a compiere: per esempio, far da testimonio in giudizio o fare
tutto il proprio dovere, sia nella difesa comune, sia in qualunque
opera comune necessaria alla societ sotto la protezione della quale
egli vive. Inoltre, si pu, a rigore, tenerlo responsabile verso la
societ s'egli non compie certi atti di beneficenza individuale che
sono, in date circostanze, il dovere evidente di ogni uomo; come il
salvare la vita al proprio simile o l'intervenire per difendere il
debole dai maltrattamenti. Una persona pu nuocere agli altri non
soltanto colle sue azioni, ma colla sua inazione; e, in ogni caso, essa
responsabile verso di loro del danno.
vero che, nell'ultimo caso, la coazione deve essere esercitata con
assai maggiore riguardo che nel primo. Tenere qualcuno responsabile
del male ch'esso fa agli altri: ecco la regola; tenerlo responsabile
del male da cui non li assicura: ecco, comparativamente parlando,
l'eccezione. Tuttavia, vi sono molti casi abbastanza chiari ed
abbastanza gravi per giustificare questa eccezione. In tutto ci
che riguarda le relazioni esteriori dell'individuo, esso ipso
iure responsabile verso quelli i cui interessi sono in giuoco, e,
se occorre, verso la societ come loro proteggitrice. Vi sono spesso
delle buone ragioni per non imporre agli uomini questa responsabilit;
ma tali ragioni debbono derivare dalle particolari convenienze del
caso, sia perch un caso in cui, tutto considerato, l'individuo
agir probabilmente meglio abbandonato al suo proprio impulso che
sorvegliato in qualsiasi modo dalla societ; sia perch un tentativo
di sorveglianza produrrebbe mali pi grandi di quelli che si vogliono
evitare. Quando tali ragioni fanno ostacolo alla responsabilit
forzata, la coscienza dello stesso agente deve prendere il posto del
giudice assente, per proteggere quegli interessi altrui che mancano
di una protezione esteriore, e l'uomo deve giudicarsi tanto pi
severamente in quanto che il caso non lo sottomette al giudizio dei
suoi simili.
Ma v' una sfera d'azione, nella quale la societ, come distinta
dall'individuo, non ha che un interesse indiretto, se pure essa ne ha
uno. Intendiamo quella parte della condotta e della vita di una persona
che tocca soltanto la persona stessa o che, se tocca ugualmente gli
altri, lo fa col loro consenso e colla loro partecipazione libera,
spontanea e perfettamente illuminata. Quando io parlo di ci che
riguarda la persona soltanto, intendo ci che la riguarda in modo
diretto e immediato; poich tutto ci che tocca un individuo pu
toccar gli altri per mezzo di lui, e l'obbiezione che si basa su questa
possibilit sar l'argomento di nostre ulteriori riflessioni. Questa
adunque la regione che spetta alla umana libert. Essa comprende,
prima di tutto, la giurisdizione di quello che i canonisti chiamano il
_forum internum_, esigendo la libert di coscienza nel senso pi esteso
della parola, la libert di tendenza e di pensiero, la libert assoluta
d'opinioni e di sentimenti, su qualunque soggetto pratico, speculativo,
scientifico, morale o teologico. La libert di esprimere e di pubblicar
delle opinioni pu sembrar sottoposta a un diverso principio, perch
essa appartiene a quella parte della condotta d'un individuo che tocca
gli altri; ma, poich essa d'un'importanza pressoch uguale a quella
della stessa libert di pensiero, e riposa, in gran parte, sulle stesse
ragioni, queste due libert sono, in pratica, inseparabili. In secondo
luogo, il principio della libert umana richiede la libert dei gusti e
dei capricci, la libert di adattare il nostro tenor di vita all'indole
nostra, di fare quel che ci garba, avvenga che vuole avvenire, senza
esserne impediti dai nostri simili, fino a che noi non arrechiamo loro
danno, ed anche quando essi trovino sciocca o biasimevole la nostra
condotta. In terzo luogo da questa libert di ciascun individuo nasce,
negli stessi limiti, la libert di associazione fra gli individui;la
libert di unirsi per un qualunque fine inoffensivo per gli altri
supposto sempre che gli associati siano d'et maggiore e non siano n
costretti, n ingannati.
Nessuna societ libera, qualunque possa essere la forma di governo
con cui si regge, se queste libert non sono almeno rispettate; e
nessuna libera completamente, se queste libert non esistono in modo
assoluto e senza riserve.
La sola libert degna veramente di questo nome e quella di cercare
il nostro bene a modo nostro, fino a che noi non tentiamo di privar
gli altri del loro o di porre ostacoli ai loro sforzi per ottenerlo.
Ognuno il custode naturale della sua propria salute, sia fisica, sia
intellettuale e spirituale; e la specie umana guadagna di pi a lasciar
che ciascuno viva come meglio gli sembra, che a costringerlo a vivere
come sembra meglio a tutti gli altri.
Sebbene questa dottrina non sia affatto nuova, e possa a qualcuno
sembrare una verit evidente, non ve n' certo altra che sia pi
diametralmente opposta all'opinione e al costume oggi esistenti. La
societ si data tanta cura per tentare (secondo i suoi criteri) di
costringere gli uomini a seguir le sue nozioni di perfezione personale,
quanto per veder di obbligarli a seguire le sue idee in fatto di
perfezione sociale. Le antiche repubbliche si credevano in diritto (e
i filosofi dell'antichit appoggiavano la loro pretesa) di regolare,
di pubblica autorit, tutta la condotta privata, sotto pretesto che
la disciplina fisica e morale di ciascun cittadino cosa la quale
interessa profondamente lo Stato. Questo modo di pensare poteva essere
ammissibile in piccole repubbliche circondate da potenti nemici ed
in pericolo continuo di essere rovesciate o da un attacco esteriore
o da un sommovimento interno. A simili stati poteva cos facilmente
cagionar danno che l'energia e l'impero degli uomini su loro stessi
si allentassero anche per un solo istante, che non era ad essi lecito
di attendere gli effetti salutari e permanenti della libert. Nel
mondo moderno, la maggior importanza delle comunit politiche, e
sopratutto la separazione dell'autorit religiosa dalla civile (ponendo
la direzione della coscienza dell'uomo in mani diverse da quelle che
sorvegliavano i suoi affari temporali) impedirono un intervento cos
grande della legge nei particolari della vita privata; ma, a dire il
vero, l'individuo non vi fece un gran guadagno: l'autorit spirituale
si pose a regolare tutti i particolari abbandonati dalla temporale:
l'uomo fu allora stretto anche pi da vicino in quanto lo riguarda,
poich la religione (l'elemento d'autorit morale fino ad oggi pi
potente) fu quasi sempre governata o dall'ambizione di una gerarchia
che aspira a guidare tutta la condotta umana o dallo spirito di
puritanismo. Qualcuno di quei riformatori moderni, che con maggior
veemenza hanno dato l'assalto alle religioni del passato, non sono per
nulla affatto rimasti addietro n alle chiese n alle sette, nella loro
affermazione del diritto di autorit spirituale; citeremo in ispecie
Augusto Comte, il cui sistema sociale, quale ei lo espone nel suo
_Sistema di politica positiva_, mira a stabilire (piuttosto, vero,
con mezzi morali che con mezzi legali) un dispotismo della societ
sull'individuo, che supera tutto quanto hanno potuto imaginare i pi
rigidi tra i filosofi antichi in fatto di disciplina.
A parte le dottrine speciali dei pensatori individuali, vi anche nel
mondo una forte e crescente inclinazione ad estendere esageratamente
il potere della societ sull'individuo, e colla forza dell'opinione,
e anche con quella della legislazione. Ora, poich tutti i mutamenti
che s'operano nel mondo hanno l'effetto di accrescere la forza della
societ e diminuire il potere dell'individuo, questa usurpazione non
uno di quei mali che tendano a sparire spontaneamente: anzi, esso
tende, al contrario, a divenire sempre pi formidabile. La tendenza
degli uomini, sia come sovrani, sia come concittadini, ad imporre agli
altri le loro opinioni e i loro capricci come regola di condotta
cos efficacemente sostenuta da qualcuno dei migliori e da qualcuno dei
peggiori sentimenti dell'uomo, che essa non si raffrena quasi mai, se
non quando proprio il potere le manca. E poich il potere non sulla
strada di diminuire, ma di crescere, conviene aspettarsi salvo che
contro il male si elevi una forte barriera di convinzione morale
conviene aspettarsi, diciamo, nelle presenti condizioni del mondo, di
veder crescere anche tale tendenza.
pi opportuno per l'argomento che, invece di affrontare
immediatamente la tesi generale, noi ci tratteniamo dapprima in
una sola delle sue parti, a proposito della quale il principio qui
stabilito riconosciuto, se non del tutto, almeno fino ad un certo
segno, dalle opinioni correnti. Questo ramo la libert di pensiero,
da cui impossibile separare la libert di parola e di stampa.
Sebbene queste libert formino una parte importante della moralit
politica di tutti i paesi che mantengono la tolleranza religiosa e le
libere instituzioni, tuttavia i princip, sia filosofici, sia pratici,
su cui esse riposano, non sono forse cos famigliari allo spirito
pubblico n cos pienamente valutati dagli stessi capi dell'opinione,
come si potrebbe credere. Questi princip, sanamente intesi, sono
applicabili a ben pi d'una suddivisione dell'argomento; e un esame
alquanto approfondito di questa parte della questione sar, io penso,
la migliore introduzione al rimanente. Per questo, coloro che non
troveranno nulla di nuovo in ci che verr dicendo, vorranno, io spero,
avermi per iscusato se oso discutere una volta di pi un argomento che,
da tre secoli in qua, stato tante volte dibattuto.
FINE DEL CAPITOLO PRIMO
<h2 id="">CAPITOLO SECONDO.
LA LIBERT DI PENSIERO E DI DISCUSSIONE.
lecito sperare che sia trascorso il tempo in cui sarebbe stato
necessario difendere la libert di stampa come una guarentigia contro
un governo corrotto o tirannico; oggi, io penso, non c' pi bisogno
d'eccitare gli uomini alla ribellione contro qualunque potere,
legislativo o esecutivo, i cui interessi non fossero identificati con
quelli del popolo e che pretendesse di prescrivergli delle opinioni
e di stabilire quali dottrine o quali argomenti gli sia permesso di
sentire.
D'altra parte, questo aspetto della questione stato gi cos spesso
trattato, e in modo cos splendido, che qui non occorre d'insistervi
pi specialmente. Sebbene la legge inglese sulla stampa sia oggi cos
servile come lo era al tempo dei Tudor, pure v' ben poco pericolo che
oggi se ne faccia uso contro la discussione politica, salvo che durante
qualche panico passeggiero, quando il timor della insurrezione trascina
ministri e giudici fuori del loro stato normale[1].
In generale, non v' a temere, in un paese costituzionale, che il
governo (sia esso o no pienamente responsabile di fronte al popolo)
tenti spesso di sorvegliare l'espressione delle opinioni, eccettuato
il caso in cui, cos agendo, esso divien l'organo della generale
intolleranza del pubblico.
Supponiamo dunque che il governo non sia che una cosa col popolo, e
non pensi in alcun modo ad esercitare alcun potere di coercizione,
ammenoch non sia d'accordo con quello ch'esso considera la voce
del popolo: ebbene, io nego al popolo il diritto di esercitare una
tale coercizione, sia da s, sia per mezzo del suo governo: questo
poter di coercizione illegittimo. Il migliore dei governi non vi
ha pi diritto del peggiore; un tal potere altrettanto ed anche
pi dannoso quando lo si esercita d'accordo con l'opinione pubblica,
di quando lo si esercita in opposizione con essa. Se tutta la specie
umana, salvo una persona, fosse di un parere, e una persona soltanto
fosse del parere contrario, la specie umana non sarebbe per nulla
pi giustificabile imponendo silenzio a tale persona di quello che
questa lo sarebbe se, potendo, imponesse silenzio alla specie umana.
Se una opinione non fosse che una personale propriet, e non avesse
valore che pel possessore; se l'esser turbati in questo possesso
fosse un danno puramente personale, vi sarebbe qualche differenza tra
l'essere il danno inflitto a poche persone o a molte. Ma questo vi ha
di specialmente dannoso nell'imporre silenzio all'espressione d'una
opinione: che si defrauda la specie, la posterit come la generazione
esistente, quelli che si allontanano da una tale opinione ancora pi
di quelli che la sostengono. Se questa opinione giusta, sono privati
di un mezzo di lasciar l'errore per la verit; se sbagliata, essi
perdono un beneficio quasi altrettanto importante: la percezione pi
chiara e l'impressione pi viva della verit, prodotta dal suo cozzo
con l'errore.
necessario di considerare separatamente queste ipotesi, a ciascuna
delle quali corrisponde un ramo distinto dell'argomentazione. Noi
non possiamo mai essere sicuri che l'opinione che noi cerchiamo di
sopprimere sia falsa; e, lo fossimo pure, il sopprimerla sarebbe ancora
un male.
E, anzitutto, l'opinione che si cerca sopprimere d'autorit pu
benissimo esser vera; quelli che desiderano sopprimerla, naturalmente,
contestano la sua verit: ma essi non sono infallibili, non hanno
il potere di decidere la questione per tutto il genere umano, e di
rifiutare agli altri i mezzi di giudicare.
Non lasciar conoscere una opinione perch si sicuri della sua falsit
affermare che si possiede la certezza assoluta. Tutte le volte che
si tronca una discussione, si afferma, soltanto con questo, la propria
infallibilit: e la condanna di un tal modo di procedere si potrebbe
benissimo basare su questo solo argomento.
Disgraziatamente pel buon senso degli uomini, il fatto della loro
fallibilit lungi dall'avere, nel loro giudizio pratico, l'importanza
che essi gli accordano in teoria. In realt, mentre ciascuno di essi
sa benissimo d'esser fallibile, un piccolo numero d'uomini soltanto
trovano necessario di prendere delle precauzioni a questo riguardo, e
di ammettere l'ipotesi che una opinione di cui essi si sentano certi
possa servire ad esempio dell'errore a cui si riconoscono soggetti.
I principi assoluti, o altre persone avvezze a una deferenza
illimitata, hanno di solito questa piena fiducia nelle loro opinioni in
quasi tutti gli argomenti; gli uomini aventi una posizione fortunata,
che tentano talvolta discutere le loro opinioni e che non hanno del
tutto perduto l'abitudine di essere corretti quando s'ingannano,
pongono la stessa fiducia senza limiti in quelle loro opinioni a cui
partecipano quelli che li circondano o quelli pei quali essi hanno una
deferenza abituale; poich in proporzione della mancanza di fiducia
dell'uomo nel suo personale giudizio, egli presta una fede pi cieca
all'infallibilit del _mondo_ in generale. E il _mondo_ , per ciascun
individuo, la parte di mondo colla quale egli a contatto: il suo
partito, la sua setta, la sua chiesa, la sua classe sociale; e,
comparativamente, si pu dire di un uomo che ha uno spirito largo e
liberale, quando questa parola _mondo_ significa per lui il suo paese
o il suo secolo. La fede dell'uomo in questa autorit collettiva non
scossa n punto n poco, per quanto egli sappia che altri secoli, altri
paesi, altre sette, altre chiese, altri partiti hanno pensato e pensano
esattamente il contrario.
Esso incarica il suo proprio mondo d'aver ragione contro i mondi
dissidenti degli altri uomini e non si turba mai alla idea che il puro
caso ha deciso quale di questi mondi numerosi dovesse possedere la sua
fiducia, e che le stesse cause che fanno di lui un cristiano a Londra
ne avrebbero fatto un buddista a Pekino. Tuttavia la cosa in s tanto
evidente, che tutti gli argomenti la potrebbero provare. I secoli non
sono pi infallibili degli individui: ciascun secolo ha professato
molte opinioni che i secoli seguenti hanno ritenuto non solamente
false, ma assurde; ed ugualmente certo che molte opinioni oggi da
tutti professate saranno abbandonate dai secoli venturi, come molte
opinioni in altri tempi comuni sono abbandonate dal secolo presente.
L'obbiezione che probabilmente si far a questo argomento potrebbe
forse prendere la forma seguente. Non c' una pretesa pi grande
d'infallibilit nell'ostacolo posto alla propagazione dell'errore che
in qualunque altro atto dell'autorit. Il giudizio dato all'umanit,
perch essa ne faccia uso; perch se ne pu fare un uso cattivo,
bisogna dire agli uomini ch'essi non se ne dovrebbero servire del
tutto? Nel proibire quel ch'essi credono dannoso essi non pretendono
d'essere esenti d'errore, essi non fanno che adempire il dovere, per
essi imprescindibile (sebbene siano fallibili) di agire secondo la loro
convinzione coscienziosa. Se poi non dovessimo mai agire secondo le
nostre opinioni, perch le nostre opinioni possono essere false, noi
trascureremmo di curare tutti i nostri interessi, di compiere tutti
i nostri doveri; un'obbiezione applicabile a qualunque condotta in
generale, non pu essere un'obbiezione forte contro una data condotta
in particolare. Dovere dei governi e degli individui di formarsi
le opinioni pi vicine al vero che sia possibile, di formarsele
accuratamente, di non imporle agli altri senza essere perfettamente
sicuri di aver ragione. Ma quando essi ne sono sicuri (cos parlano
i nostri avversari) non sarebbe coscienziosit ma poltroneria il non
agire secondo la propria opinione e lasciar propagarsi liberamente
delle dottrine che in coscienza si trovano pericolose al benessere
della umanit, sia in questa, sia nella vita futura; e tutto questo
perch altri popoli, in tempi meno illuminati, hanno perseguitato delle
opinioni che oggid si credono vere.
I nostri avversari aggiungono: ci si dir, guardiamoci dal cadere nello
stesso errore. Ma i governi e le nazioni hanno commesso degli errori
a proposito di altre cose sulle quali si ritiene che possa senza alcun
inconveniente essere esercitata l'autorit pubblica; essi hanno levato
delle imposte cattive, hanno fatto delle guerre ingiuste. E noi dovremo
per questo non levar pi alcuna imposta e non far pi delle guerre,
non ostante qualunque provocazione? Gli uomini e i governi debbono
agire meglio che possono; la certezza assoluta non c', ma ce n' a
sufficienza pei bisogni della vita; e noi possiamo e dobbiamo affermare
che la nostra opinione vera per la direzione della nostra condotta e
non affermiamo nulla di pi coll'impedire che si pervertisca la societ
colla propagazione di opinioni che noi riteniamo false e perniciose.
Io rispondo che cos si afferma ben di pi. C' una grandissima
differenza tra il presumere che una opinione sia vera, perch,
con tutti i mezzi d'esser confutata, essa non ha potuto esserlo,
e l'affermare la sua verit allo scopo di non permetterne la
confutazione. La libert completa di contraddire e di disapprovare la
nostra opinione la condizione appunto che ci permette di affermare
la sua verit da un punto di vista pratico; un essere umano non pu
avere in altro modo l'assicurazione razionale di esser nel vero.
Quando noi consideriamo, vuoi la storia dell'opinione, vuoi la condotta
ordinaria della vita umana, a che si pu attribuire se l'una e l'altra
non sono peggiori di quel che sono? Non certamente alla forza inerente
all'intelligenza umana, poich su qualunque soggetto che non sia per
s stesso evidente, una sola persona su cento sar capace di giudicare.
Ancora: la capacit di questa unica persona non che relativa; poich
la maggioranza degli uomini eminenti di ciascuna generazione passata ha
sostenuto molte opinioni oggid ritenute erronee, e fatte od approvate
molte cose che nessuno oggid giustificherebbe.
Come avviene dunque che, dopo tutto, nella specie umana, c'
una preponderanza di opinioni e di condotta razionali? Se questa
preponderanza esiste davvero ed quanto dev'essere, a meno che
gli affari umani non siano e non siano stati sempre in uno stato
quasi disperato essa dovuta ad una qualit dello spirito umano,
la sorgente di tutto quanto vi ha di rispettabile nell'uomo, sia
come essere intellettuale, sia come essere morale: la possibilit
di correggere i propr errori. L'uomo capace di correggere i suoi
sbagli con la discussione e l'esperienza. E non con la sola esperienza:
occorre la discussione per vedere come quella si deva interpretare.
Le opinioni ed i costumi falsi cedono gradualmente davanti al fatto
e all'argomento; ma perch i fatti e gli argomenti producano qualche
impressione sullo spirito, necessario che gli vengano presentati.
Pochissimi fatti possono dire la loro storia essi stessi, senza
commenti che ne spieghino il significato. Poich dunque tutta la forza
e tutto il valore del giudizio dell'uomo poggiano su questa propriet
ch'egli possiede, di poter essere corretto quando fuor di strada, non
permesso di porre in esso qualche fiducia se non quando si hanno ben
sotto mano i mezzi di raddrizzarlo.
Come ha fatto un uomo il cui giudizio merita realmente fiducia? Egli
ha posto attenzione a tutte le critiche sulla sua opinione e sulla
sua condotta, ha avuto per abitudine d'ascoltare tutto quello che si
poteva dire contro di lui, di trarne profitto in quanto era giusto,
e d'esporre a s stesso ed agli altri, all'occasione, la falsit di
ci che non era se non un sofisma; egli ha compreso che il solo mezzo
col quale un essere umano possa giungere alfine a conoscere a fondo un
soggetto quello di ascoltare ci che ne possono dire delle persone
di tutte le opinioni, e di studiare tutti i modi onde esso pu esser
lumeggiato dalle diverse intelligenze. Mai alcun saggio acquist
diversamente la sua saggezza, e non nella natura dell'intelligenza
umana il divenir saggio in altro modo. La costante abitudine di
correggere e di completare la propria opinione, paragonandola con
quella degli altri, lungi dal cagionare dubbio ed esitazione nel
metterla in pratica, il solo fondamento stabile di una giusta fiducia
in questa opinione.
In realt, poich l'uomo saggio conosce tutto quello che, secondo
probabilit, si pu dire contro di lui, ed ha assicurato la sua
posizione contro qualunque avversario, sapendo che, lungi dall'evitare
le obbiezioni e le difficolt, egli andato a cercarle e non ha
rinunciato ad alcun modo di lumeggiare il soggetto, quest'uomo ha
diritto di pensare che il suo giudizio val meglio che quello di non
importa qual persona o quale moltitudine, la quale non abbia usati gli
stessi mezzi.
Non un pretendere troppo l'imporre al pubblico, a quest'accolta
variopinta di pochi saggi e di molti sciocchi, le stesse condizioni
che gli uomini pi sapienti, quelli che hanno pi ragione di fidarsi
del loro giudizio, considerano garanzie necessarie alla loro fiducia
in loro stessi. La pi intollerante delle chiese, la chiesa romana
cattolica, anche quando trattasi della canonizzazione di un santo,
ammette ed ascolta pazientemente un _avvocato del diavolo_; sembra
che i pi santi fra gli uomini non possano essere ammessi ai postumi
onori se non quando sia noto e ben ponderato quanto il diavolo pu dire
contro di essi.
Se non fosse stato permesso di porre in dubbio la filosofia di Newton,
la specie umana non potrebbe con tutta certezza tenerla per vera. Le
credenze per le quali noi abbiamo le maggiori garanzie non poggiano
se non su di una protezione: l'invito costante al mondo intiero di
dimostrare la loro falsit. Se la sfida non accettata, o se essa
accettata e la prova non riesce, noi siamo ancora abbastanza lungi
dalla certezza, ma abbiamo fatto tutto quello che lo stato presente
della ragione umana ci permette di fare; noi non abbiamo trascurato
nulla di ci che poteva fornirci un mezzo di raggiungere la verit.
E, restando il campo sempre aperto, noi possiamo sperare che, se
esiste una verit migliore, la si trover quando lo spirito umano sar
capace di accoglierla; e, nell'attesa, possiamo esser certi di esserci
avvicinati alla verit di quanto era possibile nel tempo nostro. Ecco
tutta la certezza a cui possa arrivare un essere fallibile, ed ecco la
sola strada per arrivarci.
strano che gli uomini riconoscano il valore degli argomenti in favore
della libera discussione, ma che non vogliano saperne di portar questi
argomenti alle ultime conseguenze, non vedendo che, se queste ragioni
non servono anche per un caso estremo, esse non hanno alcun valore.
Altra cosa bizzarra: essi non credono di darsi l'aria d'infallibili,
quando riconoscono che la discussione deve essere libera su tutti i
soggetti i quali possano essere _dubbiosi_, e pensano, nello stesso
tempo, che al di sopra della discussione si dovrebbe porre una
dottrina, un punto particolare, perch esso cos _certo_... che
quanto dire _perch essi sono cos certi_ che certo! Tenere una cosa
per certa, finch esiste un essere umano pronto a negarne la certezza,
se lo potesse, ma a cui lo si impedisce, affermare che noi, e quelli
che seguono la nostra opinione, siamo i giudici della certezza, e
giudichiamo senza sentir tutte e due le campane
Nel nostro secolo, che si rappresentato come privo di fede ma come
pauroso dello scetticismo, poich gli uomini si sentono assicurati non
tanto dalla verit delle loro opinioni quanto dalla loro necessit, i
diritti di un'opinione ad esser protetta contro un pubblico assalto
riposano sulla sua importanza per la societ, piuttosto che sulla
sua verit. Vi sono si va dicendo certe credenze cos utili,
per non dire indispensabili al benessere, che i governi hanno dovere
di proteggerle quanto di proteggere qualunque altro degli interessi
della societ. In un caso di necessit cos assoluta, che fa parte
cos evidente del loro dovere, si sostiene che anche qualcosa di meno
dell'infallibilit pu permettere ai governi ed anche obbligarli ad
agire secondo la loro opinione, confermata dall'opinione generale
della umanit. Si dice pure spesso, e anche pi spesso si pensa
questo: nessuno, salvo un uomo vizioso, vorrebbe indebolire tali
salutari credenze, e nulla ci pu essere di male a raffrenare degli
uomini viziosi ed a proibire ci ch'essi soli vorrebbero fare. Questo
modo di pensare fa, della giustificazione delle restrizioni che alla
discussione s'impongono, una questione non di verit, ma di utilit,
e si lusinga di sottrarsi in questo modo alla responsabilit della
pretesa d'essere infallibile. Ma quelli che si contentano di cos poco
non si accorgono che la pretesa all'infallibilit semplicemente
spostata da un punto ad un altro. L'utilit stessa di una opinione
affare di opinione; essa si presta alla discussione, e la richiede
altrettanto che l'opinione stessa.
C' lo stesso bisogno di un giudice infallibile di opinioni per
decidere che una opinione dannosa, come per decidere ch'essa falsa,
quando l'opinione condannata non abbia tutta la facilit di difendersi.
Ed inutile dire che si pu permettere ad un eretico di sostenere
l'utilit o l'innocenza della sua opinione, sebbene gli s'impedisca
di sostenerne la verit: la verit d'una opinione fa parte della
sua utilit: quando noi vogliamo sapere se sia o no desiderabile che
un'opinione sia creduta, mai possibile d'escludere la considerazione
della sua verit o della sua falsit?
Nell'opinione, non degli uomini viziosi, ma dei migliori, nessuna
credenza contraria alla verit pu essere realmente utile; e potete voi
impedire a costoro di fare una tale apologia, quando siano perseguitati
per aver negato qualche dottrina che loro si dice esser utile, ma
ch'essi credono falsa? Quelli che seguono le opinioni gi ammesse non
trascurano mai di trarre tutto il profitto possibile da questa scusa;
voi non li trovate mai a trattare la questione dell'utilit, come se
la si potesse separare completamente dalla questione della verit.
Al contrario, sopratutto perch la loro dottrina la _verit_,
che indispensabile di conoscerla o di crederci. Non vi pu essere
discussione leale sulla questione di utilit, quando una soltanto delle
parti pu far uso di un argomento cos vitale. E in linea di fatto,
quando la legge o il sentimento pubblico non permettono di discutere la
verit d'un'opinione, mostrano la stessa tolleranza verso chi negasse
la sua utilit: tutto quello che essi permettono un'attenuazione
della sua necessit assoluta o del delitto positivo di negarla.
Per mostrare pi chiaramente quanto male si faccia col rifiutar
d'ascoltare delle opinioni perch noi le abbiamo condannate in
anticipazione nel nostro proprio giudizio, sarebbe desiderabile
stabilire la discussione su di un caso determinato. Io scelgo di
preferenza i casi che mi sono meno favorevoli, quelli nei quali
l'argomento contro la libert di opinione, e dal punto di vista della
verit, e dal punto di vista della utilit, considerato come il pi
forte.
Poniamo che le opinioni combattute, siano la credenza in Dio o in
una vita futura o non importa qual altra fra le dottrine di morale
generalmente accettate. Dar battaglia su questo terreno come offrire
un gran vantaggio a un avversario di mala fede, poich esso dir
sicuramente (e con lui molte persone che non desiderano punto d'essere
in mala fede): Queste sono dunque dottrine che voi non ritenete
abbastanza certe per esser poste sotto la protezione della legge? La
credenza in Dio una di quelle opinioni di cui non si pu sentirsi
sicuro, senza pretendere all'infallibilit?
Ma io domando che mi si permetta di notare come il sentirsi certo di
una dottrina, qualunque essa sia, non ci che io dico pretendere
all'infallibilit. Io, con questo, intendo il mettersi a decidere una
tale questione anche per conto degli altri, senza permetter loro di
sentire ci che si pu obiettare dall'altro canto. Io non denuncio e
non biasimo meno questa pretesa, se essa si fa innanzi per sostenere le
mie pi solenni convinzioni. Un uomo ha un bell'essere positivamente
convinto, non soltanto della falsit, ma anche delle conseguenze
perniciose, non soltanto delle conseguenze perniciose, ma anche (per
adoperar delle espressioni che io pienamente condanno) dell'immoralit
e della empiet di un'opinione; se nondimeno, in conseguenza di questo
giudizio personale (ed anche quando sia pure sostenuto dal giudizio
pubblico del suo paese o dei suoi contemporanei), egli impedisca a
questa opinione di parlare in propria difesa, egli afferma la propria
infallibilit. E questa affermazione ben lungi dall'essere meno
pericolosa o meno biasimevole perch l'opinione detta immorale od
empia; al contrario, questo il caso pi fatale di tutti.
Queste sono precisamente le occasioni in cui gli uomini commettono
quegli spaventevoli errori che eccitano la stupefazione e l'orrore
della posterit. Noi ne troviamo degli esemp memorabili nella storia,
quando vediamo il braccio della legge occupato a distruggere gli uomini
migliori e le pi nobili dottrine: e questo, pur troppo con grande
successo quanto agli uomini; quanto alle dottrine, parecchie hanno
sopravvissuto, per essere proprio (quasi per derisione) invocate in
difesa di una simile condotta verso di quelli che non le accettavano, o
che ne rifiutavano la interpretazione comune.
Non si pu ricordare abbastanza sovente alla specie umana che vi
stato un uomo, il quale si chiam Socrate, e che vi fu un memorabile
conflitto tra quest'uomo da una parte e le autorit legali e l'opinione
pubblica dall'altra. Egli era nato in un secolo e in un paese ricchi
di grandezze individuali; la sua memoria ci stata trasmessa da quelli
che conoscono meglio lui e l'et che fu sua, come la memoria dell'uomo
pi virtuoso del suo tempo. Noi lo conosciamo al tempo istesso come
il caposcuola e il prototipo di tutti quei grandi maestri di virt
che vennero dopo di lui, attraverso la sorgente e dell'inspirazione
di Platone e del giudizioso utilitarismo di Aristotele, i maestri di
color che sanno, i due creatori di qualunque filosofia, etica e non
etica. Questo maestro riconosciuto da tutti i pensatori eminenti a
lui posteriori; quest'uomo la cui gloria sempre crescente da pi che
duemila anni supera quella di tutti gli altri nomi che resero illustre
la sua citt natale, fu mandato a morte dai suoi concittadini, dopo
una condanna legale, come colpevole d'empiet e d'immoralit. Empiet,
perch negava gli dei riconosciuti dallo Stato; a vero dire il suo
accusatore affermava ch'egli non credeva in alcuno (vedi l'_Apologia_).
Immoralit, perch corrompeva la giovent con le sue dottrine e
coi suoi insegnamenti. Si hanno tutte le ragioni per credere che il
tribunale lo abbia trovato, in coscienza, colpevole di questi delitti;
ed esso condann ad esser mandato a morte come un volgare malfattore
l'uomo che fra i suoi contemporanei era probabilmente il pi benemerito
verso la specie umana.
Passiamo all'altro, unico esempio d'iniquit giudiziaria per ricordare
il quale, dopo la morte di Socrate, non si deva scendere un gradino
pi basso. Noi alludiamo all'avvenimento che si comp sul Calvario,
pi che diciotto secoli or sono. L'uomo che lasci in tutti quelli
che l'avevano veduto e sentito una tale impressione della sua
grandezza morale, che diciotto secoli hanno reso omaggio a lui come
all'Onnipotente, fu condannato a morte ignominiosa. Perch? Come
bestemmiatore. Non soltanto gli uomini non riconobbero punto il loro
benefattore, ma lo presero pel contrario esatto di quello ch'egli era,
e lo trattarono come un prodigio d'empiet. Ed ora son ritenuti essi
come tali, a cagione del modo con cui lo trattarono. I sentimenti
che animano oggi la specie umana a proposito di questi dolorosi
avvenimenti, la rendono estremamente ingiusta nel loro giudizio sugli
sciagurati attori.
Questi, secondo ogni apparenza, non erano peggiori della generalit
degli uomini: erano all'incontro uomini che possedevano in modo
completo, pi che completo forse, i sentimenti religiosi, morali e
patriotici del loro tempo e del loro paese; di quegli uomini insomma
che sono fatti in ogni tempo, compreso il nostro, per traversar la
vita rispettati e senza macchia. Quando il gran sacerdote si stracci
gli abiti sentendo pronunciar le parole che, secondo le idee del suo
paese, costituivano il pi nero dei delitti, la sua indignazione e il
suo orrore erano probabilmente cos sinceri, come oggi i sentimenti
morali e religiosi professati dalla generalit delle persone pie e
rispettabili. E molti di quelli che ora fremono della sua condotta,
avrebbero agito esattamente allo stesso modo, se avessero vissuto
in quell'epoca, e fossero stati ebrei. I cristiani ortodossi che son
tentati a credere uomini assai peggiori di loro quelli che lapidarono
i primi martiri, dovrebbero ricordarsi che san Paolo fu tra questi
persecutori.
Aggiungiamo ancora un esempio: quello che colpisce pi di tutti, se
vero che l'errore fa tanto maggiore impressione quanto pi grande
la saggezza e la virt di chi lo commette. Se mai un monarca ebbe
ragione di credersi migliore e pi illuminalo di chiunque fra i suoi
contemporanei, fu l'imperatore Marco Aurelio. Padrone assoluto di tutto
il mondo civile, egli dimostr per tutta la vita non solo la pi pura
giustizia, ma anche ci che meno si sarebbe atteso dalla sua educazione
stoica il cuore pi tenero.
I pochi errori che gli si attribuiscono vengono tutti dalla sua
indulgenza, mentre i suoi scritti, le pi elevate produzioni morali
dell'antichit, differiscono appena, se pure ne differiscono, dai pi
caratteristici insegnamenti di Cristo. Quest'uomo, miglior cristiano in
tutto, tranne che nel senso dogmatico della parola, della maggior parte
dei sovrani ostensibilmente cristiani che regnarono poi, perseguit il
cristianesimo. Padrone di tutte le precedenti conquiste dell'umanit,
dotato d'una intelligenza aperta e libera e d'un carattere che lo
portava a compenetrare nei suoi scritti morali l'ideale cristiano,
egli tuttavia non vide che il cristianesimo, coi doveri di cui era cos
profondamente penetrato, era un bene e non un male pel mondo.
Egli sapeva che la societ d'allora era in uno stato deplorevole. Ma
per deplorevole che fosse, egli vedeva o credeva di vedere ch'essa non
si poteva con sicurezza salvare da uno stato anche peggiore, se non
colla fede e col rispetto per gli dei tradizionali. Come sovrano egli
si credeva in dovere di non lasciare che la societ si dissolvesse e
non vedeva come, se si toglievano i legami esistenti, se ne sarebbero
potuti formare degli altri capaci di rattenerla. La nuova religione
mirava apertamente a spezzar questi legami; dunque, a meno che non
fosse suo dovere di adottar questa religione, sembrava che fosse suo
dovere di distruggerla. Dal momento che la teologia del cristianesimo
non gli sembrava vera n d'origine divina, dal momento che egli
non poteva credere a questa strana istoria d'un Dio crocifisso,
n prevedere che un sistema riposante su d'una simile base avesse
l'influenza rinnovatrice che si sa, il pi dolce e il pi amabile dei
filosofi e dei sovrani, guidato da un solenne sentimento del dovere, fu
costretto a permettere la persecuzione del Cristianesimo.
A mio vedere, questo uno dei fatti pi tragici della storia. triste
di pensare come avrebbe potuto esser diverso il nostro cristianesimo,
se la fede cristiana fosse stata adottata come religione dell'Impero
da Marco Aurelio invece che da Costantino. Ma sarebbe ingiustizia
e falsit ad un tempo il negare che Marco Aurelio, per punire come
fece la propaganda cristiana, abbia avuto dalla sua tutte le scuse
che si possono addurre per punire le dottrine anticristiane. Un
cristiano crede fermamente che l'ateismo sia un errore e un principio
di dissoluzione sociale; ma Marco Aurelio pensava lo stesso del
Cristianesimo: egli, che di tutti i viventi allora si sarebbe potuto
credere il pi capace di apprezzarlo. Dunque, ogni avversario della
libert di discussione si astenga dall'affermare, ad un tempo,
l'infallibilit propria e quella della moltitudine, come fece con s
miseri risultati il grande Antonino, se non si lusinga d'essere pi
saggio e pi buono di Marco Aurelio, pi profondamente versato nella
sapienza del proprio tempo, d'uno spirito che meglio di quello si elevi
sull'ambiente, di maggior buona fede nella ricerca della verit o di
pi sincero attaccamento alla verit una volta trovata.
Riconoscendo l'impossibilit di difendere le persecuzioni religiose
con argomenti che non bastano a giustificare un Marco Aurelio, i nemici
della libert religiosa accettano talvolta, quando sono messi proprio
alle strette, questa conseguenza; e dicono col dottor Johnson che i
persecutori del cristianesimo erano nel vero, che la persecuzione
una prova cui la verit deve attraversare e attraversa e sempre con
successo, dappoich, alla fin dei conti, le penalit legali sono senza
forza contro la verit, sebbene siano talvolta utili contro errori
dannosi. Questa forma dell'argomento in favore dell'intolleranza
religiosa notevole abbastanza perch ci si trattenga un momento.
Una teoria la quale sostiene che lecito perseguitare la verit,
perch la persecuzione non le fa danno, non si pu accusare d'essere
_a priori_ ostile all'accoglimento di verit nuove; ma noi non
possiamo lodare la generosit del suo modo d'agire verso le persone
a cui la specie umana deve la scoperta di queste verit. Rivelare al
mondo qualcosa che lo interessa profondamente e ch'esso fino allora
ignorava, provargli ch'esso s' ingannato su qualche punto vitale del
suo interesse temporale o spirituale: ecco il servigio pi importante
che un essere umano possa rendere a' suoi simili; e in certi casi, come
quello dei primi cristiani o dei riformatori, i seguaci dell'opinione
del dottor Johnson credono che si trattasse del dono pi prezioso che
si potesse fare all'umanit.
Ebbene: secondo una tal teoria, trattare come i pi vili delinquenti
gli autori di cos grandi benefic e ricompensarli col martirio non
un errore e una deplorevole sciagura di cui l'umanit debba fare
penitenza col sacco e con la cenere, ma bens uno stato di cose normale
e perfettamente giustificato.
Colui che propone una verit nuova dovrebbe, secondo questa dottrina,
presentarsi come faceva presso i Locresi colui che proponeva una
nuova legge: con una corda al collo, che si stringeva se per caso la
pubblica assemblea, dopo aver sentite le sue ragioni, non adottava
immediatamente la proposta. Non si pu supporre che le persone che
difendono questo modo di trattare i benefattori diano un gran valore
al beneficio. Ed io credo che questa maniera di lumeggiar l'argomento
appartenga quasi unicamente a gente persuasa che di verit nuove
si poteva aver desiderio in altri tempi, ma che ora noi ne abbiamo
abbastanza.
Ma sicuramente quest'affermazione che la verit trionfa sempre sulla
persecuzione una di quelle comode bugie che gli uomini si ripetono
gli uni agli altri finch siano passate in luoghi comuni, ma che
qualunque esperienza pu confutare.
La storia ci mostra costantemente la verit ridotta al silenzio dalla
persecuzione; se essa non soppressa per sempre, pu essere ricacciata
indietro di secoli.
Per non parlar che di opinioni religiose, la riforma tent di
scoppiare per lo meno venti volte prima di Lutero, e fu ridotta
al silenzio. Arnaldo da Brescia, fra Dolcino, Girolamo Savonarola
subirono l'estremo supplizio; gli Albigesi, i Valdesi, i Lollardisti,
gli Hussiti furono distrutti; anche dopo Lutero, dovunque si seppe
persistere nella persecuzione, questa fu vittoriosa; in Ispagna, in
Italia, in Fiandra, in Austria il protestantesimo fu estirpato; e
probabilissimamente sarebbe accaduto lo stesso in Inghilterra, se la
regina Maria avesse vissuto di pi, o se la regina Elisabetta fosse
morta prima. La persecuzione raggiunse sempre lo scopo, tranne dove gli
eretici formavano un partito troppo potente per essere perseguitato
con efficacia: Il cristianesimo nessuna persona ragionevole pu
dubitarne avrebbe potuto essere estirpato dall'impero romano; e
se esso si diffuse e divenne predominante fu perch le persecuzioni
erano solamente accidentali, non duravano che poco tempo, ed erano
separate da lunghi intervalli di propaganda, possiamo dire libera.
pura retorica il dire che la verit, unicamente come tale, possiede
una forza intima, che l'errore non ha, di prevalere contro le prigioni
e il rogo; gli uomini non hanno pi zelo per la verit di quello
che, spesso, abbiano per l'errore; ed una sufficiente applicazione
di penalit legali o anche soltanto sociali riuscir il pi delle
volte ad arrestare il propagarsi sia dell'una sia dell'altro. Il
vantaggio reale che la verit possiede consiste in questo: che, quando
un'opinione vera, si pu ben soffocarla pi volte; essa riappare di
continuo nel corso dei secoli, fin quando una delle sue riapparizioni
cade in un'epoca in cui, per una serie di circostanze favorevoli, essa
sfugge alla persecuzione, per tanto tempo almeno, quanto le basti ad
acquistare la forza di poterle resistere pi tardi.
Ci si dir che noi ora non condanniamo pi a morte quelli che
introducono delle nuove opinioni; non siamo come i nostri padri,
che massacravano i profeti: anzi, fabbrichiamo loro dei sepolcri.
vero, noi non mettiamo a morte gli eretici, e tutte le pene che
il sentimento moderno potrebbe tollerare, anche contro le opinioni
pi odiose, non basterebbero ad estirparle. Ma non ci lusinghiamo
di essere gi sfuggiti all'onta della persecuzione legale! La legge
permette ancora delle penalit contro le opinioni o per lo meno contro
la loro espressione, e l'applicazione di queste penalit non una
cosa talmente senza esempio che si possa far conto con certezza di non
vederle mai rivivere in tutto il loro vigore.
L'anno 1857, alle Assise d'estate della Contea di Cornovaglia, un
uomo disgraziato ma di condotta irriprovevole, si dice, in tutte le
relazioni della vita fu condannato a venti mesi di carcere per aver
pronunciato e scritto su di una porta alcune parole offensive pel
cristianesimo[2]. Un mese dopo, a Old-Bailey, due persone in due
occasioni separate, furono rifiutate come giurati[3] ed una di esse fu
grossolanamente insultata dal giudice e da uno degli avvocati, perch
dichiar onestamente di non aver alcuna fede religiosa. Per la stessa
ragione si rifiut a una terza persona, uno straniero[4], di fargli
giustizia contro un ladro. Questo rifiuto di riparazione ebbe luogo in
virt della dottrina legale che una persona la quale non crede in Dio
(non importa in qual Dio) e in una vita futura non pu esser ammessa a
prestare testimonianza in giudizio; ci quanto dichiarare che queste
persone sono fuori della legge, private della protezione dei tribunali,
e che non soltanto si pu farne impunemente la vittima di furti o di
vie di fatto, se esse non hanno altri testimoni che se stessi o gente
della loro opinione; ma che anche tutto il mondo deve subire di questi
attentati, dal momento che la prova dipende unicamente dalla loro
testimonianza. Questo fondato sulla presunzione che il giuramento
di una persona che non crede a una vita futura senza valore;
proposizione che mostra una ignoranza grande della storia in quelli
che lo ammettono (poich storicamente provato che a tutte le epoche
una grande quantit di miscredenti furono uomini di rara integrit ed
onorabilit); e per sostener la quale bisognerebbe non sapere neppur
lontanamente quante persone riputate nel mondo per le loro virt e pel
loro ingegno siano ben conosciute, almeno dai loro intimi amici, come
non aventi alcuna credenza. Questa regola inoltre si distrugge da s;
sotto pretesto che gli atei debbono essere mentitori, essa ammette la
testimonianza di tutti gli atei capaci di mentire, e rifiuta soltanto
quelli che sfidano la disgrazia di confessare pubblicamente una
opinione detestata piuttosto che affermare una menzogna.
Una regola che si abbatte cos da s, dal punto di vista dello scopo
che si propone, non pu essere mantenuta che come un tributo d'odio,
un resto di persecuzione: con questa particolarit, che la ragione per
incorrervi la prova ben certa che non la si merita punto. Questa
regola e la teoria ch'essa implica non sono meno offensive per i
credenti che pei miscredenti; poich se colui che non crede ad una
vita futura necessariamente un mentitore, naturalmente quelli che
ci credono non sono trattenuti dal mentire se pure lo sono che dal
timore dell'inferno. Noi non faremo agli autori e ai seguaci di questa
regola l'ingiuria di supporre che l'idea ch'essi si sono formata della
virt cristiana sia tratta dalla loro propria coscienza.
In verit, questi non sono che dei lembi e dei resti di persecuzione e
si pu considerarli non come un indizio del desiderio di perseguitare,
ma piuttosto come esemp di una infermit molto frequente negli spiriti
inglesi, che fa provare ad essi un piacere assurdo ad affermare un
cattivo principio, anche quando non siano pi abbastanza malvagi per
desiderare realmente di metterlo in pratica. Ma pur troppo non si pu
esser sicuri se continuer o no, nello stato dello spirito pubblico,
questa sospensione delle pi odiose forme di persecuzione legale, che
dura da circa sessant'anni: nel nostro secolo, la quieta superficie
della _routine_ turbata da tentativi fatti altrettanto spesso per
risuscitare dei mali passati che per introdurre dei beni nuovi.
Quello di cui ora ci si vanta come del rinascere della religione,
sempre almeno altrettanto, negli spiriti angusti ed incolti, il
rinascere del fanatismo; e quando c' nel sentimento di un popolo il
lievito permanente e potente d'intolleranza che ferment in ogni tempo
in mezzo alle classi medie del nostro paese, non occorre molto per
sospingerlo a perseguitare attivamente quelli ch'essi non hanno mai
cessato di considerare degni di persecuzione[5].
Poich sono proprio le opinioni dagli uomini professate e i sentimenti
ch'essi nutrono a proposito dei dissidenti, quanto alle credenze
stimate importanti, che fanno di questo paese un luogo dove la libert
del pensiero non esiste. Gi da molto tempo, l'unico torto delle
penalit legali quello di sostenere e di rafforzare lo stigmate
sociale. Questo stigmate soltanto veramente efficace; e lo
talmente, che in Inghilterra assai meno di frequente si professano
le opinioni messe al bando della societ, di quello che in altri
paesi si confessino le opinioni che portano per conseguenza punizioni
legali. Per tutte le persone, eccettuate quelle che la fortuna ha reso
indipendenti dal giudizio degli altri, l'opinione su questo soggetto
altrettanto efficace quanto la legge: gli uomini potrebbero allo
stesso modo essere imprigionati che privati dei mezzi di guadagnarsi
il pane. Coloro che hanno il pane assicurato, e che non attendono il
favore, n degli uomini al potere, n di alcun corpo, n del pubblico,
non hanno nulla a temere per una dichiarazione franca di non importa
quale opinione salvo che di essere un po' bistrattati nel pensiero e
nelle parole degli altri: per sopportar la qual cosa non occorre loro
un grande eroismo: non c' alcun appello _ad misericordiam_ in favore
di tali persone. Ma, sebbene noi non infliggiamo dei mali cos grandi
come un tempo a quelli che come noi non pensano, pure danneggiamo
noi stessi come, forse, non abbiamo mai fatto, col nostro modo di
trattarli. Socrate fu condannato a morte, ma la sua filosofia si elev
come il sole nei cieli e diffuse la sua luce per tutto il firmamento
intellettuale; i cristiani furono dati in pasto a' leoni, ma la chiesa
cristiana divenne un albero magnifico, che super gli alberi pi vecchi
e meno vigorosi e li soffoc dell'ombra sua. La nostra intolleranza,
puramente sociale, non uccide alcuno, non estirpa alcuna opinione, ma
costringe gli uomini a nascondere le loro opinioni o ad astenersi da
qualunque sforzo efficace per diffonderle.
Con noi, le opinioni eretiche non guadagnano e neppure perdono molto
terreno a ciascuna dcade o a ciascuna generazione; ma non brillano mai
di vivo splendore, e continuano a covare in quella ristretta cerchia
di pensatori e sapienti d'onde esse sono uscite, senza mai proiettare
sulle cose umane una luce, sia vera, sia falsa. E cos si mantiene uno
stato di cose soddisfacentissimo per una certa qualit di spiriti,
perch esso conserva tutte le opinioni preponderanti in una calma
apparente, senza la spiacevole formalit di condannare alcuno alla
multa o alla prigione, mentre non proibisce assolutamente l'uso della
ragione ai dissidenti afflitti dalla malattia del pensiero: sistema
ottimo per mantener la pace nel mondo intellettuale, e per lasciar che
le cose vadano press'a poco col: _cos faceva mio padre._ Ma il prezzo
di questo modo di pacificazione il sacrificio completo di tutto il
coraggio morale dello spirito umano: uno stato di cose in conseguenza
del quale la maggior parte degli spiriti attivi ed investigatori
trovano utile di tenere per s i veri motivi delle loro convinzioni,
e si sforzano, parlando in pubblico, di adattare quel che possono del
loro modo di pensare a premesse che, nel loro interno, essi negano, non
pu produrre di quei caratteri franchi e arditi, di quelle intelligenze
logiche e sode che in altri tempi ornarono il mondo dei pensatori.
La specie d'uomini che si pu attendere sotto questo regime presenta
o dei semplici schiavi del luogo comune o dei servitori guardinghi
della verit, i cui argomenti sopra tutti i grandi soggetti sono
proporzionati al loro uditorio, e non sono quelli di cui essi stessi
si appaghino. Gli uomini che evitano questa alternativa ci riescono
limitando il loro pensiero e il loro interessamento a quelle cose
di cui si pu parlare senza arrischiarsi nella region dei princip;
cio ad un piccolo numero di materie pratiche che riescirebbero a
grandi cose per s stesse, se l'intelligenza umana acquistasse forza
e vastit, e che non vi riusciranno mai fintanto che quello che
rafforzerebbe ed estenderebbe lo spirito umano un libero ed audace
esame dei soggetti pi elevati lasciato in abbandono.
Gli uomini agli occhi dei quali questo silenzio degli eretici non
un male dovrebbero considerare anzitutto che, in conseguenza di un tal
silenzio, le opinioni eterodosse non sono mai discusse e approfondite
in modo leale, cosicch quelle fra esse che non potrebbero sostenere
una tale discussione non iscompajono, per quanto forse s'impedisca ad
esse di estendersi. Ma non allo spirito degli eretici che nuoce di
pi la proibizione di tutte le ricerche le cui conclusioni non sono
ortodosse; quelli che ne soffrono di pi sono gli ortodossi stessi, il
cui sviluppo intellettuale impacciato e la cui ragione raffrenata
dal timor dell'eresa. Chi pu calcolare tutto ci che il mondo perde
con una tale quantit di belle intelligenze alleate a caratteri timidi,
che non osano abbandonarsi a un modo di pensare ardito, vigoroso,
indipendente, per paura di giungere ad una conclusione irreligiosa o
immorale agli occhi di qualcuno? E voi vedete qualche volta un uomo
profondamente coscienzioso, d'un'intelligenza sottile e raffinata,
che passa la vita a sofisticare colla intelligenza, che egli non pu
ridurre al silenzio, e che esaurisce tutte le qualit dello spirito per
conciliare le inspirazioni della sua coscienza e della sua ragione con
l'ortodossia, cosa a cui, dopo tutto, egli forse non riesce.
Nessuno pu essere grande pensatore se non considera come suo primo
dovere, in qualit di pensatore, di seguire la sua intelligenza
dovunque essa lo possa condurre; la societ guadagna sempre di pi
anche dagli errori d'un uomo il quale, dopo lo studio e la preparazione
voluta, pensa con la sua testa, che dalle opinioni giuste di quelli
che le professano soltanto perch non si permettono di pensare. Non gi
che la libert di pensiero sia necessaria unicamente o principalmente
per formare dei grandi pensatori; anzi, essa altrettanto ed anche pi
indispensabile per rendere la media degli uomini capace di raggiungere
l'altezza intellettuale che la loro attitudine comporta. Ci sono
stati, ci potranno essere ancora dei grandi pensatori individuali
in un'atmosfera di generale schiavit dell'intelligenza; ma non
c' mai stato e non ci sar mai, in questa atmosfera, un popolo
intellettualmente attivo.
Dovunque un popolo ha posseduto temporaneamente questa attivit,
ci avvenne perch il timore delle speculazioni eterodosse era, per
qualche poco, sospeso; ma dove sottinteso tacitamente che i princip
non devono essere discussi, dove la discussione sulle pi grandi
questioni che possano occupare l'umanit considerata come chiusa,
non si pu certo aspettarsi di trovare quel livello elevato d'attivit
intellettuale che ha reso cos notevoli certe epoche della storia. Mai
lo spirito di un popolo fu rinnovato fino dai fondamenti, mai fu dato
l'impulso che eleva anche gli uomini dell'intelligenza pi ordinaria
alla dignit di esseri pensanti, l dove la discussione evitava gli
argomenti vasti ed importanti abbastanza per suscitar l'entusiasmo.
L'Europa ne ha viste parecchie, di queste epoche brillanti: la prima,
subito dopo la Riforma; un'altra, sebbene limitata al continente
ed alla classe pi colta, durante il movimento speculativo della
seconda met del secolo decimottavo, ed una terza, di durata ancora
pi corta, nel fermento intellettuale di Germania, al tempo di Goethe
e di Fichte. Queste tre epoche differiscono enormemente quanto alle
opinioni particolari ch'esse svilupparono, ma si rassomigliano in
questo: che, durante tutte e tre, il giogo dell'autorit fu spezzato;
durante ciascuna di esse, un vecchio dispotismo intellettuale era stato
detronizzato e non era ancora stato sostituito da uno nuovo. L'impulso
dato da ciascuna di queste tre epoche ha fatto dell'Europa ci ch'essa
ora; qualunque progresso si prodotto, sia nello spirito, sia
nelle instituzioni umane, risale in modo evidente all'una o all'altra
di queste epoche; ma tutto, da qualche tempo, accenna a dimostrare
che questi tre impulsi hanno quasi perduta la forza loro e che noi
non possiamo attenderci un nuovo slancio, prima di aver di bel nuovo
conquistata la nostra libert intellettuale.
Passiamo ora alla seconda parte dell'argomento. Abbandonando l'ipotesi
che le opinioni comunemente accettate possano essere false, ammettiamo
ch'esse siano vere, ed esaminiamo che cosa valga la maniera in cui
probabilmente saranno professate, se la loro verit non liberamente
ed apertamente combattuta.
Per quante difficolt abbia una persona a riconoscere la possibilit
che un'opinione a cui essa fortemente attaccata sia falsa, dovrebbe
per esser colpita dall'idea che, per vera che sia quest'opinione, la
si considerer come un dogma morto e non come una verit viva e vitale,
se non la si pu discutere completamente, arditamente e di spesso.
C' una classe di persone (fortunatamente non proprio cos numerosa
come un tempo) a cui basta che gli altri si schierino fra i loro
seguaci, anche quando essi non conoscano punto i motivi di questa
opinione e siano incapaci di difenderla contro le obbiezioni pi
superficiali. Quando tali persone sono giunte a far insegnare
dall'autorit il loro _credo_, esse pensano naturalmente che dal
permetterne la discussione non pu derivare che male. Dovunque
domina la loro influenza, rendono quasi impossibile di confutare
con saggezza e cognizione di causa l'opinione comune, sebbene si
possa ancora confutarla inconsideratamente e con ignoranza, poich
impedire completamente la discussione impossibile; e se essa giunge
a farsi strada, alcune credenze che non sono fondate sulla persuasione
cederanno facilmente davanti alla pi leggiera parvenza d'argomento.
Ora, pure escludendo anche questa possibilit, pure ammettendo che
l'opinione vera rimanga nello spirito; se essa vi rimane allo stato
di pregiudizio, di credenza che non iscaturisce da un'argomentazione
n dalla prova di una argomentazione, non questo il modo con cui un
essere ragionevole deve professare la verit. La verit cos professata
non che una superstizione di pi che per caso si appiccica a parole
enuncianti una verit.
Se l'intelligenza e il giudizio della specie umana debbono essere
coltivati una cosa che almeno i protestanti non negano queste
facolt non si possono meglio esercitare che su argomenti i quali
interessano l'uomo tanto da vicino, da ritenersi necessario per lui di
avere delle opinioni in proposito. Se la coltura del nostro giudizio
deve preferire l'una piuttosto che l'altra cosa, preferir sopratutto
di conoscere i motivi delle nostre opinioni. Tutto quel che si pensa
sopra argomenti intorno ai quali il pensar giusto della massima
importanza, si dovrebbe almeno saper difendere contro le obbiezioni
comuni. Qualcuno per altro ci dir forse: S'insegnino pure agli
uomini i motivi delle loro opinioni. Poich non si sono mai sentite
discutere, non se ne pu dedurre che esse saranno nella memoria
soltanto e non nell'intelligenza. Coloro che imparano la geometria
non fanno che imparare i teoremi, ma comprendono ed imparano al tempo
istesso le dimostrazioni: e sarebbe assurdo dire che essi rimangono
ignoranti dei principi delle verit geometriche perch non li sentono
mai negati e neppure discussi. Senza dubbio alcuno, un insegnamento
di questo genere basta per un argomento come le scienze matematiche,
in cui nulla affatto vi a dire sul lato falso della questione.
Quello che ha di particolare l'evidenza delle verit matematiche
che gli argomenti sono tutti da una parte; non v' obbiezioni, non
v' risposta alle obbiezioni. Ma in qualunque soggetto sul quale
possibile una divergenza di opinioni, la verit esce da un equilibrio,
che si dee conservare, tra due sistemi di ragioni contraddittorie.
Anche nella filosofia naturale c' sempre qualche diversa spiegazione
possibile dei medesimi fatti; qualche teoria geocentrica in luogo
di una teoria eliocentrica, la teoria del flogistico in luogo della
teoria dell'ossigeno; e bisogna dimostrare perch quest'altra teoria
non possa esser la buona, e, finch non sappiamo come ci si dimostri,
noi non intendiamo i motivi della nostra opinione. Ma se poi ci
volgiamo a soggetti infinitamente pi complicati, alla morale, alla
religione, alla politica, alle relazioni sociali e agli affari della
vita tre quarti degli argomenti in favore di ciascuna opinione
discussa consistono nel distruggere le apparenze che militano per
l'opinione opposta. Secondo la sua testimonianza, il secondo fra
i grandi oratori dell'antichit studiava sempre la causa del suo
avversario con attenzione uguale, se non maggiore, di quella con cui
studiava la propria: ci che Cicerone faceva per ottenere un successo
nel foro, deve essere imitato da quanti studiano un argomento, a fine
di arrivare alla verit. L'uomo che non conosce se non il suo proprio
parere, conosce ben poco; le sue ragioni possono anche esser buone, e
pu darsi che nessuno sia capace di confutarle: ma se egli ugualmente
incapace di confutare le ragioni della parte avversaria, s'egli non le
conosce neppure, non ha motivo per preferire un'opinione all'altra.
La sola cosa razionale che quest'uomo possa fare di sospendere
il suo giudizio; ove non si contenti di questo, egli o guidato
dall'autorit, o adotta, come accade in generale, la parte verso cui si
sente pi inclinato. E non basta che un uomo ascolti gli argomenti dei
suoi avversar dalla bocca dei propr maestri, presentati e posti come
vogliono costoro e accompagnati da ci ch'essi dnno per confutazione;
non questo il modo di dar buon giuoco a questi argomenti o di mettere
il proprio spirito in vero contatto con essi. Si devono ascoltare dalla
bocca di quelle stesse persone che ci credono, che li difendono in
buona fede e con tutte le loro forze: si devono conoscere sotto le loro
forme pi plausibili e pi persuasive; si deve sentire in tutta la sua
forza la difficolt che rende complicato, arruffato il soggetto messo
in tutta la sua luce. Altrimenti facendo, mai un uomo possieder quella
parte di vero che sola capace di affrontare e vincere le difficolt.
Il novanta per cento dei cos detti uomini colti, anche di quelli che
possono correntemente discutere delle loro idee, si trovano in questa
bizzarra condizione. La loro conclusione pu esser vera, ma potrebbe
anche esser falsa senza ch'essi lo sospettassero; essi non si sono
messi mai nella posizione mentale di quelli che pensano altrimenti
da loro e non hanno mai meditato ci che tali persone avrebbero a
dire: di conseguenza essi non conoscono, nel vero senso di questa
parola, la dottrina che professano; non conoscono le parti della loro
dottrina che spiegano e giustificano il resto, le considerazioni che
mostrano come due fatti in apparenza contraddittori siano conciliabili,
o come di due ragioni che sembrano fortissime ambedue, l'una debba
esser preferita all'altra. Tali uomini sono estranei a tutta quella
parte di verit che, per uno spirito davvero illuminato, quella che
grava sulla bilancia e decide il giudizio. Del resto, quelli soltanto
conoscono realmente, che hanno ascoltato le due parti con imparzialit
e che si son provati a vederne le ragioni sotto la forma pi evidente.
Questa disciplina tanto essenziale ad una giusta comprensione dei
soggetti morali ed umani, che, se per le verit importanti non esistono
avversari, si devono imaginare e fornir loro gli argomenti pi forti
che mai possa trovare il pi abile avvocato del diavolo.
Per diminuire la forza di queste considerazioni, forse un nemico della
libera discussione dir: Non necessario per l'umanit in generale
di conoscere e di comprendere tutto quello che pu esser detto pro e
contro le sue opinioni dai filosofi e dai teologi; non indispensabile
per la comune degli uomini di poter confutare tutti gli errori e tutti
i sofismi d'un abile avversario: basta che vi sia sempre qualcuno
capace di rispondere affinch sia confutato tutto quello che potrebbe
ingannare le persone incolte. Gli spiriti ordinari, conoscendo i
principi evidenti delle verit ch'essi professano, possono, pel resto,
fidarsi dell'autorit; essi non hanno punto e lo sanno bene la
scienza e l'ingegno necessari a risolvere tutte le difficolt che si
potrebbero elevare: e la sicurezza che queste possono esser risolte
da coloro che se ne occupano di proposito deve bastare alla loro
tranquillit.
Anche accordando a questo modo di pensare tutto quello che in
suo favore possono domandare coloro a cui non gran sacrificio
credere la verit senza comprenderla perfettamente, i diritti
dell'uomo alla libera discussione non ne sono per nulla indeboliti;
poich, secondo questa stessa dottrina, l'umanit dovrebbe avere la
ragionevole sicurezza che a tutte le obbiezioni si risposto in modo
soddisfacente. Ora, come si pu ad esse rispondere, se non se ne deve
parlare? O come si pu sapere che la risposta soddisfacente, se
coloro che sollevano obbiezioni non hanno potuto dire che essa non lo
era? I filosofi e i teologi che debbono risolvere le difficolt, se non
il pubblico, dovranno prendere dimestichezza con tali difficolt sotto
la loro forma pi terribile, e per questo occorre che le si possano
esporre liberamente e mostrare sotto il loro aspetto pi vantaggioso.
La Chiesa cattolica tratta a suo modo questo imbarazzante problema:
tracciando una linea di demarcazione bene spiccata tra quelli che
debbono accettare le sue dottrine come materia di fede e quelli che
le possono adottare per convinzione. In realt, essa non permette ad
alcuno di fare una scelta di ci che egli accetter; ma il clero, l
almeno ov'esso merita la sua piena fiducia; ha licenza, ed anzi si
fa un merito, col prender conoscenza degli argomenti degli avversari
affine di rispondere ad essi: pu per conseguenza leggere i libri
eretici: i laici non lo possono senza uno speciale permesso, ottenuto
assai difficilmente. Questa disciplina considera come utile agli
insegnanti di conoscere la causa avversa, dando cos all'_lite_
pi coltura di spirito, se non maggiore libert, che alla massa. Con
questo mezzo, essa riesce ad ottenere quella specie di superiorit
intellettuale che a raggiungere il suo scopo si richiede; poich,
sebbene la coltura senza la libert non abbia mai fatto uno spirito
vasto e liberale, pure si pu ottenere un abile _nisi prius_ avvocato
d'una causa. Ma questo vantaggio negato ai paesi che professano il
protestantesimo, poich i protestanti sostengono, in teoria almeno,
che la responsabilit della scelta di una religione deve pesare su
ogni individuo, e non pu essere rigettata sugl'insegnanti. Del resto,
nello stato presente del mondo, praticamente impossibile che le opere
lette dalle persone colte siano ignorate dagli altri. Se gl'institutori
dell'umanit devono essere competenti su tutto quello ch'essi son
tenuti a sapere, deve essere anche permesso di tutto scrivere e di
tutto pubblicare liberamente.
Tuttavia se, quando le opinioni comunemente accette son vere, l'assenza
della libera discussione non cagionasse altro male tranne quello di
lasciar gli uomini nella ignoranza dei princip di tali opinioni,
si potrebbe considerarla come un male non morale, ma semplicemente
intellettuale e che non tocca per niente il valore delle opinioni
quanto alla loro influenza sul carattere. Ma la verit che l'assenza
di ogni discussione fa dimenticare non soltanto i principi, ma troppo
spesso il senso medesimo dell'opinione; le parole che l'esprimono
cessano di suggerire delle idee, o suggeriscono soltanto una piccola
parte di quelle che originariamente sapevan fornire. In luogo di una
concezion forte e di una credenza vivente, non resta che qualche frase
ritenuta per abitudine, o, se si ritiene qualcosa del significato,
soltanto il guscio e la scorza: la pi pura intima essenza va perduta.
La grande importanza che questo fatto ha nella storia degli uomini non
sar mai troppo seriamente studiata e meditata.
Lo si vede nella storia di tutte le dottrine morali e di tutte le
credenze religiose. Piene di vita e di significato per quelli che
le creano e pei discepoli immediati dei creatori, esse continuano
ad esser comprese altrettanto chiaramente, se non pi, finch dura
la lotta per dare alla dottrina o alla credenza la supremazia sulle
altre. Alla fine, o essa la vince e divien l'opinione dominante, o il
suo progresso si arresta: essa conserva il terreno conquistato, ma
cessa di estendersi: quando l'uno o l'altro di questi due risultati
divenuto evidente, la controversia sul soggetto diminuisce e
s'estingue gradualmente. La dottrina ha preso il suo posto, se non come
un'opinione accetta all'universale, almeno come una delle sette o delle
divisioni d'opinioni tollerate: quelli che la professano l'hanno, in
generale, ereditata e non l'hanno adottata; ed essendo divenute allora
fatti eccezionali le conversioni da una ad altra dottrina, i loro
seguaci si danno ben poca pena per convertire. In luogo d'essere, come
da principio, costantemente sul _chi vive_, sia per difendersi contro
il mondo, sia per conquistarlo, essi sono giunti ad una inerte fiducia,
e mai, finch possono, ascoltano degli argomenti contro la loro
credenza, n incalzano i dissidenti (se ve ne sono) con argomenti in
favore di essa. Da questo istante si pu di solito datare il principio
della decadenza del potere vivente di una dottrina.
Noi sentiamo spesso quelli che insegnano le credenze religiose
lamentare la difficolt di far nascere nello spirito dei credenti una
concezione viva della verit che essi nominalmente riconoscono, in
modo che questa possa influire sui loro sentimenti e avere un reale
impero sulla loro condotta. Nessuno si lagna certo di tale difficolt
finch la credenza lotta ancora per istabilirsi; allora i pi deboli
combattenti sanno essi pure e sentono lo scopo della lotta, e conoscono
il divario che vi tra le loro dottrine e le altrui. Cos pure si
pu, in quest'epoca in cui la credenza vive, trovare un numero di
persone che ne abbiano effettuato i principi fondamentali sotto tutte
le forme del pensiero, che li abbiano esaminati e pesati sotto tutti
i loro aspetti importanti, e che abbian provato, quanto al carattere,
tutto l'effetto che la fede in tale dottrina doveva produrre su di
uno spirito profondamente di essa penetrato. Ma quando essa passata
allo stato di credenza ereditaria ed accettata passivamente e non
attivamente, quando lo spirito non pi cos strettamente obbligato a
concentrare tutte le sue facolt sulle questioni che la sua credenza
gli pone, v' una tendenza crescente a non ritenere che le formule
della credenza stessa o anche a darvi un assenso inerte e indifferente.
Si crede che lo accettarla come materia di fede esoneri dal praticarla
in coscienza o dal farne la prova colla esperienza personale; e infine
viene un momento in cui ogni rapporto quasi dispare tra questa credenza
e la vita interiore dell'essere umano. Allora si vede, ci che
quasi generale oggi, la credenza religiosa rimanere, per cos dire,
all'estremo dello spirito, pietrificata oramai contro tutte le altre
influenze che s'indirizzano alle parti elevate della nostra natura;
essa manifesta il suo potere coll'impedire a qualunque convinzione
nuova e vivente di penetrarvi; ma non fa, di per s, per lo spirito e
pel cuore, null'altro che stare di guardia per conservarli vuoti.
Si pu vedere fino a qual punto le dottrine in s capaci di produrre
la pi profonda impressione sullo spirito possano restarvi allo stato
di credenze morte, senza mai essere comprese dall'imaginazione,
dal sentimento o dall'intelligenza, quando si esamina come la
maggioranza dei credenti professa il cristianesimo. Io intendo qui
per cristianesimo ci che tenuto per tale da tutte le chiese e da
tutte le sette: le massime e i precetti contenuti nel Nuovo Testamento.
Tutti i cristiani professanti li considerano come sacri e li accettano
come legge; tuttavia, la pura verit che non c' forse un cristiano
su mille che diriga o giudichi la sua condotta individuale secondo
queste leggi: il modello a cui ciascuno d'essi s'inspira il costume
della propria nazione, classe o setta religiosa. E cos egli ha, da
una parte, una raccolta di massime morali che la divina saggezza,
secondo lui, si degnata di trasmettergli come regola di condotta;
e dall'altra un insieme di giudizio e di pratiche abituali che
s'accordano abbastanza bene con qualcuna di queste pratiche, meno bene
con qualche altra, che sono direttamente opposte ad altre ancora, e
che formano insomma un mezzo termine tra la credenza cristiana e gli
interessi e le suggestioni della vita del mondo. Al primo di questi
modelli il cristiano presta il suo omaggio; al secondo la sua vera
obbedienza.
Tutti i cristiani credono che i poveri, gli umili, quanti insomma il
mondo bistratta, sono ben felici; ch' pi facile a un camello passare
per la cruna d'un ago di quello che sia ad un ricco entrare nel regno
de' cieli; che non devono giudicare per timore d'esser giudicati essi
stessi; che non devono giurare; che devono amare il prossimo come s
stessi; che se alcuno si prende il loro mantello, essi devono dargli
anche la loro veste; che per essere perfetti devono vendere tutto
quello che hanno e darlo ai poveri.
I cristiani non mentono quando dicono di credere a queste cose: vi
credono come a cose che hanno sempre sentito lodare e mai sentito
discutere. Ma, se per fede vivente s'intende quella che regola di
condotta, essi credono a queste dottrine appunto per quel tanto che si
ha l'abitudine di agire seguendole. Le dottrine, nella loro integrit,
hanno il loro pregio per lapidare gli avversari, ed sottinteso che le
si devono citare, per quanto possibile, come i motivi di tutto quello
che gli uomini fanno o credono fare di lodevole: ma chi ricordasse loro
che queste massime esigono una quantit di cose che essi non pensano
e non penseranno mai di fare, non vi guadagnerebbe che d'esser posto
nel novero di quelle persone impopolari che affettano d'essere migliori
degli altri. Le dottrine non hanno nessuna presa sui credenti ordinari,
nessun potere sui loro spiriti; essi hanno un rispetto abituale pel
suono delle dottrine, ma non gi il sentimento che dalle parole va al
fondo delle cose, costringendo lo spirito a prendere quest'ultime in
considerazione, e tenerle come base di condotta.
Tutte le volte che si tratta di condotta, gli uomini si guardano
intorno per sapere da A, o da B, fino a che punto essi debbano obbedire
a Cristo.
Noi possiamo star sicuri che tutto l'opposto accadeva tra i primi
cristiani; se fosse stato allora come oggi, mai il cristianesimo
sarebbe divenuto, da setta oscura d'un popolo disprezzato, la religione
ufficiale dell'Impero. Quando i loro nemici dicevano: Vedete come
i cristiani si amano gli uni gli altri, (osservazione che nessuno,
evidentemente, oggi farebbe) i cristiani sentivano certo pi vivamente
la portata della loro credenza di quel che in qualunque tempo dappoi.
Ed senza dubbio per questo che il Cristianesimo fa oggid cos scarsi
progressi e si trova, dopo diciotto secoli, press'a poco limitato
agli Europei e ai discendenti degli Europei. Accade sovente, anche
alle persone rigorosamente religiose, a quelle che prendono le loro
dottrine sul serio e che vi attribuiscono maggior significato di
quanto in generale si fa, d'aver presente allo spirito in modo attivo
solamente quella parte della dottrina, aggiunta da Calvino o da Knox
o da qualche altra simile persona d'un carattere pi analogo al loro:
gli insegnamenti di Cristo coesistono passivamente nel loro spirito,
producendovi un effetto appena superiore a quello della meccanica
audizione di parole cos dolci. Vi sono senza dubbio molte ragioni
perch le dottrine che stanno sulla bandiera d'una setta particolare
abbiano una vitalit maggiore di quella delle dottrine comuni a tutte
le sette riconosciute, e perch coloro che tali dottrine insegnano si
diano maggior cura per inculcarne tutto il significato; ma la ragion
principale che queste dottrine sono pi discusse, e debbono pi
spesso difendersi contro aperti avversar.
Dacch non v' pi nemico a temere, e quelli che insegnano e quelli che
imparano possono, al loro posto, addormentarsi.
Lo stesso vero in generale trattandosi di qualunque dottrina
tradizionale: quelle di prudenza e di conoscenza della vita cos
come quelle di morale o di religione. Tutte le lingue e tutte le
letterature abbondano di osservazioni generali sulla vita e sul modo di
comportarvisi; osservazioni che ciascuno conosce, che ciascuno ripete
o ascolta pienamente consentendo, che si ritengono assiomatiche, e di
cui tuttavia in generale non s'impara il vero significato che quando
l'esperienza li trasforma per noi in realt, e quasi sempre a nostre
spese. Quante volte una persona, provando un dolore o un contrattempo,
non si ricorda qualche proverbio o qualche motto che glie lo avrebbe
risparmiato, s'egli ne avesse sempre cos bene compreso il significato!
Ad onor del vero, per questo vi sono altre ragioni oltre l'assenza
di discussione; vi sono molte verit di cui non si pu comprendere
il senso che quando l'esperienza personale ce l'ha insegnato. Ma
anche di quelle il significato sarebbe stato pi o meno compreso, se
l'uomo fosse stato avvezzo a sentir discutere il pro e il contro dai
competenti. La fatale tendenza della specie umana a lasciar da parte
una cosa dacch essa non pi messa in dubbio ha causata la met
dei suoi errori: un autore contemporaneo ha descritto bene il sonno
profondo d'un'opinione fatta, e fermata nel suo cammino.
Ma dunque ci chieder qualcuno l'assenza di unanimit una
condizione indispensabile al vero sapere? necessario che una parte
di umanit persista nell'errore perch l'altra possa comprendere
la verit? E una credenza cessa d'esser vera e vitale non appena
generalmente accettata? E una proposizione non mai completamente
compresa e sentita, se non si conserva, a proposito di essa, qualche
dubbio? E una verit, insomma, perisce non appena gli uomini l'hanno
accettata all'unanimit? Il consentimento sempre pi generale ed
unanime degli uomini alle verit importanti fu sempre considerato
come lo scopo pi elevato e come il pi notevole progresso
dell'intelligenza: questa dunque ha una durata insufficiente ad
attinger lo scopo? E proprio la pienezza della vittoria quella che
distrugge i frutti della conquista?
Io non affermo nulla di questo. A misura che l'umanit progredisce,
il numero delle dottrine che non son pi soggetto di discussione n
di dubbio aumenta costantemente e il benessere della umanit si pu
quasi commisurare al numero e all'importanza delle verit divenute
incontestabili. La cessazione su di un punto, poi su di un altro,
di qualunque seria controversia una delle condizioni necessarie al
consolidarsi dell'opinione; una consolidazione altrettanto salutare
trattandosi di un'opinione giusta, quanto pericolosa e dannosa
trattandosi di opinioni errate. Ma, sebbene questa diminuzione graduale
delle divergenze di opinioni sia, in tutta la forza della parola,
necessaria, dappoich essa ad un tempo inevitabile e indispensabile,
noi non siamo obbligati a concluderne che tutte le sue conseguenze
debbano essere salutari.
La necessit di spiegare o di difendere costantemente una verit ajuta
cos bene a comprenderla in tutta la sua forza, che questo vantaggio,
se non supera, per lo meno uguaglia quasi quello del riconoscimento
universale di questa verit.
Io confesso che vorrei vedere, l dove un tale vantaggio pi non
esiste, gl'institutori della specie umana cercare di sostituirlo;
io vorrei si creasse qualche mezzo di rendere le difficolt della
questione altrettanto presenti allo spirito degli uomini quanto lo
farebbe un avversario bramoso di convertirli.
Ma, in luogo di cercare simili mezzi, essi hanno perduto quelli che
avevano in altri tempi: uno di tali mezzi era la dialettica di Socrate,
di cui Platone ci d nei suoi dialoghi degli esempi cos magnifici.
Era essenzialmente una discussione negativa delle grandi questioni
della filosofia e della vita, condotta con una consumata abilit,
che si proponeva di mostrare a un uomo il quale avesse adottato
semplicemente i luoghi comuni della opinione ammessa, ch'egli non
intendeva il soggetto, che non aveva ancora dato alcun senso definito
alle dottrine da lui professate; affinch, illuminato sulla sua
ignoranza, egli potesse cercar di farsi una solida credenza, basata
su di una concezione netta e del significato e dell'evidenza delle
dottrine. Le dispute delle scuole del medio evo avevano uno scopo
press'a poco simile. Si voleva con tal mezzo aver la prova che
l'allievo comprendeva l'opinione sua propria e (per una necessaria
correlazione) l'opinione opposta, e ch'egli sapeva sostenere i motivi
dell'una e confutare quelli dell'altra. Queste ultime dispute avevano,
in verit, il difetto irrimediabile di trarre le loro premesse non
dalla ragione, bens dall'autorit: e, come disciplina dello spirito,
esse erano sotto tutti i rispetti inferiori alla possente dialettica
che form l'intelligenza dei _socratici viri_; ma lo spirito moderno
deve ad ambedue queste scuole assai pi di quello ch'egli generalmente
voglia riconoscere, e i diversi modi d'educazione d'oggid non
contengono nulla che possa punto punto sostituirsi all'una o all'altra.
Una persona che ha ricevuto tutta la sua coltura dai professori o dai
libri, anche se sfugge alla tentazione solita di contentarsi d'imparare
senza comprendere, non per nulla obbligata a conoscere tutte e due
le faccie d'un soggetto. rarissimo, anche tra i pensatori, che si
conosca a questo punto un argomento in ambedue le sue parti; e la parte
pi debole di quello che ciascuno dice per difendere la sua opinione
quello ch'esso destina come replica a' suoi avversari. Oggi di
moda sprezzare la logica negativa, quella che indica i punti deboli in
teoria o gli errori in pratica, senza stabilir delle verit positive.
Certo, una tal critica negativa sarebbe triste come risultato finale;
ma come mezzo di ottenere una conoscenza positiva o una convinzione
veramente degna di questo nome, non si pu mai stimarla abbastanza.
E finch gli uomini non vi siano di nuovo sistematicamente avviati
vi saranno ben pochi grandi pensatori e il livello medio delle
intelligenze sar poco elevato per tutto ci che non matematiche o
scienze fisiche. Su qualunque altro soggetto, le opinioni di un uomo
non meritano il nome di conoscenze se non in quanto egli abbia seguito,
o spontaneamente o per forza, il cammino intellettuale che gli avrebbe
fatto seguire un'attiva opposizione degli avversari. Si vede dunque
quanta assurdit vi sia nel rinunciare, quando s'offre spontaneamente,
a un vantaggio che cos indispensabile, ma cos difficile a creare
quando manchi: se vi sono quindi persone che contestano una opinione
ammessa comunemente o che lo faranno se la legge o l'opinione lo
permette loro, ringraziamole, ascoltiamole, e rallegriamoci con noi
stessi perch qualcuno fa per noi quello che altrimenti (se noi appena
appena diamo qualche importanza alla certezza o alla vitalit delle
nostre opinioni) noi stessi dovremmo fare con molto maggiore incomodo.
Ci resta ancora a parlare d'una delle cause principali che rendono
vantaggiosa la diversit d'opinioni. Questa causa sussister finch
l'umanit sia entrata in uno stadio di progresso intellettuale che
sembra, per ora, ad una incalcolabile distanza. Noi non abbiamo finora
esaminato che due ipotesi: 1. l'opinione ammessa pu essere falsa e,
di conseguenza, qualche altra opinione vera; 2. l'opinione ammessa
vera, e una lotta tra essa e l'errore opposto indispensabile ad
una concezione netta e ad un profondo sentimento della sua verit. Ma
accade pi spesso ancora che le dottrine in contraddizione, invece
d'essere l'una vera e l'altra falsa, si dividano la verit: allora
l'opinione dissidente necessaria per fornire il resto della verit
di cui la dottrina comunemente ammessa non possiede che una parte. Le
opinioni popolari su qualunque cosa che non cada sotto i sensi sono
spesso vere, ma non lo sono quasi mai completamente: esse contengono
una parte di verit (talvolta pi, talvolta meno rilevante), ma
esagerata, sfigurata, e separata dalle verit che la dovrebbero
accompagnare e limitare. D'altra parte, le opinioni eretiche contengono
generalmente qualcuna di queste verit soppresse e trascurate che,
spezzando le loro catene, o cercano di riconciliarsi colla verit
convenuta nell'opinione comune, o l'affrontano come nemica e di fronte
ad essa si elevano, affermandosi in una maniera esclusiva cos come la
stessa verit. Il secondo caso stato fino ad oggi il pi frequente
perch lo spirito umano pi generalmente esclusivo che liberale:
onde, di consueto, anche nelle rivoluzioni dell'opinione, una parte
della verit si oscura mentre ne viene in luce un'altra. Il progresso
medesimo che dovrebbe sempre pi accrescere il patrimonio della verit
non fa, nella maggior parte dei casi, altro se non sostituire una
verit parziale ed incompleta ad un'altra; e il miglioramento consiste
semplicemente nell'essere il nuovo frammento di verit pi necessario,
meglio adatto al bisogno del momento di quello a cui si sostituisce.
Tale il carattere parziale delle opinioni dominanti, anche quando
riposino su una base giusta: dunque, qualunque opinione che rammenti
qualche poco della parte di verit dalla opinione comune trascurata,
dev'esser considerata preziosa, per grandi che siano gli errori a cui
tale verit pu andar congiunta. Nessun uomo sensato si vorr indignare
perch quelli che ci obbligano a notare delle verit che altrimenti noi
avremmo trascurato ne trascurano poi dal canto loro qualcuna di quelle
che noi scorgiamo. Egli dir piuttosto che, dal momento che l'opinione
pubblica cos fatta che non vede della verit se non una parte,
desiderabile che le opinioni impopolari siano proclamate da apostoli
non meno esclusivi, perch sono di solito i pi energici e i pi capaci
d'attirare, suo malgrado, l'attenzione del pubblico sul frammento di
saggezza ch'essi esaltano, come se fosse la saggezza tutta quanta.
cos che nel secolo XVIII i paradossi di Rousseau fecero
un'esplosione salutare in mezzo ad una societ in cui tutte le classi
erano in profonda ammirazione davanti al cos detto incivilimento
e davanti alle maraviglie della scienza, della letteratura, della
filosofia moderna, e non si paragonavano agli antichi che per mettersi
al di sopra di loro.
Rousseau rese il servizio di spezzare la massa compatta della cieca
opinione e di forzare i suoi elementi a ricostituirsi sotto una forma
migliore e con parecchie aggiunte. Non gi che le opinioni ammesse
fossero, tutto sommato, pi lontane dalla verit di quelle di Rousseau;
al contrario, esse vi erano pi vicine, e contenevano pi verit
positiva e meno assai di errori. Nulladimeno, c'era nelle dottrine di
Rousseau, ed passato nell'opinione comune, un gran numero appunto
di quelle verit di cui l'opinion popolare avea bisogno; e cos esse
continuarono a sussistere. Le qualit superiori della vita semplice,
l'effetto snervante e immorale delle pastoje e delle ipocrisie d'una
societ artificiale sono idee che, da Rousseau in poi, non hanno
mai completamente abbandonato gli spiriti colti; esse produrranno il
loro effetto, sebbene, pel momento, abbiano ancora bisogno d'essere
proclamate con atti; poich le parole su questo argomento hanno oramai
quasi esaurita la loro potenza.
D'altra parte, riconosciuto in politica che un partito d'ordine
o di stabilit e un partito di progresso o di riforma sono i due
elementi necessari d'uno stato fiorente, finch l'uno o l'altro
dei partiti abbia talmente estesa la sua potenza intellettuale da
saper essere ad un tempo partito d'ordine e partito di progresso,
conoscendo e distinguendo quel che si deve conservare e quel che si
deve distruggere. Ognuna di queste maniere di pensare trae profitto dai
difetti dell'altra; ma principalmente la loro mutua opposizione che
le mantiene entro i limiti della sana ragione.
Se non si pu esprimere con uguale libert, sostenere e difendere
con uguale ingegno e con uguale energia tutte le opinioni che si
contendono il terreno della vita pratica, siano poi esse favorevoli
alla democrazia o all'aristocrazia, alla propriet privata o
all'uguaglianza economica, alla cooperazione o alla concorrenza,
al lusso o all'astinenza, allo stato o all'individuo, alla libert
o alla disciplina; non v' alcuna probabilit che i due elementi
ottengano ci che loro dovuto; sicuro che uno dei piatti della
bilancia traboccher. La verit, nei grandi interessi pratici della
vita, sopratutto una questione di combinazione e di conciliazione
degli estremi; e poich pochissimi uomini hanno abbastanza criterio ed
imparzialit sufficiente per fare questo accomodamento in modo pi o
meno corretto, cos talvolta esso deve compiersi col proceder violento
di una lotta tra combattenti sotto bandiere nemiche. Se, a proposito
d'una delle grandi questioni che abbiamo enumerato test, un'opinione
ha maggior diritto dell'altra ad essere non soltanto tollerata, ma
anche incoraggiata e sostenuta, la pi debole. Ecco l'opinione che,
pel momento, rappresenta gl'interessi trascurati, il lato del benessere
umano che in pericolo di ottener meno della parte che gli spetta.
Io so che tra noi son tollerate le opinioni pi varie sulla maggior
parte di tali materie: e ci prova con esemp numerosi e non equivoci
l'universalit di questo fatto: che nello stato attuale dello spirito
umano tutta la verit non pu farsi strada che traverso la diversit
d'opinioni. Quando si trovano delle persone che non partecipano affatto
all'apparente unanimit del mondo su di un soggetto, probabile che,
se anche il mondo avesse ragione, questi dissidenti abbiano a dire per
altro in loro favore qualcosa che merita d'essere ascoltato, e che pel
loro silenzio la verit ci rimetta qualcosa.
Si pu fare l'obbiezione seguente: Ma qualcuno dei princip
comunemente ammessi, sopratutto sui soggetti pi elevati ed essenziali,
qualcosa di meglio d'una mezza verit. La morale cristiana, per
esempio, contiene la verit tutta quanta, e se qualcuno insegna una
morale diversa, completamente in errore. Poich questo uno dei
casi pi importanti in pratica, nulla di meglio per mettere alla prova
la massima generale. Ma, prima di decidere quello che sia o non sia la
morale cristiana, sarebbe desiderabile di fissare che cosa per morale
cristiana s'intenda. Se s'intende la morale del Nuovo Testamento,
io mi meraviglio che qualcuno che trae da questo stesso libro la sua
dottrina possa supporre che esso sia stato concepito od annunciato come
una dottrina completa di morale. L'Evangelo si riferisce sempre ad una
morale preesistente, e limita i suoi precetti ai punti particolari in
cui questa morale dev'esser corretta o sostituita da un'altra pi vasta
ed elevata; inoltre, esso si esprime sempre nei termini pi generali,
che bene spesso non si possono letteralmente interpretare ed hanno il
colore della poesia o dell'eloquenza piuttosto che la precisione della
legge. Non si mai potuto estrarne un corpo di dottrina morale, senza
aggiungervi il Testamento Vecchio, un sistema cio elaborato per dire
il vero, ma barbaro sotto molti rapporti, e fatto solamente per un
popolo barbaro. San Paolo, nemico dichiarato di questa maniera giudaica
d'interpretar la dottrina e di compiere lo schizzo dal suo maestro
abbozzato, ammette egli pure una morale preesistente, quella dei Greci
e dei Romani, e consiglia ai cristiani di venire con essa quasi ad un
accomodamento, fino al punto di sanzionare in apparenza la schiavit.
Quel che si chiama morale cristiana, ma che si dovrebbe piuttosto
chiamare morale teologica, non per nulla opera di Cristo n degli
apostoli: essa ha una data pi recente, stata messa gradatamente
insieme dalla Chiesa cristiana dei primi cinque secoli; e, sebbene i
moderni e i protestanti non l'abbiano implicitamente accettata, pure
essi l'hanno modificata meno di quel che si sarebbe potuto aspettarsi.
A vero dire, la maggior parte si contentata di rintracciare le
aggiunte che v'erano state fatte nel medio evo, e ciascuna setta le
sostitu con aggiunte nuove, pi conformi al suo carattere e alle sue
tendenze. Io non pretendo punto di negare tutto quello che la specie
umana deve a questa morale e a coloro che pei primi la bandirono; ma
oso dire per che essa in molti punti incompleta ed esclusiva e che,
se idee e sentimenti ch'essa non sanziona non avessero contribuito
alla formazione della vita e del carattere europeo, le cose umane
sarebbero ora a ben peggior partito di quel che sono. La cos detta
morale cristiana ha tutti i caratteri d'una reazione; in gran parte
una protesta contro il paganesimo. Il suo ideale negativo piuttosto
che positivo, passivo piuttosto che attivo, l'innocenza piuttosto che
la grandezza, l'astensione dal male piuttosto che l'energica ricerca
del bene; nei suoi precetti, come stato benissimo osservato, il: _tu
non farai_ domina eccessivamente sul: _tu farai_. Nel suo orrore per
la sensualit essa ha fatto un idolo dell'ascetismo, e quindi, per un
compromesso graduale, della legalit; essa considera la speranza del
cielo e il timor dell'inferno come le spinte di una vita virtuosa; e
restando in questo ben al di sotto dei saggi dell'antichit, fa ci che
pu per dare alla morale umana un carattere essenzialmente egoista,
separando i sentimenti di dovere presso ciascun uomo dagl'interessi
dei suoi simili, tranne che quando un motivo interessato lo conduca ad
avervi riguardo. essenzialmente una dottrina di passiva obbedienza;
inculca la sommessione a tutte le autorit costituite; o cio alle
autorit non vuole si obbedisca attivamente quando esse comandino ci
che la religione proibisce; ma non si deve resister loro, meno ancora
ribellarsi, per ingiuste ch'esse siano. E mentre nella morale delle
migliori nazioni pagane i doveri del cittadino verso lo stato tengono
un posto sproporzionato ed usurpano il campo della libert individuale,
nella morale puramente cristiana questa gran parte dei nostri doveri
appena ricordata o riconosciuta. Nel Corano e non nel Nuovo Testamento
noi leggiamo questa massima: _Un governante che nomina un uomo ad un
impiego, quando c' nei suoi stati un altr'uomo pi degno di occuparlo,
pecca contro Dio e contro lo Stato_. Se l'idea d'obbligo verso il
pubblico giunta a farsi strada nella morale moderna, essa stata
attinta non al Cristianesimo, ma ai Greci ed ai Romani. Allo stesso
modo, quello che c' nella morale privata di magnanimit, di elevazione
di spirito, di dignit personale, e direi anche di senso d'onore
proviene non dalla parte religiosa, ma dalla parte puramente umana
della nostra educazione, e non avrebbe mai potuto essere frutto di una
dottrina morale che non riconosce del merito se non nell'obbedienza.
Io sono ben lontano dall'affermare che questi difetti siano
necessariamente inerenti alla dottrina cristiana, qualunque sia la
forma in cui la si concepisce, o anche dall'affermare che quanto le
manca per essere una dottrina completa sia con essa inconciliabile;
e tanto meno pretendo d'insinuar questo a proposito delle dottrine
e dei precetti di Cristo stesso. Io penso che le parole di Cristo
sono chiaramente tutto quello che han voluto essere; ch'esse non sono
inconciliabili con nulla di quanto richiesto da una morale completa;
che vi si pu far rientrare tutto quanto v' di eccellente in fatto
di dottrine morali senza violentarne il significato pi di quello che
abbiano fatto quanti hanno tentato di dedurne un qualunque sistema di
pratica condotta. Ma credo nello stesso tempo e non sono con questo
in contraddizione ch'esse non contengano n volessero contenere se
non una parte della verit.
Io credo che, nei suoi precetti, il fondatore del cristianesimo abbia
a bello studio trascurati molti elementi essenziali della pi alta
morale, che la Chiesa cristiana ha completamente rifiutati, nel sistema
di morale ch'essa ha basato su queste stesse istruzioni; e, dato
questo, io considero un grande errore quello di voler trovare nella
dottrina cristiana una regola completa di condotta che il suo fondatore
non ha voluto particolareggiar tutta quanta, ma solamente sanzionare ed
appoggiare. Credo anche che questa angusta teoria divenga praticamente
un male gravissimo, diminuendo assai il valore della educazione e
della istruzione morale che tante persone ben intenzionate si sforzano
d'incoraggiare. Temo forte che tentando di formare lo spirito e i
sentimenti su di un tipo esclusivamente religioso e lasciando da banda
quei modelli secolari (se l'espressione mi permessa) che stavano a
lato della morale cristiana e la integravano mescolando il loro spirito
al suo non ne sia per risultare un tipo di carattere basso, abbietto,
servile, capace forse di sottomettersi a quello ch'egli crede la
volont divina, ma non di elevarsi alla concezione della divina bont e
di provare per essa un'alta simpatia. Credo che un'altra morale oltre a
quella puramente cristiana debba esistere a lato di questa per produrre
la rigenerazione morale dello spirito umano; e, secondo me, il sistema
cristiano non fa eccezione alla regola generale che, dato uno stato
d'imperfezione dello spinto umano, gl'interessi della verit esigono la
diversit d'opinioni.
Non necessario che, cessando d'ignorare le verit morali non
contenute nel cristianesimo, gli uomini debbano ignorare qualcuna di
quelle che esso contiene. Un tal pregiudizio o un tale errore, quando
si verifica, senza dubbio un male; ma un male da cui noi non
possiamo sperare d'essere sempre esenti, e che deve considerarsi come
il prezzo di un bene inestimabile. Si deve protestare contro la pretesa
esclusiva che una parte della verit eleva di essere la verit tutta
quanta; e se una reazione rendesse ingiusti alla lor volta quelli che
protestano, questo acciecamento pu, come l'altro, esser deplorato, ma
deve esser tollerato.
Se i cristiani volevano insegnare ai pagani ad esser giusti verso
il cristianesimo dovevano cominciare essi pei primi ad esser giusti
verso il paganesimo. un rendere dei cattivi serviz alla verit
il perder di vista questo fatto, ben noto a quanti hanno la minima
nozione di storia letteraria, che una gran parte dell'insegnamento
morale pi nobile ed elevato stata l'opera non gi d'uomini che non
conoscevano, ma di uomini che conoscevano e non accettavano la fede
cristiana. Io non sostengo gi che l'uso pi illimitato della libert
di esprimere tutte le opinioni possibili metterebbe fine ai mali dello
spirito settario in religione o in filosofia; tutte le volte che uomini
di mente angusta credono in buona fede una verit, si sicuri di
vederli a proclamarla, inculcarla ed anche spesso agire secondo la loro
convinzione, come se al mondo non ci fossero altre verit, o almeno
nessun'altra che potesse limitare o modificare la prima. Io riconosco
che la pi libera discussione non un ostacolo alla tendenza, che ogni
opinione ha, di divenir settaria; che anzi, al contrario, essa spesse
volte l'aumenta, la fa pi acre; perch si respinge con violenza tanto
maggiore la verit fino allora inavvertita, in quanto essa proclamata
da persone considerate avversarie.
Ma non sul partigiano appassionato, sullo spettatore pi calmo e
disinteressato che questo cozzo delle opinioni produce il suo effetto
salutare. Non la lotta violenta tra le parti diverse della verit il
male da temere; bens la soppressione tranquilla d'una met del vero.
Vi sempre speranza quando gli uomini sono obbligati ad ascoltare le
due parti; quando essi non s'occupano se non di una che i loro errori
si mutano in pregiudizi e la verit esagerata e falsata cessa di aver
gli effetti della verit. E poich nulla in un giudice tanto raro
quanto la facolt di dare un giudizio sensato in una causa in cui egli
non ha sentito perorare che un avvocato, la verit non pu sperar di
farsi strada che se ogni opinione, la quale racchiuda qualcuna delle
sue parti, trovi degli avvocati, e degli avvocati capaci di farsi
ascoltare.
Noi abbiamo dunque cos riconosciuta la necessit pel benessere
intellettuale della specie umana (d'onde dipende il suo benessere
morale e materiale) della libert di opinione e della libert
di discussione: e questo per quattro distinte ragioni che ora
brevissimamente riassumeremo: 1. una opinione che si ridurrebbe al
silenzio pu benissimo essere vera: negare questo, quanto affermare
la propria infallibilit; 2. quando anche l'opinione ridotta al
silenzio fosse un errore, essa potrebbe, come nella maggior parte
dei casi avviene, contenere una parte di verit: e poich l'opinione
generale o dominante su qualsivoglia soggetto raramente o non mai
tutta la verit, non v' mezzo di conoscerla per intero se non col
cozzo delle opinioni avverse; 3. anche nel caso in cui l'opinione
dominante contenesse la verit e tutta la verit, essa sar professata
come una specie di pregiudizio, senza comprendere o sentire i
suoi princip razionali, se non pu esser discussa vigorosamente e
lealmente; 4. il significato stesso della dottrina sar in pericolo
di perdersi o indebolirsi o vedersi privato del suo effetto vitale
sul carattere e sulla condotta; poich il dogma diverr una semplice
formula che, inefficace pel bene, ingombra il terreno e impedisce il
formarsi di qualunque convinzione reale fondata sulla ragione o sulla
personale esperienza.
Prima di lasciare questo soggetto della libert di opinione bene
prestare orecchio un istante a quelli che dicono: Si pu permettere
di esprimere liberamente qualunque opinione, purch lo si faccia con
moderazione e non si passino i limiti della discussione leale. Si
potrebbe parlare a lungo sulla impossibilit di fissare questi supposti
limiti. Non affatto possibile dire: basta non offendere coloro di
cui si oppugna l'opinione, perch e l'esperienza lo prova essi si
considereranno come offesi tutte le volte che l'attacco sar potente,
ed accuseranno di mancar di moderazione tutti gli avversar che daran
loro da pensare. Ma questa considerazione, per quanto importante sotto
l'aspetto pratico, sparisce davanti ad una obbiezione pi fondamentale.
Senza dubbio alcuno, il modo di proclamare una opinione, anche giusta,
pu essere molto riprovevole e provocare a giusta ragione una severa
censura; ma le principali offese di questo genere sono tali che il pi
delle volte impossibile, tranne che per una confessione accidentale,
giungere a dimostrarle.
La pi grave di queste offese discutere in una maniera sofistica,
sopprimere dei fatti o degli argomenti, esporre inesattamente gli
elementi di fatto o snaturare l'opinione avversaria. Ma persone che non
sono ritenute e che, sotto molti altri rispetti, non meritano punto
d'esser ritenute ignoranti o incompetenti, agiscono a questo modo,
magari con la massima gravit, cos spesso e con tanta buona fede,
che raramente possibile di potere, in coscienza e con sufficienti
ragioni, dichiarare moralmente colpevole una falsa esposizione; e
la legge potrebbe tanto meno tentar d'incriminare questo vizio di
polemica.
Quanto poi a ci che s'intende comunemente per discussione
intemperante: le invettive, il sarcasmo, le personalit, ecc., ecc.,
la denuncia di questi modi di procedere meriterebbe pi simpatia se
si pensasse almeno a proibirli ugualmente alle due parti; invece non
si desidera se non restringerne l'uso all'opinione dominante. Che un
uomo l'impieghi contro le altre opinioni, ed sicuro non soltanto
di non esser biasimato, ma d'esser anche lodato pel suo onesto zelo e
per la sua giusta indignazione. Tuttavia il male che questi mezzi di
discussione possono produrre non mai cos grande come quando se ne fa
uso contro opinioni relativamente indifese; e l'ingiusto profitto che
un'opinione pu trarre da questa maniera di affermarsi ridonda quasi
unicamente a vantaggio delle opinioni comunemente ammesse.
La peggior offesa di questo genere che in una polemica si possa
commettere di vituperare come uomini pericolosi ed immorali quelli
che professano l'opinione contraria alla nostra. Gli uomini che
professano un'opinione impopolare sono specialmente esposti a tali
calunnie, perch in generale sono poco numerosi e punto influenti e
nessuno s'interessa di veder loro resa giustizia; ma, per la natura
delle cose, di quest'arma non si possono valere quelli che dn
l'assalto ad una opinione dominante; essi correrebbero un pericolo
personale a servirsene e, quand'anche pericolo non vi fosse, non
farebbero cos se non screditare la loro causa. In generale le opinioni
opposte alle opinioni dominanti non giungono a farsi ascoltare che
usando un linguaggio studiatamente temperato, ed evitando con la
massima cura ogni inutile offesa: esse non possono, senza perder
terreno, menomamente deviare da questa linea di condotta; mentre al
contrario gl'insulti senza misura indirizzati dall'opinione dominante
alle opinioni contrarie allontanano realmente gli uomini da queste.
Perci, nell'interesse della verit e della giustizia, importante
sopratutto di proibire l'uso del linguaggio offensivo e, per esempio,
se si dovesse scegliere, sarebbe molto pi necessario riprovare gli
attacchi insultanti contro le libere credenze che quelli contro la
religion di Stato. tuttavia evidente che n la legge n l'autorit
non debbono occuparsi d'impedire gli uni o gli altri; e che il giudizio
dell'opinione deve determinarsi, in ogni occasione, colle contingenze
del caso particolare.
Si deve condannare ogni uomo, senza riguardo alla parte dell'argomento
da cui si metta, nelle cui parole faccia capolino o la mancanza di
buona fede, o la malignit, o la bigotteria, o l'intolleranza di
sentimento.
Ma non bisogna accusar di questi difetti i nostri avversar perch sono
i nostri avversar; e si deve rendere onore a quella persona, qualunque
sia il partito cui essa appartiene, che ha la calma di scorgere e
l'onest di riconoscere che cosa sono in realt i suoi avversar e le
loro opinioni, non esagerando nulla di ci che li pu danneggiare, non
nascondendo nulla di ci che loro pu riuscir di vantaggio.
Ecco la vera moralit della pubblica discussione, e, se essa soventi
volte violata, io sono lieto di pensare che vi son molti polemisti che
la osservano a un grado altissimo, ed un numero pi grande ancora che
coscienziosamente fanno ogni sforzo per giungere ad osservarla.
FINE DEL CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO.
L'INDIVIDUALIT COME ELEMENTO DI BENESSERE.
Abbiamo vedute le ragioni che rendono assolutamente necessaria agli
uomini la libert di formarsi delle opinioni e di esprimerle senza
tacite riserve; abbiamo pure veduto che, se questa libert non
riconosciuta o mantenuta a dispetto della proibizione, le conseguenze
per l'intelligenza e la natura morale dell'uomo sono funeste:
ricerchiamo ora se le stesse ragioni non richiedano che gli uomini
siano liberi di contenersi nella vita secondo le loro opinioni senza
esserne impediti dai propr simili, finch, s'intende, essi agiscono
a loro rischio e pericolo. Questa ultima condizione naturalmente
indispensabile. Nessuno sostiene che le azioni debbano essere cos
libere come le opinioni; al contrario, le opinioni stesse perdono
la loro immunit, quando le si esprimono in circostanze tali, che la
loro espressione un'instigazione positiva a qualche atto dannoso.
L'idea che i mercanti di grano fanno morire di fame i poveri o che la
propriet privata un furto, non deve essere perseguitata finch si
limita a circolare nella stampa; ma essa pu incorrere in una giusta
punizione se la si esprima oralmente, in mezzo ad un'assemblea di
violenti, agglomerati davanti alla porta di un mercante di grano, o
se la si diffonde sotto forma di avviso. Certe azioni, non importa di
qual genere, che senza causa giustificabile danneggiano altrui, possono
e, nei casi pi importanti, devono assolutamente essere seguite dalla
disapprovazione e, quando ve ne sia bisogno, dall'intervento attivo del
genere umano. La libert dell'individuo dev'esser limitata: egli non
deve rendersi dannoso agli altri; ma s'egli non ferisce gli altri in
ci che li riguarda, e si contenta di agire secondo la sua inclinazione
e il suo giudizio nelle cose che riguardano lui stesso solamente, le
stesse ragioni le quali stabiliscono che l'opinione dev'esser libera
provano pure che il mettere, a proprio repentaglio, in pratica le
proprie opinioni deve essere perfettamente lecito.
La specie umana non infallibile; le sue verit non sono, per la
maggior parte, se non delle mezze verit; l'unanimit delle opinioni
non desiderabile, a meno ch'essa non risulti dal confronto pi libero
e completo delle opinioni contrarie; la diversit di opinioni non un
male ma un bene, finch l'umanit non sar molto pi atta che oggi non
sia a riconoscere tutti i lati diversi del vero: ecco dei princip
che si possono applicare cos alle opinioni degli uomini come alla loro
maniera d'agire. Poich utile, finch il genere umano imperfetto,
che vi siano diverse opinioni, buono nello stesso modo che si provino
delle differenti maniere di vivere; vantaggioso concedere un libero
slancio ai diversi caratteri, impedendo tuttavia loro di essere gli
uni agli altri dannosi; e ciascuno deve potere, quando lo giudichi
conveniente, tentar la prova dei diversi generi di vita. L dove la
norma della condotta dettata non dal carattere di ciascuno, ma dalle
tradizioni o dai costumi degli altri, ivi manca completamente uno degli
elementi principali del benessere umano e l'elemento pi essenziale del
progresso individuale e sociale.
Qui la pi gran difficolt non consiste nel valutare i mezzi che
conducono ad uno scopo riconosciuto, ma nell'indifferenza della
generalit a proposito dello scopo stesso.
Se si considerasse il libero sviluppo dell'individualit come uno dei
princip essenziali del benessere, se lo si tenesse non in conto di un
elemento che si coordina con tutto quanto vien designato dalle parole
d'incivilimento, di istruzione, di educazione, di coltura, ma bens in
conto di una parte necessaria e d'una condizione perch tutte queste
cose si ottengano, non vi sarebbe pericolo che la libert non fosse
stimata al suo giusto valore; non si troverebbero delle difficolt
enormi a tracciare la linea di demarcazione tra essa e la sorveglianza
sociale. Ma, pur troppo, alla spontaneit individuale si riconosce
soltanto, ed a fatica, qualche poco di valore intrinseco.
Dappoich la maggioranza soddisfatta dei costumi attuali dell'umanit
(i quali infatti sono opera sua) essa non pu comprendere perch questi
costumi non debbano bastare a tutti quanti. Vi anche di peggio: la
spontaneit non entra nell'ideale della maggioranza dei riformatori
morali e sociali; essi la considerano piuttosto con gelosia, come
un ostacolo noioso e forse insuperabile all'accettazione generale
di quello che, secondo il giudizio di questi riformatori, sarebbe
il miglior partito per l'umanit. Poche persone, fuori di Germania,
comprendono il significato di quella dottrina sulla quale Guglielmo
Humboldt, uomo cos notevole e come erudito e come politico, ha scritto
un trattato: la dottrina per cui il fine dell'uomo, non quale lo
suggeriscono vaghi e fugaci desider, ma quale lo prescrivono gli
eterni ed immutabili decreti della ragione, lo sviluppo pi vasto
ed armonico di tutte le sue facolt in un complesso sodo e completo
e quindi lo scopo a cui deve tendere incessantemente ogni essere
umano, e in particolare quelli che vogliono influire sui loro simili,
l'individualit nel potere e nello sviluppo. A questo due cose sono
necessarie: La libert e una variet di condizioni. La loro unione
produce il vigore individuale e la diversit multipla che si fondono
nella originalit[6].
Tuttavia, per nuova e sorprendente che possa sembrare questa dottrina
humboldtiana, che d tanto valore all'individualit, la questione non
dopo tutto ci si pensi bene che una questione di pi o di meno.
Nessuno suppone che la perfezione della natura umana sia di copiarsi
esattamente gli uni gli altri; nessuno afferma che il giudizio o il
carattere particolare di un uomo non debba entrar per nulla nella sua
maniera di vivere e di curare i suoi interessi. E d'altra parte sarebbe
assurdo pretendere che gli uomini dovessero vivere come se nulla fosse
stato al mondo prima della loro venuta, come se l'esperienza non avesse
ancora in nessun caso mostrato che un certo modo di comportarsi
preferibile a un certo altro; nessuno contesta che si debba elevare
ed istruire la giovent in modo da farla approfittare dei risultati
ottenuti dall'umana esperienza. Ma privilegio e condizione propria
di un essere umano arrivato alla piena maturanza delle sue facolt
il servirsi dell'esperienza e l'interpretarla a suo modo; tocca a lui
scoprire che cosa vi sia, nell'esperienza accumulata, di applicabile
alla sua condizione e al suo carattere. Le tradizioni e i costumi degli
altri individui sono, fino a un certo segno, delle testimonianze di
ci che l'esperienza ha loro appreso, e questa testimonianza, questa
presunzione deve essere accolta con rispetto dall'adulto che noi
abbiamo supposto: ma, anzitutto, l'esperienza degli altri pu essere
troppo limitata, o essi possono averla interpretata male; l'avessero
poi anche rettamente interpretata, la loro interpretazione pu
benissimo non esser conveniente ad un individuo in particolare.
I costumi sono fatti pei caratteri e per le condizioni usuali; e il
suo carattere, la sua condizione posson bene non esser fra queste. E
quand'anche i costumi fossero buoni in s stessi, e potessero convenire
a questo individuo, un uomo che si adatta al costume semplicemente
perch il costume non mantiene n sviluppa in s alcuna di quelle
qualit che sono l'attributo caratteristico di un essere umano. Le
facolt umane di percezione, di giudizio, di discernimento, di attivit
intellettuale ed anche di preferenza morale, si esercitano soltanto col
fare una scelta; chi agisce sempre in modo da seguire il costume non fa
scelta di sorta, e non impara a discernere o a desiderare il meglio.
La forza intellettuale e la forza morale, precisamente come la forza
muscolare, non fanno dei progressi se non in quanto sono esercitate;
e non si esercitano le proprie facolt facendo una cosa semplicemente
perch la fanno gli altri, pi di quello che le si esercitino credendo
una cosa unicamente perch la credono gli altri. Se alcuno adotta
un'opinione senza che i princip di questa opinione gli siano sembrati
concludenti, la sua ragione non ne sar punto rafforzata, ma piuttosto
indebolita; e se esso commette un'azione i cui motivi determinanti
non sono conformi alle sue opinioni o al suo carattere (sempre dove
non si tratti di affetti n di diritti altrui) esso riuscir solamente
a snervare il suo carattere e le sue opinioni, che dovrebbero essere
attivi ed energici.
L'uomo il quale permette che il mondo, o almeno il suo mondo, scelga
anche per suo conto personale il modo di vivere non ha da invidiare
alle scimie se non la facolt d'imitazione: l'uomo che sceglie egli
stesso la sua maniera di vivere fa uso di tutte le sue facolt. Egli
deve usare l'osservazione per vedere, il ragionamento e il giudizio
per prevedere, l'attivit per raccogliere i materiali necessar alla
decisione, il discernimento per decidere; e, quando abbia deciso, la
fermezza e la padronanza di s stesso per attenersi alla deliberazione
presa; e quanto maggiore la parte della sua condotta ch'egli
governa secondo il suo giudizio e i suoi sentimenti, tanto pi
necessarie gli sono queste diverse qualit.
Egli pu, all'occorrenza, esser guidato sul retto cammino e salvato
da qualunque influenza dannosa senza nulla di tutto ci: ma quale
sar il valore comparativo di lui come essere umano? Quello che
veramente importante non solo ci che gli uomini fanno, ma altres
ci che sono. Fra le opere dell'uomo, cui la vita legittimamente
chiamata a perfezionare e ad abbellire, la pi importante senza
dubbio l'uomo stesso. Supponendo che fosse possibile fabbricar delle
case, far crescere del grano, dare delle battaglie, giudicare delle
cause, ed anche erigere delle chiese e pronunciar delle preghiere,
meccanicamente, per mezzo di automi di forma umana, si perderebbe
molto ad accettare questi automi in cambio degli uomini e delle donne
che popolano oggid le parti pi civili del globo, bench essi siano,
fuor d'ogni dubbio, degli esemp ben miseri di ci che la natura pu
produrre e produrr un giorno. La natura umana non una macchina che
si possa costruire secondo un modello per fare esattamente un'opera
designata, ma bens un albero che vuol crescere e svilupparsi da
tutti i lati seguendo la tendenza delle forze intime che fanno di lui
qualcosa di vivente.
Si riconoscer senza dubbio che desiderabile per gli uomini ch'essi
coltivino la loro intelligenza, e che val meglio seguire coscientemente
il costume od anche, all'occasione, coscientemente staccarsene, che
non conformarvisi ciecamente e macchinalmente. Si ammette fino ad un
certo punto che la nostra intelligenza ci deve appartenere; ma non si
ammette altrettanto facilmente che deve accadere lo stesso dei nostri
impulsi e dei nostri desider; si considera quasi come una pericolosa
insidia l'avere degli impulsi energici: tuttavia i desider e
gl'impulsi fanno parte altrettanto integrante di un essere umano nella
sua perfezione, quanto le credenze e le astinenze. Forti eccitamenti
non sono pericolosi se non quando non sono equilibrati; quando cio un
complesso di vedute e di tendenze si energicamente sviluppato mentre
altre vedute ed altre tendenze, che dovrebbero farsi sentire a lato
delle prime, restano deboli ed inattive. E gli uomini non agiscono
gi male perch i loro desider sono ardenti, ma perch sono deboli le
loro coscienze: anzi non vi una relazione naturale tra eccitamenti
energici e debole coscienza: la relazione naturale in senso opposto.
Dire che i desider e i sentimenti di una persona sono pi vivi e
numerosi di quelli d'un'altra dire semplicemente che la dose di
materia bruta della natura umana , in quella persona, pi abbondante;
per conseguenza, essa capace forse di far pi male, ma senza dubbio
di far pi bene. Insomma, gli impulsi potenti rappresentano, sott'altro
nome, dell'energia; ecco tutto. L'energia pu essere mal impiegata:
ma una natura energica pu far bene maggiore di una natura indolente
ed apatica. Quelli che hanno maggior quantit di sentimenti naturali
sono anche quelli in cui i sentimenti, per cos dire, artificiali si
possono meglio sviluppare. L'ardente sensibilit che rende gl'impulsi
personali vivi e potenti pure la sorgente da cui derivano l'amore
pi appassionato della virt, la pi rigorosa padronanza di s;
coltivando questa sensibilit che la societ fa il suo dovere e tutela
i suoi interessi; non rifiutando la stoffa con cui si fanno gli eroi,
giacch essa non capace di crearli. Si dice di una persona ch'essa ha
del carattere, quando i suoi desider e i suoi impulsi appartengono in
tutto a lei sola e sono l'espressione della sua propria natura, cos
come l'ha sviluppata e modificata la coltura sua propria; un essere
che non ha, per proprio conto, desider n impulsi, non possiede pi
carattere di una macchina a vapore. Se un uomo ha degl'impulsi non
solo suoi propr, ma forti e posti sotto il controllo di una potente
volont, esso ha un carattere energico. Chiunque pensi che non si debba
incoraggiare la manifestazione e lo sviluppo dell'individualit nei
desider e negl'impulsi, deve sostenere altres che la societ non
ha bisogno di nature forti, che essa non trae vantaggio alcuno dal
racchiudere un gran numero di uomini di carattere, e che infine non
desiderabile di vedere la media degli uomini possedere molta energia.
Nelle societ nascenti, queste forze sono forse senza proporzione col
potere che la societ possiede di disciplinarle e di sorvegliarle: vi
fu un tempo in cui l'elemento di spontaneit e d'individualit dominava
in modo eccessivo, e in cui il principio sociale doveva con esso
sostenere delle fiere battaglie.
La difficolt allora era condurre degli uomini potenti di corpo o
di spirito a subire delle regole che pretendevano controllare i loro
impulsi. Per vincere questa difficolt, la legge e la disciplina (per
esempio, i papi in lotta cogl'imperatori) proclamarono il loro potere
su tutto quanto l'uomo, rivendicando il diritto di sorvegliarne tutta
intera la vita, allo scopo di poterne sorvegliare il carattere, per
frenare il quale la societ non sapeva trovare altro mezzo. Ma la
societ oggi ha piena ragione dell'individualit, e il pericolo che
minaccia la natura umana non pi l'eccesso, bens il difetto di
impulsi e di gusti personali. Le cose sono ben mutate dal tempo in cui
le passioni degli uomini potenti per la loro condizione o per le loro
qualit personali erano in uno stato di abituale ribellione contro
le leggi e le ordinanze, e dovevano essere rigorosamente vincolate,
affinch tutto quanto li circondava potesse godere di una certa
sicurezza; nell'epoca nostra, ogni uomo, dal pi elevato al pi basso
sulla scala sociale, vive sotto lo sguardo di una censura ostile e
temuta. Non soltanto per quel che riguarda gli altri, ma anche per quel
che tocca loro stessi esclusivamente, l'individuo o la famiglia non
si domandano gi: Che cosa preferisco io? Che cosa si attaglierebbe
all'indole mia e alle mie attitudini? Che cosa darebbe buon giuoco e
le massime probabilit di svolgersi alle nostre pi elevate facolt?
ma si domandano bens: Che cosa conviene alla mia condizione, e che
cosa fanno di solito le persone del mio stato e della mia fortuna,
o (peggio ancora) che cosa fanno di solito le persone d'uno stato
sociale e d'una fortuna al di sopra della mia? Io non pretendo dire
ch'essi preferiscano ci che il costume prescrive a ci che loro piace:
non vien neppur loro in mente ch'essi possano aver un capriccio per
qualcosa che il costume non permetta. Cos anche lo spirito curvato
sotto il giogo; anche in quello che gli uomini fanno per loro svago,
la uniformit il loro primo pensiero; essi amano in massa, non
fanno scelte se non in generale; evitano come un delitto qualunque
singolarit di gusto, quantunque, a forza di non seguire la loro
natura, essi non abbiano ormai pi natura; le loro capacit umane sono
inaridite e ridotte a nulla; essi divengono incapaci di provare alcun
desiderio vivo, alcun piacere naturale; e non hanno, in generale, n
opinioni n sentimenti da essi elaborati, ad essi appartenenti. E tutto
questo pu dunque esser ritenuto una sana condizione delle cose umane?
S, seguendo la teoria calvinista. Secondo questa teoria, la colpa
capitale dell'uomo di avere una volont indipendente; tutto il bene
di cui l'umanit capace compreso nell'obbedienza. Voi non avete
una scelta da fare; dovete agire cos e non altrimenti; e tutto quanto
non dovere peccato. Dappoich la natura umana completamente
corrotta, non vi redenzione per alcuno, finch'esso non abbia ucciso
in s la natura umana. Per chi sostiene una simile teoria, non un
male l'annullare tutte le facolt, le capacit, le sensibilit umane;
l'uomo non ha bisogno d'altra capacit fuorch quella di abbandonarsi
alla volont di Dio, e s'egli si serve delle sue facolt altrimenti
che per eseguire in un modo pi efficace i decreti di questa supposta
volont sarebbe meglio per lui che non le possedesse. Ecco la teoria
del calvinismo; molte persone che non si considerano come calviniste la
professano sotto un'altra forma pi moderata; il temperamento consiste
nel dare una interpretazione meno ascetica alla volont supposta
dell'Altissimo. Si afferma ch'egli vuole che gli uomini soddisfacciano
a qualcuno dei loro gusti; non gi, certamente, nel modo ch'essi
preferirebbero, ma in una maniera obbediente, che quanto dire nella
maniera prescritta dall'autorit, la qual maniera necessariamente la
stessa per tutti.
Sotto una tal forma insidiosa, vi ora una forte tendenza verso questa
angusta teoria della vita e verso questo tipo, ch'essa predica, di
carattere umano ristretto ed inflessibile.
Senza dubbio alcuno, molte persone credono sinceramente che gli uomini
cos torturati e ridotti alla statura di nani, siano quali il loro
creatore li ha voluti; proprio come molta gente ha creduto che gli
alberi siano molto pi belli tagliati a palla o in forme di animali che
lasciati nel loro stato naturale. Ma, se fa parte della religione il
credere che l'uomo sia stato creato da un essere buono, in armonia
con questa tendenza pensare che questo essere abbia dato le facolt
umane perch'esse siano coltivate e sviluppate, e non perch le si
sradichino o le si distruggano. ragionevole d'imaginare ch'egli goda,
tutte le volte che le sue creature fanno un passo verso l'ideale di
cui esse portano in s la concezione, tutte le volte ch'esse aumentano
una delle loro facolt di comprensione, di azione o di godimento.
Ecco un tipo di perfezione umana ben diverso dal tipo calvinista: qui
si suppone che l'umanit non riceva la sua natura per farne tantosto
sacrificio. La liberazione di s stesso dei pagani uno degli elementi
del merito umano, cos come l'oblo di s stesso dei cristiani[7];
vi un ideale greco di sviluppo di s stesso, a cui si accompagna,
senza soppiantarlo, l'ideale platonico e cristiano d'impero su s
stesso. Pu sembrar preferibile essere Giovanni Knox ad Alcibiade; ma
vale ancora meglio essere Pericle, che l'uno o l'altro; e un Pericle,
s'esistesse oggid, non sarebbe privo di qualcuna delle buone qualit
che appartenevano a Giovanni Knox.
Non gi indirizzando all'uniformit tutto ci che in essi c'
d'individuale, ma coltivandolo e sviluppandolo nei limiti imposti
dai diritti e dagli interessi altrui che gli esseri umani divengono
un bello e nobile oggetto di ammirazione; e, come l'opera si foggia
secondo il carattere di quelli che la compiono, cos, per lo stesso
processo, la vita umana diviene essa pure ricca e svariata. Essa
produce e conserva con maggiore abbondanza i pensieri elevati, i
sentimenti che inalzano; rafforza il legame che congiunge gli individui
alla razza, dando alla razza stessa maggior valore. In ragione dello
sviluppo della sua individualit, ogni persona assume maggior pregio
agli occh suoi propri, e per conseguenza capace di assumerne uno
maggiore agli occh degli altri: vi una pi grande pienezza di vita
in tutta la sua esistenza; e quando c' maggior vita nell'unit, c'
maggior vita anche nella massa, che fatta di unit.
Non si pu trascurare la costrizione necessaria per impedire agli
esemplari pi energici della natura umana di invadere il campo dei
diritti degli altri; ma a questo c' un ampio compenso, anche dal punto
di vista dello sviluppo umano. I mezzi di sviluppo che l'individuo
perde, se gli s'impedisce di soddisfare alle sue tendenze in modo agli
altri dannoso, non si otterrebbero che a spese degli altri uomini; ed
egli stesso vi trova un compenso, perch la coazione imposta al suo
egoismo facilita lo sviluppo pi elevato della parte sociale della sua
natura.
L'essere sottomessi pel bene degli altri alle strette norme della
giustizia sviluppa i sentimenti e le facolt che pel bene degli altri
si esercitano; ma l'essere costretti nelle cose che non toccano punto
il bene degli altri, pel loro semplice dispiacere, non isviluppa altro
di buono se non la forza di carattere che si pu, forse, spiegare
resistendo alla costrizione. Se ci si sottomette, questa costrizione
indebolisce ed appesantisce tutta la nostra natura. Per dar buon giuoco
alla natura di ciascuno bisogna che diverse persone possano seguire un
diverso tenor di vita; i secoli che hanno avuto in maggior quantit
questa larghezza sono quelli che pi si raccomandano all'attenzione
dei posteri; il dispotismo stesso non produce i suoi peggiori effetti
finch la individualit resiste sotto questo regime, e tutto ci che
distrugge la individualit dispotismo, qualunque sia il nome che
gli si possa dare, pretenda esso poi d'imporre la volont di Dio o i
comandi degli uomini.
Avendo detto che individualit sinonimo di sviluppo, e che solamente
la coltura dell'individualit produce o pu produrre degli esseri umani
bene sviluppati, io potrei qui chiudere l'argomento. In favore d'una
data condizione delle cose umane che cosa si potrebbe dire meglio di
questo: che essa conduce gli uomini il pi vicino possibile al loro
tipo ideale? E di un ostacolo al bene che cosa si potrebbe dire di
peggio, se non ch'esso impedisce un tale progresso? Tuttavia, senza
dubbio alcuno, queste considerazioni non basteranno a convincere quelli
che hanno maggior bisogno di essere convinti.
Ed necessario inoltre di provare che questi esseri umani sviluppati
sono utili agli esseri non sviluppati; necessario di mostrare
a quelli che non desiderano la libert e che non se ne vorrebbero
servire, che, se permettono ad altri di farne uso senza ostacolo,
possono esserne in qualche modo apprezzabile ricompensati.
E prima di tutto, non potrebbero essi imparar qualche cosa da questi
individui lasciati liberi? Nessuno vorr negare che l'originalit sia
un elemento prezioso nelle cose umane: vi sempre bisogno di gente,
non soltanto per iscoprire verit nuove, non soltanto per indicare
il momento in cui quello che fu in altri tempi una verit cessa di
esserlo; ma anche per farsi iniziatori di nuove pratiche, per dar
l'esempio d'una condotta pi illuminata, di maggior buon gusto e di
maggior buon senso nelle cose umane. Questo non pu esser negato da
chiunque non creda che il mondo abbia raggiunto la perfezione in tutte
le sue abitudini e in tutti i suoi costumi.
vero che un tal servigio non pu esser reso da tutti quanti
senza distinzione: non vi sono che poche persone, in confronto di
tutto il genere umano, le esperienze delle quali, se generalmente
adottate, segnerebbero un progresso sul costume stabilito. Ma queste
poche persone sono il sale della terra; senza di esse la vita umana
diverrebbe un mare stagnante; e non soltanto introducono un bene
ignoto, ma conservano alla vita quello che essa gi possedeva.
Se anche non ci fosse nulla di nuovo da fare, forse che la intelligenza
umana cesserebbe di essere necessaria? Sarebbe questa una ragione
perch coloro che seguono una antica tradizione dimentichino perch
la seguano, agiscano come bruti e non come esseri umani? Le migliori
credenze e le pratiche migliori hanno una eccessiva tendenza a
degenerare in qualcosa di macchinale; ed a meno che non vi sia una
serie di persone la cui originalit infaticabile conservi la vita in
queste credenze e in queste pratiche, un automatismo cos morto non
resisterebbe punto all'urto pi leggiero di qualcosa di realmente
vivente; non vi sarebbe ragione allora perch la civilt non isparisse,
come nell'impero d'Oriente. In verit gli uomini d'ingegno sono e
saranno sempre, probabilmente, una impercettibile minoranza; ma per
averne, bisogna conservare il suolo sul quale possono fiorire. E
l'ingegno non respira liberamente che in un'atmosfera di libert; gli
uomini d'ingegno sono _ex vi termini_ pi individuali degli altri, meno
capaci, per conseguenza, di modellarsi, senza una dannosa compressione,
in alcuno di quegli stampi poco numerosi che la societ prepara per
risparmiare a' suoi membri la fatica di formarsi un carattere.
Se per timidit gli uomini d'ingegno consentono a sopportare uno di
questi modelli e a permettere che non si espanda quella parte di loro
stessi che non si pu dilatare sotto una tale pressione, la societ non
potr approfittare del loro ingegno; ma se essi sono dotati di una gran
forza di carattere e spezzano i loro legami, divengono il punto di mira
della societ; non essendo riuscita a ridurli alle proporzioni comuni,
essa li segna a dito come bizzarri, stravaganti ecc. Press'a poco come
se ci si lagnasse di non vedere il Niagara scorrere con la stessa calma
di un canale olandese.
Se io insisto con questa enfasi sulla importanza dell'ingegno e sulla
necessit di lasciare ch'esso liberamente si sviluppi, come pensiero e
come pratica, perch, se nessuno nega in teoria la cosa, il mondo in
realt vi del tutto indifferente. Gli uomini considerano l'ingegno
come una bella cosa, se esso rende un individuo capace di scrivere
un poema inspirato o di dipingere un bel quadro: ma dell'ingegno nel
vero senso della parola, cio dell'originalit nel pensiero e nelle
azioni, sebbene ognuno in teoria ammetta che sia una cosa degna di
ammirazione quasi tutti in fondo del cuore trovano che si potrebbe
benissimo fare a meno. Pur troppo questo un sentimento ben naturale
perch deva suscitar maraviglia. L'originalit una cosa di cui gli
spiriti non originali non possono sentire la utilit; essi non possono
scorgere quello che l'originalit saprebbe far per loro: e come lo
potrebbero? Se lo potessero, non si tratterebbe pi di originalit.
Il primo servigio che la originalit deve rendere a tali spiriti, di
aprir loro gli occh; e fatto questo, e fattolo bene, essi pure avran
qualche speranza di diventare originali. Frattanto, questi poveri di
spirito si ricordino che nulla ancora fu fatto senza che qualcuno abbia
cominciato, che tutto quanto esiste di bene frutto dell'originalit;
e siano modesti abbastanza per credere ch'essa ha qualcosa ancora
da fare, e per convincersi che, quanto meno sentono il bisogno di
originalit, tanto pi essa loro necessaria.
La verit che, per grandi che siano gli omaggi onde si pretenda
onorare, o si onori anche, la superiorit intellettuale, vera o
supposta, la tendenza generale delle cose nel mondo di fare della
mediocrit la potenza dominante.
Nella storia antica, nel medio evo, e, in un grado minore, durante il
lungo passaggio dalla feudalit ai tempi moderni, l'individuo era per
s stesso una potenza, e, s'egli aveva o un ingegno straordinario o
una condizione sociale elevata, la potenza era considerevole. Oggi,
gl'individui sono perduti nella folla. In politica, quasi banale il
dire che oggi il mondo governato dalla pubblica opinione; il solo
potere che merita davvero nome di potere quello delle masse o quello
dei governi, che si fanno strumenti delle tendenze e degl'istinti
delle masse. Questo cos vero per le relazioni morali e sociali
della vita privata come per le pubbliche convenzioni. Quello che si
chiama opinione pubblica non sempre l'opinione delle stesse specie
di pubblico: in America, il pubblico tutta la popolazione bianca, in
Inghilterra, semplicemente la classe media; ma si tratta sempre di una
massa, vale a dire di una mediocrit collettiva.
E novit ancora pi grande oggi la massa non si forma un'opinione
sull'autorit dei dignitari della Chiesa o dello Stato, di qualche
capo ostensibile o di qualche libro; la sua opinione fatta da uomini
press'a poco della sua levatura, che, per mezzo dei giornali, si
rivolgono ad essa o parlano in suo nome sulla questione del momento.
Io non lamento tutto questo, non affermo che nulla di meglio sia
compatibile, come regola generale, coll'umile stato attuale dello
spirito umano. Ma questo per non toglie che il govern della
mediocrit sia un governo mediocre: mai il governo d'una democrazia
o d'un'aristocrazia numerosa giunto ad elevarsi al di sopra della
mediocrit, sia pei suoi atti politici, sia per le opinioni, le
qualit, il genere di spirito pubblico a cui esso d vita, tranne l
dove la folla sovrana (come ha fatto sempre nelle sue epoche migliori)
si lasciata guidare dai consigli e dall'influenza d'una minoranza
o di un uomo pi colto e pi riccamente dotato. L'iniziativa di tutte
le cose saggie e nobili dee venir dagl'individui, e prima di tutto, in
generale, da qualche individuo isolato.
L'onore e la gloria della media degli uomini di poter seguire questa
iniziativa, d'aver il senso di ci che saggio e nobile, e di farvisi
guidare ad occhi aperti.
Io non incoraggio con queste parole quella specie di culto dell'eroe,
che applaudisce un uomo di genio potente perch esso s'impadronisce
colla forza del governo del mondo, e gl'impone, buono o malgrado
suo, i propr voleri. Tutto ci che un tal uomo pu pretendere, la
libert d'indicare il cammino; quanto al potere di costringere gli
altri a seguirlo, non solo esso incompatibile colla libert e lo
sviluppo del resto dell'umanit, ma corrompe lo stesso uomo di genio.
Sembra tuttavia che, quando le opinioni delle masse composte di uomini
ordinar, son divenute o divengono dappertutto il poter dominante,
contrappeso e correttivo della loro tendenza sarebbe l'individualit
sempre pi spiccata de' pi eminenti pensatori.
Sopratutto in tali contingenze gl'individui eccezionali dovrebbero
essere incoraggiati ad agir diversamente dalla massa, in vece d'esserne
impediti. In altri tempi, non c'era vantaggio in questo, a meno che
essi non avessero agito non solo diversamente, ma meglio; oggi, il
semplice esempio della non uniformit, il semplice rifiuto di mettersi
in ginocchio davanti al costume per s stesso un fatto benefico.
Appunto perch la tirannia dell'opinione tale, ch'essa fa
dell'_eccentricit_ un delitto, desiderabile, per ispezzare questa
tirannia, che gli uomini siano eccentrici. L'eccentricit e la forza di
carattere camminano sempre di pari passo; e la somma di eccentricit
che una societ contiene generalmente in ragione diretta della
somma d'ingegno, di vigore intellettuale e di coraggio morale ch'essa
racchiude. Ci che davvero ci addita il principal pericolo dell'et
nostra il vedere cos pochi uomini osare d'essere eccentrici.
Io ho detto che importante di dare il pi libero sfogo a quello che
non nell'uso, affinch si possa a tempo opportuno vedere che cosa
meriti di passarvi; ma la indipendenza d'azione e lo sdegno del costume
non meritano d'essere incoraggiati soltanto come quelli che presentano
la probabilit di creare dei modi d'agire migliori e dei costumi pi
meritevoli d'esser da tutti adottati; non sono pi soltanto le persone
di una superiorit intellettuale ben evidente che abbiano un giusto
diritto a condurre la vita che loro aggrada.
Non v' ragione perch tutte le esistenze umane siano costruite su di
un unico modello, o su di un piccolo numero di modelli: se una persona
possiede una sufficiente quantit di senso comune e d'esperienza, il
suo proprio modo di condurre l'esistenza il migliore; non perch sia
il migliore in s, ma perch il suo proprio. Gli esseri umani non
sono dei montoni: e gli stessi montoni non si somigliano tutti cos
da non potersi distinguere l'uno dall'altro; un uomo non pu avere un
abito o un pajo di scarpe che gli stiano bene se non le fa fare apposta
o se non le sceglie tra tutte quelle di un magazzino. dunque pi
facile di fornirgli una vita che un abito, o la conformazione fisica
e morale degli esseri umani pi uniforme di quella dei loro piedi?
Se questo fosse soltanto perch gli uomini non hanno tutti lo stesso
gusto, gi non occorrerebbe assolutamente di tentare di modellarli
tutti ad una stessa maniera; ma, oltre a questo, le diverse persone
vogliono differenti condizioni pel loro sviluppo intellettuale, e non
possono mantenersi sane nella stessa atmosfera morale pi di quello che
tutte le variet di piante possano fiorire sotto lo stesso clima. Le
stesse cose che ajutano una persona a coltivare la sua natura superiore
sono di ostacolo per un'altra.
La stessa maniera di vivere per l'uno un salutare eccitamento che
conserva nelle migliori condizioni le sue facolt di godimento e
d'azione, mentre per l'altro un carico spaventevole che sospende o
distrugge la vita interiore. Vi sono tali differenze fra gli uomini,
nella loro maniera di godere, di soffrire, di soggiacere all'opera
delle diverse influenze fisiche e morali, che se non vi una simile
diversit nella loro maniera di vivere, essi non sapranno n ottenere
tutta la loro parte di bene, n giungere all'altezza intellettuale,
morale ed estetica di cui la loro natura capace. Perch dunque
la tolleranza, se si tratta di sentimento pubblico, si estenderebbe
solamente ai gusti e alle maniere di vivere che si fanno accettare
dalla moltitudine dei partigiani di esse? In nessun luogo (salvo nelle
istituzioni monastiche) si nega la diversit di gusto: una persona
pu, senza esser biasimata, amare o non amare il sigaro, la musica,
gli eserciz del corpo, gli scacchi, le carte o lo studio, perch i
partigiani e i nemici di tutte queste cose son troppo numerosi per
esser ridotti al silenzio; ma l'uomo e, anche pi, la donna che pu
essere accusata di fare ci che nessuno fa o di non fare ci che fanno
tutti, oggetto di un biasimo pari a quello in cui incorrerebbe per
aver commesso qualche grave delitto morale.
Bisogna possedere un titolo o qualche altra ragione che ci elevi
nell'opinione dei concittadini al livello della gente d'importanza,
perch ci si possa permettere un po' il lusso di fare quel che ci
garba, senza nuocere alla nostra riputazione. Permettere un poco
ho detto, e lo ripeto; perch chiunque si permettesse largamente
questo lusso correrebbe il rischio di qualcosa di peggio che discorsi
maldicenti; sarebbe in pericolo di esser sottoposto ad una commissione
_de lunatico_ e di vedersi togliere la propriet a profitto della sua
famiglia[8].
V' un tratto caratteristico nelle attuali tendenze della pubblica
opinione, che proprio fatto per renderla intollerante contro
qualunque spiccata dimostrazione d'individualit. In generale gli
uomini non soltanto mancano di intelligenza, ma anche hanno delle
inclinazioni temperate; non hanno gusti n desider abbastanza vivi per
esser condotti a far qualcosa di straordinario, e, per conseguenza, non
comprendono punto chi ha tutt'altre doti: lo classificano fra quegli
esseri stravaganti e disordinati cui sono avvezzi a disprezzare. Oltre
questo fatto, che generale, noi dobbiamo tener conto che oggid si
manifestato un potente progresso morale; e si sa che cosa se ne pu
attendere. Questo movimento si manifestato a' d nostri: si fatto
molto per accrescere la regolarit di condotta e sconsigliare gli
eccessi, e v' dappertutto uno spirito filantropico che trova la sua
pi gradita applicazione nel miglioramento dei nostri simili, in fatto
di morale e di prudenza. Per effetto di queste tendenze, il pubblico
pi disposto che in altri tempi a prescrivere delle regole generali
di condotta ed a studiarsi di ricondurre tutti al tipo normale. E
questo tipo, lo si confessi o no sinceramente, di nulla desiderare
con vivacit. Il suo ideale di carattere di non averne alcuno bene
spiccato; qualunque parte saliente della natura umana, che tenda a
rendere una persona esteriormente diversa dalla comune degli uomini, si
deve mutilare colla compressione, come il piede di un chinese.
lo stesso qui, che per qualunque ideale il quale escluda la met
di ci che desiderabile; il tipo attualmente dominante non produce
che una imitazione inferiore dell'altra met. In luogo di una grande
energia guidata da una ragione vigorosa e di sentimenti potenti
potentemente guidati da una coscienziosa volont, non si ottengono che
una scarsa energia e dei sentimenti deboli, che per conseguenza possono
conformarsi alla regola, almeno nell'apparenza, senza richiedere un
grande sforzo n di volont n di ragione. Gi i caratteri energici
su larga scala van diventando puramente leggendar. Oggi, nel nostro
paese, l'energia non trova modo di applicarsi se non negli affari;
l'energia che vi si spende pu ancora essere ritenuta considerevole; e
il poco che ne sopravanza impiegato a cercar di soddisfare qualche
passione, che pu essere una passione utile, magari filantropica: ma
che si restringe ad una cosa sola, e, in generale, poco importante.
La grandezza d'Inghilterra oggi tutta collettiva: piccoli
individualmente, noi sembriamo capaci di qualcosa di grande solo per
la nostra abitudine dell'associazione; e di questo i nostri filantropi
morali e religiosi sono perfettamente soddisfatti.
Ma uomini di un'altra tempra hanno fatto l'Inghilterra ci che essa
stata; uomini d'altra tempra saranno necessar per impedirne la
decadenza.
Il dispotismo del costume dappertutto l'ostacolo perpetuo al
progresso umano, perch esso combatte una lotta incessante contro
quella disposizione a tendere a qualcosa di meglio del costume, che si
chiama, secondo i casi, spirito di libert o spirito di progresso e di
miglioramento. Lo spirito di progresso non sempre spirito di libert,
perch pu volersi imporre a gente che non se ne cura; e lo spirito
di libert, quando resiste a simili sforzi, pu allearsi, per un dato
luogo o per un dato tempo, cogli avversar del progresso; ma l'unica
sorgente infallibile e perenne del progresso la libert, perch solo
per suo mezzo si possono avere tanti centri indipendenti di progresso
quanti sono gl'individui.
Tuttavia il principio progressivo, sia sotto la forma dell'amore
di libert, sia sotto quella dell'amor di miglioramento, nemico
dell'impero del costume; perch esso implica per lo meno la liberazione
da questo giogo e la lotta tra queste due forze forma il principale
interesse della storia dell'umanit. La pi gran parte del mondo, nel
preciso senso della frase, non ha storia, perch ivi assoluto il
dispotismo del costume. il caso di tutto l'Oriente: l il costume
regna sovrano ed arbitro su tutte le cose; giustizia e diritto
significano conformarsi ad esso; nessuno, salvo qualche tiranno
ubbriacato dal potere, pensa a resistervi: e noi vediamo gli effetti
di tutto questo. Queste nazioni debbono, in altri tempi, aver avuto
dell'originalit; esse non sono uscite dalla terra popolose, colte in
letteratura, e profondamente versate in certe arti della vita; sotto
tutti questi rapporti debbono a s stesse la loro esistenza ed erano
un tempo le pi grandi e potenti nazioni del mondo. Che cosa sono esse
ora? sono suddite o dipendenti di trib i cui antenati erravano nella
foresta, mentre i loro avevano dei magnifici palazzi e degli splendidi
templi; ma su questi barbari il costume divideva il suo impero con
la libert e col progresso. Un popolo, a quel che sembra, pu essere,
durante un certo lasso di tempo, progressivo e poi fermarsi: e quando?
Quando cessa di possedere l'Individualit. Se un simile cambiamento
dovesse accadere anche nelle nazioni d'Europa, non sarebbe precisamente
cogli stessi caratteri. Il dispotismo del costume, che minaccia queste
nazioni, non precisamente l'immobilit; esso condanna la singolarit,
ma non pone ostacolo al mutamento purch tutto muti nello stesso tempo.
Noi abbiamo abbandonati i costumi immobili da cui i nostri avi non si
allontanavano: bisogna bene ancora vestirsi come tutti gli altri: ma
la moda pu mutare una o due volte per anno. Con questo, noi facciamo
in modo di cambiare per amor del mutamento, non per alcun concetto
di estetica o di comodit; perch lo stesso concetto di estetica o
di comodit non verrebbe in testa a tutti nello stesso punto e non
sarebbe, ad un altro punto, abbandonato da tutti. Noi siamo progressivi
cos come siamo mutevoli: facciamo continuamente delle nuove invenzioni
in meccanica e le conserviamo finch non le si possano sostituire con
invenzioni migliori; siamo pronti a migliorare in fatto di politica, di
educazione, di costumi, sebbene in quell'ultimo caso la nostra idea di
miglioramento consista sopratutto nel rendere gli altri, o colle buone
o colle brusche, buoni come siamo noi.
Non ci opponiamo al progresso; anzi, ci lusinghiamo di essere la
gente pi progressiva che mai si sia vista. Contro l'individualit noi
combattiamo; e crederemmo d'aver compiuta un'opera meravigliosa, se
ci fossimo resi tutti gli uni agli altri identici, dimenticando che la
dissomiglianza tra due persone la prima cosa che attira l'attenzione,
sia per l'imperfezione d'uno di questi tipi e per la superiorit
dell'altro, sia per la possibilit di produrre qualcosa di meglio di
ciascuno dei due, combinandone i pregi.
Un esempio ed un avvertimento ci qui fornito dalla China una
nazione molto ingegnosa e, sotto certi rispetti, dotata di molta
saggezza, grazie alla rara fortuna d'aver di buon'ora ottenuto un
complesso soddisfacentissimo di costumi: opera, fino a un certo segno,
d'uomini che gli Europei pi illuminati debbono riconoscere, salvo
qualche riserva, per saggi e filosofi.
Questi costumi sono pure notevoli come quelli che assai bene si
prestano per imprimere il pi profondamente possibile i loro migliori
precetti in tutti gli spiriti della collettivit, e come quelli che
attribuiscono i posti d'onore e di potere a coloro che di essi sono
meglio penetrati. Senza dubbio il popolo che cos agisce deve avere
scoperto il segreto dell'umana perfettibilit e marciare sovranamente
in testa al progresso universale. Ebbene, no. I Chinesi son divenuti
stazionar; essi da migliaja d'anni sono quali noi ora li vediamo e,
se sono destinati a qualche miglioramento, questo verr loro da fuori.
Essi sono riusciti in modo da superare ogni aspettazione all'opera di
cui tanto faticosamente si occupano i filantropi inglesi: rendere
tutto il mondo uniforme, far s che ciascuno governi i suoi pensieri
e la sua condotta colle stesse massime e colle stesse regole con
quali frutti, lo vediamo! Il regime della pubblica opinione , sotto
una forma inorganica, quello che sono i sistemi chinesi d'educazione e
di politica sotto una forma organizzata: e, a meno che l'individualit
(minacciata da questo giogo) non sappia vittoriosamente rivendicare i
suoi diritti, l'Europa, nonostante i suoi nobili precedenti storici e
il cristianesimo che professa, tender a diventare un'altra China.
E, fino ad oggi, che cosa ha salvato l'Europa da questa sorte? Che cosa
ha fatto delle nazioni europee una parte progressiva e non stazionaria
dell'umanit? Non la loro perfezione superiore che, quando esiste,
un effetto e non una causa, ma le loro notevoli differenze di carattere
e di coltura. In Europa, gl'individui, le classi, le nazioni sono state
estremamente dissimili: esse si sono tracciata una grande variet
di strade, ciascuna delle quali conduceva a qualcosa di preciso; e
sebbene a ciascun'epoca quelli che seguivano le diverse vie siano stati
intolleranti gli uni verso gli altri, e ciascuno abbia considerato
una cosa eccellente poter obbligare tutti gli altri a seguire il
proprio cammino, nondimeno i reciproci sforzi per impedire il loro
sviluppo hanno avuto ben di rado un successo duraturo e, ciascuno
alla sua volta, tutti hanno dovuto risentire il vantaggio dagli altri
apportato. Secondo me, l'Europa deve soltanto a questa pluralit
di vie il suo vario e progressivo sviluppo; ma gi essa comincia a
possedere questo vantaggio in un grado molto meno considerevole, essa
cammina direttamente verso l'ideale Chinese di rendere tutto il mondo
uniforme. Il Tocqueville, nel suo ultimo ed importante lavoro, osserva
quanto i Francesi d'oggi si rassomiglino pi di quelli della stessa
ultima generazione: la stessa osservazione, a molto maggior ragione, si
potrebbe fare sugl'Inglesi.
In un passo gi citato, Guglielmo di Humboldt indic due cose come
condizioni necessarie dello sviluppo umano perch esse sono necessarie
per rendere gli uomini diversi gli uni dagli altri: la libert e
la variet di condizione; la seconda si va ogni giorno perdendo in
Inghilterra. Le contingenze che circondano le diverse classi e i
diversi individui, e che plasmano il loro carattere, si vengono ogni d
pi rassomigliando.
In altri tempi, le diverse classi, i diversi ceti, i diversi mestieri
e le professioni diverse vivevano si poteva dire in mondi
differenti; oggi, in modo assoluto, vivono tutti nello stesso mondo.
Oggi, relativamente parlando, leggono tutti le stesse cose, ascoltano
le stesse cose, vedono le stesse cose, vanno negli stessi luoghi;
hanno le loro speranze e i loro timori diretti verso gli stessi
obbiettivi, gli stessi diritti, le stesse libert, e i medesimi mezzi
per rivendicarle. Per grandi che siano le differenze di condizione
sopravvissute, non sono nulla a confronto di quelle che sono scomparse.
E l'assimilazione procede continuamente: tutti i mutamenti politici
la facilitano, poich tendono tutti ad elevare le classi inferiori e
ad abbassar le elevate; ogni estensione dell'educazione la facilita,
perch l'educazione riunisce gli uomini sotto influenze comuni e d a
tutti adito di arrivare al fondo generale dei fatti e dei sentimenti
universali; ogni progresso nei mezzi di comunicazione la facilita,
mettendo a contatto personale gli abitanti di luoghi lontani, e
promovendo una rapida successione di mutamenti di residenza di citt
in citt; ogni accrescimento di commerci e d'industrie facilita ancora
quest'assimilazione estendendo la fortuna e ponendo alla portata di
tutti i pi grandi oggetti di ambizione, cosicch il desiderio di
elevarsi non appartiene pi ad una sola classe, ma a tutte. Ma una
influenza pi potente di tutte queste per apportare una generale
somiglianza fra gli uomini lo stabilirsi completo, in questo o
in altri paesi, dell'influenza dell'opinione pubblica nello stato.
Poich le numerose preminenze sociali, che permettevano alle persone
trincerate dietro di esse di sprezzare l'opinione pubblica, si vengono
grado grado livellando, poich la stessa idea di resistere alla volont
del pubblico, quando si sa con certezza ch'esso ha una volont, vien
sempre pi scomparendo dallo spirito degli uomini politici pratici,
cessa di esservi alcun sostegno sociale per la non conformit. Non vi
pi nella societ un potere indipendente, che, opposto all'influenza
della maggioranza, sia interessato a prendere sotto la sua protezione
delle opinioni e delle tendenze contrarie a quelle del pubblico.
La riunione di tutte queste cause forma una cos gran massa d'influenze
ostili all'Individualit, che non si pu ormai intravvedere come
essa sar capace di difendere il suo terreno. Essa vi trover una
difficolt sempre crescente, a meno che la parte intelligente del
pubblico non impari a valutare questo elemento, a tener per necessarie
le differenze, quand'anche esse non siano in meglio, quand'anche,
nell'opinione di qualcuno, esse siano in peggio. Se i diritti della
individualit devono mai essere rivendicati, venuto il momento di
farlo, finch molte cose ancora mancano per completare l'assimilazione
imposta: soltanto sui princip che ci si pu, con buon esito,
difendere contro l'usurpazione. La generale pretesa di rendere gli
altri simili a noi cresce quanto pi soddisfatta; se si attende, per
resisterle, che la vita sia ridotta quasi ad un tipo unico, tutto ci
che da questo tipo si stacca sar allora considerato come cosa empia,
immorale ed anche mostruosa e contro natura; e la specie umana diverr
ben presto incapace di comprendere la variet, quando ne avr da
qualche tempo perduto lo spettacolo.
FINE DEL CAPITOLO TERZO
CAPITOLO QUARTO.
DEI LIMITI AL POTERE DELLA SOCIET SULL'INDIVIDUO.
Dove sono dunque i giusti limiti della sovranit dell'individuo su s
stesso? Dove incomincia il potere della societ? Quanta parte della
vita umana dev'essere attribuita all'individualit e quanta alla
societ? Ciascuna di esse ricever la parte che le spetta, se avr
quella che la tocca pi da vicino: la individualit deve governar la
parte della vita che interessa specialmente l'individuo, e la societ
la parte che interessa specialmente il corpo sociale.
Sebbene, a base della societ, non istia un contratto, e sebbene non
serva a nulla d'imaginarlo per dedurne degli obblighi sociali, non
di meno tutti quelli che ricevono la protezione dalla societ debbono
ripagarle questo beneficio: il fatto solo di vivere in societ impone a
ciascuno una certa linea di condotta verso gli altri.
Questa condotta consiste: 1. nel non danneggiare gl'interessi altrui o
piuttosto certi fra questi interessi che, sia per espressa disposizione
di legge, sia per un tacito accordo, devono essere considerati come
diritti; 2. nell'assumersi ciascuno la propria parte (che dev'esser
fissata secondo qualche equo principio) delle fatiche e dei sacrific
necessar a difendere la societ o i suoi membri contro qualunque
danno o vessazione. La societ ha l'assoluto diritto d'imporre questi
obblighi a quelli che se ne vorrebbero esimere. E non si riduce a
questo ci che la societ pu fare: gli atti di un individuo possono
essere dannosi agli altri, o non dare una sufficiente importanza al
loro benessere, senza giungere fino a violare alcuno dei loro diritti
costituiti; il colpevole pu allora esser punito dall'opinione, sebbene
non lo sia dalla legge. Dal momento che la condotta d'una persona
dannosa agli interessi altrui, la societ ha diritto di giudicarla,
e la questione di sapere se questo intervento sar o no un ajuto al
benessere generale, diviene argomento di discussione. Ma non il caso
di discutere una questione simile, finch la condotta di una persona
non tocca che i suoi propr interessi o non riguarda gl'interessi degli
altri se non col loro pieno consenso (e tutte le persone interessate
sono di et matura e dotate della intelligenza normale). In casi
simili, si dovrebbe avere libert completa, legale e sociale, di fare
qualunque cosa, a qualunque rischio.
Si fraintenderebbero queste idee, se vi si vedesse una dottrina di
indifferentismo egoistico, la quale pretendesse che gli esseri umani
non debbano aver mutui riguardi nella loro condotta n occuparsi del
benessere e delle azioni altrui, se non quando il loro interesse
in giuoco: in luogo di una diminuzione, ci che occorre un grande
aumento degli sforzi disinteressati per favorire il bene altrui. Ma la
benevolenza disinteressata pu trovare un altro mezzo di persuasione
che non sia lo staffile, figurato o anche reale. Io non voglio per
nulla toglier pregio alle virt personali: soltanto, esse vengono dopo
le sociali: tocca all'educazione di coltivarle tutte allo stesso modo.
Ma l'educazione stessa procede per mezzo della convinzione e della
persuasione, cos come per mezzo della coazione: ed soltanto coi due
primi mezzi che, una volta finita l'educazione, si dovrebbero inculcare
le virt individuali. Gli uomini debbono vicendevolmente ajutarsi a
distinguere il meglio dal peggio, e incitarsi a preferire il primo e
ad evitare il secondo; essi dovrebbero stimolarsi continuamente ad un
esercizio crescente delle loro pi nobili facolt, ad una direzione
crescente dei loro sentimenti e delle loro vedute verso scopi, non
pi sciocchi ma saggi, non pi bassi ma elevati. Ma una persona, o
un certo numero di persone, non hanno diritto di dire ad un uomo di
et matura che egli non sapr regolarsi nella vita secondo il proprio
interesse, come meglio gli conviene. Il suo benessere riguarda, pi
di tutti, lui stesso; l'interesse che vi pu porre un estraneo, non
nulla (tranne il caso di un vivo affetto personale) a confronto di
quello ch'egli stesso vi pone; la maniera con cui egli interessa la
societ (salvo quanto alla sua condotta verso gli altri) parziale e
indiretta: mentre per tutto quanto spetta ai suoi sentimenti o alla sua
condizione, l'uomo o la donna pi comune sanno infinitamente meglio di
chiunque altro come comportarsi.
L'intervento della societ per dirigere il giudizio e i disegni di un
uomo in ci che non riguarda che lui, si fonda sempre su presunzioni
generali: ora queste presunzioni possono essere completamente false;
fossero anche giuste, esse saranno probabilmente applicate a torto,
nei casi particolari, da persone che non conoscono se non la superficie
dei fatti. Per questo un tal ramo dell'attivit umana proprio degli
individui. Per quanto riguarda la condotta degli uomini gli uni verso
gli altri, l'osservanza delle regole generali necessaria, affinch
ciascuno sappia che cosa deve aspettarsi; ma, quanto agli interessi
particolari di ciascuna persona, la spontaneit individuale ha diritto
di liberamente esercitarsi. La societ pu offrire ed anche imporre
all'individuo delle considerazioni per facilitare il suo giudizio,
delle esortazioni per rafforzare la sua volont: ma egli solo ne
giudice supremo.
Egli pu ingannarsi, non ostante gli avvertimenti e i consigli; ma
il male minore di quel che si farebbe lasciando che gli altri lo
costringessero a proposito di ci che ritengono suo vantaggio.
Io non voglio gi dire che i sentimenti della societ verso una
persona non debbano essere modificati dalle sue qualit o dai suoi
difetti personali: questo non n possibile n desiderabile. Se una
persona possiede in un grado eminente le qualit che possono volgere
al suo vantaggio, alla sua elevazione, soltanto per questo degna
d'ammirazione: si avvicina tanto pi all'ideale della perfezione
umana: se, all'incontro, queste qualit le mancano grossolanamente,
si avr per essa il sentimento opposto all'ammirazione. C' un grado
di sciocchezza e un grado di quella che si potrebbe chiamare (sebbene
questo sia un punto contestabile) bassezza o depravazione di gusto,
che, se non danneggia positivamente colui che lo manifesta, lo rende
per necessariamente e naturalmente oggetto di repulsione ed anche,
in certi casi, di disprezzo. Sarebbe impossibile, a chiunque possieda
in tutta la loro forza le qualit opposte, di non provare di questi
sentimenti. Senza nuocere ad alcuno, un uomo pu agire in modo da
obbligarci a considerarlo o uno sciocco, o un essere inferiore; e
poich questo modo di giudicarlo non gli farebbe gran piacere, gli
si rende un servizio avvertendolo anticipatamente di questo come di
ogni conseguenza sgradevole a cui egli si espone. Sarebbe ottima cosa
davvero che la cortesia attuale permettesse di rendere pi spesso un
tal servizio, e che una persona potesse, senza passare per incivile
o presuntuosa, dir francamente al proprio vicino ch'egli in errore.
Noi abbiamo anche il diritto di agire in var modi, seguendo la nostra
sfavorevole opinione su qualcuno, senza la minima offesa alla sua
individualit, ma nel semplice esercizio della nostra. Noi non siamo
obbligati, per esempio, a cercare la sua compagnia; noi abbiamo il
diritto di evitarlo (non per in modo troppo visibile); perch abbiamo
il diritto di scegliere la societ che meglio ne conviene; noi abbiamo
il diritto, e forse anche il dovere, di metter gli altri sull'avviso
contro questo individuo, se noi crediamo il suo esempio o la sua
conversazione dannosa a quelli che egli frequenta; noi possiamo dare
ad altri la preferenza per le spontanee cortesie, tranne se queste
potessero tendere a migliorarlo. In questi modi diversi una persona
pu ricevere dagli altri delle severissime punizioni per difetti
che riguardano direttamente lei sola: ma essa non subisce queste
punizioni se non in quanto sono le naturali e, per cos dire, spontanee
conseguenze degli stessi difetti; non le s'infliggono a bello studio,
con lo scopo di punirla. Una persona che mostra della precipitazione,
dell'ostinazione, della boria, che non pu vivere con un patrimonio
ordinario, che non sa proibirsi delle soddisfazioni dannose, che
corre al piacere animale, sacrificando ad esso il sentimento e
l'intelligenza, deve aspettarsi d'essere molto in basso nell'altrui
estimazione e di possedere una minima parte dell'altrui benevolenza.
Ma di questo essa non ha diritto di lagnarsi, a meno che non abbia
meritato il favore degli altri per la speciale eccellenza delle sue
relazioni sociali e non si sia cos creato un tale diritto alle loro
cortesie, che essi non debbano occuparsi dei demeriti ch'ella ha verso
di s.
Quello che io sostengo che gl'inconvenienti strettamente connessi
col giudizio sfavorevole degli altri, sono i soli a cui debba essere
sottomessa una persona per quella parte della sua condotta e del suo
carattere che tocca il bene suo proprio, ma non gl'interessi degli
altri nelle sue relazioni con essa. Ben diversamente vanno invece
trattati gli atti dannosi agli altri. Se voi usurpate i loro diritti,
se voi fate subire loro una perdita o un danno che i vostri propr
diritti non giustificano; se voi, a loro riguardo, mostrate della
falsit o della doppiezza; se voi vi servite contro di essi di vantaggi
sleali o appena poco generosi ed anche se, per egoismo, vi astenete
dal salvarli da qualche danno... voi meritate, ben a ragione, la
disapprovazione morale e, in casi gravi, i rimproveri e le punizioni
morali. E non soltanto questi atti, ma anche le disposizioni che vi
conducono sono, per parlar propriamente, immorali, e meritano una
disapprovazione che pu divenire orrore.
La crudelt naturale, la malizia e la malvagit, l'invidia la pi
odiosa ed antisociale di tutte le passioni la dissimulazione, la
mancanza di sincerit, l'irascibilit, le bizze senza sufficiente
motivo, la smania di dominare, il desiderio di accaparrarci pi di
quel che ci spetta (la p?e??e??a dei Greci), l'orgoglio che trova una
soddisfazione nell'abbassamento degli altri, l'egoismo che pone s e
i propr interessi al di sopra di ogni altra cosa al mondo e decide
in proprio favore qualunque dubbia questione: ecco altrettanti
viz morali che costituiscono un'indole malvagia e odiosa; essi non
rassomigliano in questo ai difetti personali prima ricordati, che non
sono immoralit nel senso proprio della parola, e, per quanto eccedano,
non costituiscono la malvagit. Questi difetti possono provare la
sciocchezza o una mancanza di dignit personale o di rispetto di s
stesso, ma non sono soggetti a biasimo se non quando importano un oblo
dei nostri doveri verso gli altri, pel bene dei quali l'individuo
obbligato ad aver cura di s stesso. Ci che si chiama dovere verso
noi stessi, non costituisce una obbligazione sociale, a meno che le
circostanze non ne facciano un dovere verso gli altri; la espressione
_dovere verso s stesso_, quando significa qualcosa di pi che
prudenza, significa rispetto o sviluppo di s stesso; e nessuno deve,
in questo argomento, render conto ai suoi simili, perch essi non vi
sono interessati.
La distinzione tra il discredito a cui una persona giustamente
si espone, ove gli manchi la prudenza o la dignit personale, e
il rimprovero che le dovuto per aver attentato ai diritti degli
altri, non puramente nominale: c' una gran differenza e nei nostri
sentimenti e nella nostra condotta verso una persona, a seconda ch'essa
ne spiace nelle cose in cui noi riteniamo di potere a buon diritto
controllarla o nelle cose in cui sappiamo di non avere tale diritto. Se
essa ci spiace, noi possiamo esprimere la nostra antipatia e tenerci
lontani da un essere come ci terremmo da una cosa che non ci garba;
ma non ci sentiremo per questo in dovere di renderle dolorosa la vita:
noi penseremo ch'essa sopporta gi o sopporter ben presto la pena del
suo errore. Se essa si rovina la vita per un difetto di condotta, noi
non desidereremo, proprio per questo, di rovinargliela anche di pi:
lungi dall'invocare sul suo capo una punizione, noi tenteremo piuttosto
di alleviare l'espiazione che per essa incomincia, mostrandole il
mezzo d'evitare o di guarire i mali che la sua condotta le sta per
cagionare. Questa persona insomma pu essere per noi oggetto di piet
o anche d'avversione, ma non d'irritazione o di risentimento: noi non
la tratteremo come un nemico della societ; il pi che ci crederemo
lecito commettere a suo riguardo sar d'abbandonarla a s stessa; se
pure non interverremo con benevolenza, additandole i mezzi di guarire
i mali ch'essa si attirata con la sua condotta sregolata. Ma tutto
il contrario se questa persona abbia infrante le regole stabilite
per la protezione, individuale o collettiva, dei suoi simili: allora
le conseguenze funeste delle sue azioni ricadono non su di essa, ma
sugli altri, e la societ come protettrice di tutti i suoi membri deve
reagire sul colpevole, infliggergli un castigo, e un castigo abbastanza
severo, coll'intenzione espressa di punire. In un caso, la persona
un colpevole chiamato a comparire davanti al nostro tribunale: e noi
siamo incaricati non solo di giudicarlo, ma anche di eseguire, in un
modo o nell'altro, la sentenza da noi emanata; nell'altro, noi non
dobbiamo occuparci di punirla in modo diverso da quello che ne deriver
naturalmente se noi, per regolare i nostri propr affari, useremo della
stessa libert che accordiamo a lei per i suoi.
Molte persone rifiuteranno di ammettere la distinzione qui stabilita,
tra la parte della condotta di un uomo che tocca soltanto lui e la
parte che tocca gli altri. Ci si osserver, forse: come una parte della
condotta di un membro della societ pu essere indifferente agli altri
membri? Nessuno completamente isolato: impossibile ad un uomo di
fare qualcosa di seriamente o costantemente dannoso per s, senza che
il male si estenda per lo meno a quelli che gli stanno vicini e spesso
a molti altri. S'egli mette in pericolo la sua fortuna, nuoce a quelli
che direttamente o indirettamente ne traevano un sostentamento, e di
solito diminuisce pi o meno la ricchezza collettiva; s'egli guasta
le sue qualit fisiche o morali, non fa soltanto danno a tutti quelli
il cui bene dipendeva da lui, ma si rende incapace di compiere i suoi
doveri verso il prossimo in generale; diviene forse un grave carico per
l'altrui benevolenza o per l'affetto altrui, e, se una tale condotta
fosse pi frequente, poche colpe diminuirebbero di pi la massa
generale dei beni. In fine, ci si pu dire, se una persona non cagiona
agli altri un danno diretto coi suoi viz o colle sue folle non di
meno perniciosa per l'esempio ch'essa d, e dovrebbe esser costretta
a frenarsi pel bene di quelli che la vista o la conoscenza della sua
condotta potrebbero corrompere o traviare.
Ed anche si aggiunger se le conseguenze della mala condotta
fossero circoscritte agl'individui viziosi o poco riflessivi, la
societ potrebbe abbandonare a s stessi quelli che evidentemente sono
incapaci di guidarsi? Se la societ, come tutti riconoscono, deve
protezione ai bambini e ai minorenni, non ne deve forse allo stesso
modo alle persone d'un'et matura che sono egualmente impotenti a
governarsi da s? Se il giuoco o l'ubbriachezza o l'incontinenza o
l'ozio o l'oscenit sono ostacoli al bene ed al progresso altrettanto
gravi che la maggior parte delle azioni dalla legge vietate, perch
la legge non tenterebbe, fin dove la cosa possibile, di reprimere
anche questi abusi? E per supplire alle inevitabili imperfezioni
della legge, l'opinione non dovrebbe essa almeno organizzare una
forte polizia contro questi viz, e dirigere contro quelli che ne
sono macchiati tutti i rigori delle penalit sociali? Non si tratta
qui ci dicono di comprimere la individualit n d'impedire che si
provi qualche maniera di vivere nuova ed originale; le sole cose che
si cerca d'impedire sono cose che furono gi provate e, da che mondo
e mondo, condannate; sono cose che l'esperienza ha dimostrato n utili
n convenienti all'individualit di alcuno. Occorre un certo lasso di
tempo ed una certa quantit d'esperienza, perch una verit di morale o
di prudenza possa esser considerata come stabilita, e tutto quello che
si desidera d'impedire che le generazioni, l'una dopo l'altra, cadano
nell'abisso che stato fatale alle loro preceditrici.
Io riconosco pienamente che il torto che una persona si fa pu
seriamente danneggiare i suoi prossimi parenti nei loro interessi e nei
sentimenti loro, e, in un grado minore, la societ in generale. Quando
da una tale condotta un uomo trascinato a violare una obbligazione
precisa ed accertata verso uno o pi altri, il caso cessa di essere
personale e divien soggetto alla disapprovazione morale nel vero senso
della parola. Per esempio, se un uomo, colla sua intemperanza o colla
sua stravaganza, diviene incapace di pagare i suoi debiti, oppure, se,
gravato della responsabilit di una famiglia, diviene per le stesse
cagioni incapace di mantenerla e di allevarla, egli giustamente
disapprovato e pu essere giustamente punito: ma questo non per la sua
stravaganza, bens per aver mancato a' suoi doveri verso la famiglia o
verso i creditori. Se il danaro che ad essi doveva essere consacrato
fosse stato stornato per l'impiego pi prudente, la sua colpevolezza
morale sarebbe stata la stessa: Giorgio Barnwell uccise suo zio affine
di aver danaro per l'amante; ma sarebbe stato impiccato ugualmente
s'egli l'avesse fatto per istabilirsi negli affari.
Allo stesso modo, se un uomo, come spesso accade, procura alla famiglia
dei dispiaceri col darsi a cattive abitudini, si pu rimproverargli ben
a ragione la sua malvagit o la sua ingratitudine; ma lo si potrebbe
fare ugualmente se si desse ad abitudini, punto viziose in s, ma
penose per quelli con cui passa la vita, o il cui benessere dipende da
lui. Chiunque manca al rispetto generalmente dovuto agl'interessi e
ai sentimenti degli altri, senza esservi costretto da qualche dovere
pi imperioso o giustificato da qualche lecita inclinazione, merita
la disapprovazione morale per questa mancanza, ma non per la causa
di essa, non per gli errori puramente personali che possono avervelo
in origine condotto. E del pari, se una persona, per una condotta
puramente egoistica, si rende incapace di adempire a qualche obbligo
verso il pubblico, colpevole di offesa sociale. Nessuno dovrebbe
essere punito unicamente perch ubbriaco, ma un soldato o un poliziotto
debbono esser puniti se ubbriachi quando son di guardia. Insomma,
dovunque c' per un individuo o pel pubblico un danno preciso, o il
preciso pericolo di un danno, il caso non appartiene pi al dominio
della libert e passa a quello della moralit o della legge.
Ma quanto al danno semplicemente eventuale o, per dir cos, imaginabile
che alcuno pu cagionare alla societ senza violare alcun preciso
dovere verso il pubblico e senza evidentemente colpire altri che s
stesso, la societ pu e deve sopportare questo inconveniente, pel bene
superiore della libert umana.
Se si debbono punire degli adulti perch essi non vegliano, come si
dovrebbe, su loro stessi, io vorrei lo si facesse per loro amore, e non
sotto il pretesto ch'essi rendonsi incapaci di compiere certi doveri
verso la societ, quando questa non pretende al diritto di imporli
loro; ma io non posso ammettere che la societ non abbia altro mezzo
di elevare i suoi membri pi deboli al livello ordinario della condotta
razionale fuor che attendere ch'essi abbiano agito in modo disonorevole
e punirli allora, legalmente o moralmente. La societ ha avuto tutto
il potere su di essi durante la prima parte della loro esistenza, ha
avuto tutto il periodo dell'infanzia e della minore et per tentar
di renderli capaci di condursi ragionevolmente durante la vita. La
generazione presente padrona dell'educazione e di tutto il destino
della futura; in realt essa non la pu rendere perfettamente saggia
e perfettamente buona, perch queste due qualit bont e saggezza
mancano in modo deplorevole a lei stessa; e i suoi pi grandi sforzi,
in molti casi particolari, non sono quelli coronati da esito pi
felice; ma la generazione presente perfettamente capace insomma
di rendere la generazione avvenire altrettanto buona ed anche un po'
migliore di essa.
Se la societ lascia che un gran numero de' suoi membri cresca in
uno stato d'infanzia prolungata, incapace di sentir l'influenza di
considerazioni razionali con cause un po' remote, la colpa delle
conseguenze ricade sulla societ. Armata non soltanto di tutti i poteri
della educazione, ma ancora della forza che qualunque opinione accetta
all'universale esercita sui meno capaci di giudicare con la loro testa,
ajutata dalle penalit _naturali_ che chiunque si espone al disgusto
o al disprezzo di quei che lo conoscono non riesce ad evitare, la
societ non deve pretendere, oltre a tutto questo, il potere di fare o
d'imporre delle leggi relative agl'interessi personali degl'individui.
Secondo tutte le regole di giustizia e d'utilit, la valutazione di
questi interessi dovrebbe spettare a quelli che ne sopporteranno le
conseguenze. Nulla tende maggiormente a screditare e a rendere inutili
i buoni mezzi d'influire sulla condotta umana che l'aver ricorso ai
peggiori; se vi in coloro che si tenta di costringere alla prudenza o
alla temperanza la stoffa di un carattere vigoroso e indipendente, essi
senza dubbio alcuno si ribelleranno al giogo. Nessun uomo cosiffatto
penser che gli altri abbiano il diritto di sorvegliarlo nei suoi
interessi, come hanno invece quello d'impedirgli di danneggiare i loro;
e facilmente, da questo, si giunge a considerare come segno di forza e
di coraggio il far fronte ad un'autorit cos usurpata e l'eseguire con
ostentazione precisamente il contrario di ci che essa prescrive. Cos
si videro, al tempo di Carlo II, dei costumi licenziosi succedere come
una moda all'intolleranza morale nata dal fanatismo puritano. Quanto
a quello che si dice della necessit di proteggere la societ contro
il cattivo esempio dato dagli uomini viziosi o leggieri, vero che il
cattivo esempio, sopratutto quello di nuocere impunemente agli altri,
pu avere un effetto pernicioso. Ma noi parliamo ora della condotta
che, mentre non nuoce agli altri, si suppone dannosissima a chi la
segue; ed io non vedo come, in questo caso, non si trovi l'esempio
pi salutare che dannoso, perch, se esso mette in mostra la condotta
cattiva, addita nello stesso tempo le conseguenze penose e degradanti
che in generale, per mezzo di una censura giustamente applicata,
finiscono coll'esserne l'espiazione.
Ma l'argomento pi forte contro l'intervento del pubblico
nella condotta _personale_ che, quando esso interviene, lo fa
inconsideratamente. In questioni di moralit sociale o di dovere
verso gli altri, l'opinione del pubblico (che quanto dire di una
maggioranza dominante) sebbene spesso falsa, ha qualche probabilit
d'essere anche pi spesso giusta, perch il pubblico chiamato cos
a giudicare soltanto dei propr interessi e del modo con cui essi
sarebbero danneggiati da una certa maniera di comportarsi, se questa
fosse permessa; ma l'opinione di una tale maggioranza imposta alla
minoranza come legge su questioni personali ha altrettanta probabilit
di esser falsa quanto d'esser giusta. Infatti, in tali casi, le parole
_opinione pubblica_ significano tutt'al pi l'opinione di qualche
persona su ci che per altre persone buono o cattivo, e spessissimo
non significano neppur questo, giacch il pubblico con la pi
perfetta indifferenza trascura il piacere o la convenienza di quelli
di cui biasima la condotta, e non ha riguardo che alle sue proprie
inclinazioni. Molti ritengono un'offesa ogni condotta che, mentre
eccita il loro disgusto, sembra loro un oltraggio ai loro sentimenti:
come quel bigotto che, accusato di trattare con troppa indifferenza
i sentimenti religiosi degli altri, rispondeva ch'erano gli altri a
trattare con indifferenza i suoi, persistendo nelle loro abominevoli
credenze. Ma non c' alcuna identit fra il sentimento di una persona
per la sua propria opinione e il sentimento di un'altra che si ritiene
offesa dal veder professata questa opinione pi di quella che vi sia
tra il desiderio di un ladro di prendere una borsa, e quello che prova
il possessore legittimo di conservarla.
E il gusto di una persona sua stretta propriet appunto come la
sua opinione o la sua borsa. facile imaginare un pubblico ideale
che lasci tranquilla la libert e la scelta degl'individui per ogni
cosa incerta, esigendo soltanto che si astengano da quei modi di
comportarsi che l'universale esperienza ha condannati: ma dove si
veduto un pubblico porre tali limiti alla sua censura? Oppure, quando
mai il pubblico si cura dell'esperienza universale? Il pubblico,
intervenendo nella _condotta personale_ pensa raramente ad altro fuor
che all'enormit che vi nel pensare ed agire diversamente da lui; e
questo criterio, appena mascherato, presentato alla specie umana come
il precetto della religione e della filosofia, dai nove decimi degli
scrittori moralisti e speculativi. Essi c'insegnano che le cose sono
giuste perch sono giuste, perch noi sentiamo che lo sono; ci dicono
di cercare nel nostro spirito o nel nostro cuore le leggi di condotta
che ci obbligano e verso noi stessi e verso gli altri. Che cosa pu
fare il povero pubblico, pi di applicare questi insegnamenti e rendere
obbligator per tutti i suoi sentimenti personali di bene o di male,
quando essi sono abbastanza unanimi?
Il male che qui si addita non esiste soltanto in teoria, e il lettore
attende forse che io citi i casi particolari in cui il pubblico di
questo secolo o di questo paese d, a torto, il carattere di legge
morale ai suoi capricci. Io non iscrivo un saggio sulle attuali
aberrazioni del senso morale: ed questo un soggetto troppo importante
per essere discusso tra parentesi e come esempio illustrativo; non di
meno sono necessar degli esemp per dimostrare che il principio da me
sostenuto ha una seria importanza pratica e che io non cerco di far
sorgere ostacoli contro mali imaginar. Non difficile provare con
esemp numerosi che una delle pi universali tendenze della umanit
d'estendere i limiti di ci che si pu chiamare la polizia morale fino
al punto in cui essa invade il campo delle libert pi sicuramente
legittime dell'individuo.
Come primo esempio, vedete le antipatie che gli uomini nutrono a
proposito di un motivo tanto frivolo come la differenza delle pratiche
e sopratutto delle astinenze religiose. Per citare un caso un po'
triviale, nulla nella credenza o nel culto dei cristiani attizza di
pi l'odio dei musulmani contro di loro che il vederli mangiar carne di
majale; poche azioni sono pi antipatiche ai cristiani ed agli europei
di quello che questo modo di nutrirsi sia ai maomettani. , prima di
tutto, un'offesa verso la loro religione; ma questa circostanza non
ispiega punto il grado o la forma della loro ripugnanza: perch il vino
pure proibito dalla loro religione, e, sebbene i musulmani trovino
biasimevole bere del vino, non ne sono affatto disgustati.
La loro avversione per la carne della _bestia sudicia_ porta
all'incontro quel carattere particolare, simile ad una istintiva
antipatia, che l'idea di sporcizia, quando sia penetrata ben addentro
nei sentimenti, sembra eccitar sempre anche in quelli le cui abitudini
personali non sono affatto di una propriet scrupolosa. Il sentimento
dell'impurit religiosa, cos vivo presso gl'Indiani, ne un notevole
esempio.
Supponete ora che in un popolo in cui la maggioranza musulmana,
questa maggioranza voglia proibire, in tutto il paese, che si
mangi carne di majale: non vi in questo nulla di nuovo per paesi
maomettani[9]. Sarebbe un esercitare legittimamente l'autorit morale
dell'opinione pubblica? No, dite voi: e perch no? Questo costume
realmente disgustante per un tal pubblico: esso crede sinceramente che
Dio lo proibisca e lo aborra. Non si potrebbe d'altro canto biasimare
questo divieto come una persecuzione religiosa: sar religioso
nell'origine, ma non una persecuzione per causa religiosa, perch
nessuna religione obbliga a mangiar carne di majale. Il solo motivo
sostenibile per condannare un tal divieto sarebbe questo: il pubblico
non ha nulla che vedere nei gusti e negli interessi personali degli
individui.
Per parlar di cose a noi pi vicine, la maggioranza degli Spagnuoli
considera una grossolana empiet e la pi grave offesa verso l'Essere
Supremo il tributargli un culto che non sia quello dei cattolici
romani, e sul suolo di Spagna non v' altro culto tollerato. Per tutti
i popoli del mezzogiorno d'Europa, un clero ammogliato non soltanto
irreligioso, ma impudico, indecente, rozzo, disgustante. Che cosa
pensano i protestanti di questi sentimenti perfettamente sinceri e dei
tentativi fatti per applicarli con ogni rigore a quelli che non sono
cattolici?
Tuttavia, se gli uomini possono vicendevolmente turbare la propria
libert nelle cose che non toccano gli interessi degli altri, per quali
princip si pu logicamente escluderne questi casi d'intolleranza? O
chi pu biasimare della gente perch vogliono distruggere ci ch'essi
considerano come uno scandalo innanzi a Dio e innanzi agli uomini? Non
si possono aver ragioni migliori per vietare ci che si ritiene una
immoralit personale di quelle che, per sopprimere questi costumi,
abbiano coloro i quali li considerano come emp; e, a meno che noi
vogliamo adottar la logica dei persecutori e dire che noi possiamo
perseguitare perch abbiamo ragione, e che essi non devono perseguitare
noi perch hanno torto, dobbiamo ben guardarci dall'ammettere un
principio, la cui applicazione, se si facesse a nostro carico, ci
sembrerebbe una s grande ingiustizia.
Si pu, sebbene a torto, osservare che gli esemp precedenti sono
tratti da eventualit impossibili nel nostro paese, perch da noi
l'opinione non giunger fino ad imporre apertamente l'astinenza da
certi cibi o a molestare la gente perch segue questo o quel culto o
perch essa si ammoglia o no secondo le sue credenze e le sue tendenze:
ebbene, l'esempio che segue sar tratto da un attentato alla libert di
cui non punto scomparso il pericolo.
Dovunque i puritani sono stati in forza sufficiente, come nella Nuova
Inghilterra e nella Gran Bretagna al tempo della repubblica, hanno
tentato, e con successo, di sopprimere i divertimenti pubblici e quasi
tutti i privati, in ispecial modo la musica, la danza, il teatro, i
giuochi pubblici o qualunque altra riunione a scopo di divertimento.
Vi ancora nel nostro paese un numero non indifferente di persone,
le cui idee di religione e di moralit condannano queste ricreazioni;
ora, poich queste persone appartengono sopratutto alla classe media
che ha oggi pi influenza di qualunque altra nel nostro paese, non
punto impossibile che i seguaci di queste opinioni possano un d o
l'altro disporre di una maggioranza in parlamento. Che cosa dir il
resto della comunit vedendo i divertimenti ad essa permessi regolati
dai sentimenti morali e religiosi dei calvinisti e dei metodisti pi
severi? Non intimer, e molto risolutamente, a questi uomini cos
importunamente pii, di occuparsi degli affari loro? precisamente
quello che si dovrebbe dire a qualunque governo o pubblico avesse
la pretesa di privare tutti quanti dei piaceri ch'esso condanna.
Ma, se il principio su cui la pretesa si fonda ammesso, non si pu
ragionevolmente opporsi a che la maggioranza o qualunque altro potere
dominante nel paese lo applichi secondo le sue vedute; e ciascuno deve
tenersi pronto ad adattarsi all'idea di una repubblica cristiana, quale
la pensavano i coloni primitivi della Nuova Inghilterra, se una setta
religiosa come la loro rioccupasse mai il terreno perduto, come han
fatto spesso delle religioni che si credevano in decadenza.
Supponiamo ora un'altra eventualit che ha forse probabilit maggiore
di esser mandata ad effetto. Tutti riconoscono nel mondo moderno una
potente tendenza verso una costituzione democratica della societ,
sia poi essa accompagnata o no da instituzioni politiche popolari.
Si dice che nel paese dove pi prevale questa tendenza, negli Stati
Uniti, dove si hanno la societ ed il governo pi democratico, il
sentimento della maggioranza, a cui spiace qualunque modo di vivere
troppo brillante o troppo dispendioso perch essa possa sperar di
uguagliarlo, fa abbastanza bene l'ufficio di una legge suntuaria; e vi
sono, dicesi, molte parti dell'Unione, in cui una persona ricchissima
pu difficilmente trovar qualche modo di spendere la sua fortuna senza
attirarsi la disapprovazione popolare. Sebbene, senza alcun dubbio,
questo racconto esageri grandemente i fatti esistenti, tuttavia lo
stato di cose ch'esso descrive non soltanto concepibile e possibile;
il pi probabile risultato delle idee democratiche alleate a questo
concetto: che il pubblico ha diritto d'imporre il suo veto sul modo
con cui gl'individui spendono le loro rendite. Ora noi non abbiamo
che da supporre una notevole diffusione delle idee socialiste, e
pu divenire, agli occh della maggioranza, infame il possedere
qualcosa di pi che una piccolissima propriet o qualcosa di pi che
un salario guadagnato col lavoro manuale. Simili opinioni (almeno in
principio) hanno gi fatto grandi progressi nella classe operaja, e
pesano in modo oppressivo sui suoi membri. Dir una cosa molto nota: i
cattivi opera (che sono in maggioranza in molti rami dell'industria)
professano fermamente l'opinione ch'essi dovrebbero avere gli stessi
salar dei buoni opera, e che non si dovrebbe permettere a nessuno,
sotto pretesto di lavorare a cottimo o altrimenti, di guadagnare
pi degli altri, per la sua maggiore abilit o destrezza. Ed essi
impiegano una polizia morale, che all'occasione diviene una polizia
fisica, per impedire agli abili opera di ricevere e ai padroni di
dare un compenso pi grande ai serviz migliori. Se il pubblico ha
la minima giurisdizione negli interessi privati, io non vedo qual sia
la colpa di costoro, n perch il pubblico particolare relativo ad un
individuo possa meritare biasimo, quando pretende sulla costui condotta
individuale il diritto preteso dal pubblico in generale sugli individui
in generale.
Ma, per non fermarci alle ipotesi, oggi si invade grossolanamente il
campo della libert privata. Si minaccia di farlo anche di pi con
qualche probabilit di successo, e si predicano delle opinioni che
rivendicano nel pubblico il diritto illimitato di proibire colla legge
non soltanto tutto quello che esso trova cattivo, ma anche, per colpire
pi sicuramente quello ch'egli crede tale, molte cose che riconosce
innocenti.
Sotto pretesto d'impedire l'intemperanza, si vietato per legge
a tutta una colonia inglese e a quasi una met degli Stati Uniti
di servirsi delle bevande fermentate altrimenti che come medicine;
perch, in realt, vietarne la vendita, proibirne l'uso; e del resto
lo si comprendeva bene cos. E sebbene l'impossibilit di eseguire
la legge l'abbia fatta abbandonare dalla maggior parte degli Stati
che l'avevano adottata, compreso quello che le aveva dato il nome,
tuttavia molti dei nostri dichiarati filantropi hanno tentato e
tentano di continuo di ottenere una legge simile nel nostro paese.
L'associazione o _alleanza_, come essa si chiama, che si formata a
questo scopo, ha avuto della notoriet per la pubblicit data ad una
corrispondenza tra il suo segretario e un uomo di Stato, appartenente
al piccolo numero di quelli che in Inghilterra credono che le opinioni
di un personaggio politico debbano basarsi su princip. La parte che
lord Stanley ha preso in questa corrispondenza rafforzer le speranze
che gi aveva concepite su di lui chiunque sa quanto le qualit di
cui egli, a pi riprese, ha dato pubbliche prove siano rare presso i
militanti nella politica. L'organo dell'_Alleanza condanna altamente
qualunque principio che possa servire a giustificare il fanatismo e
la persecuzione_ e si prova a dimostrarci _la barriera assolutamente
insuperabile_ che divide questi princip da quelli dell'associazione.
_Tutte le materie relative al pensiero, all'opinione, alla coscienza,
mi sembrano dice al di fuori del dominio legislativo. Le cose
soltanto che appartengono alla condotta sociale, ai costumi, alle
relazioni mi sembrano soggette ad un poter discrezionale posto nella
legge e non nell'individuo._
Qui non si fa alcuna menzione d'una terza classe di atti diversa dalle
due ricordate: le azioni e le abitudini non sociali ma individuali,
quantunque a questa classe appartenga senza dubbio il bere liquori
fermentati. Ma mi si dir che vendere bevande fermentate commerciare,
e che commerciare un atto sociale.
Ancora, noi ci lagniamo d'una limitazione illecita delle libert non
del venditore, ma del compratore e del consumatore, perch lo Stato
potrebbe allo stesso modo proibirgli di bere del vino che rendergli
impossibile di procurarselo. Tuttavia il segretario continua: _Io
esigo come cittadino il diritto di fare una legge dovunque l'atto
sociale d'un altro invade il campo dei miei diritti sociali._ Ed ecco
la descrizione di questi _diritti sociali_: _Se qualcosa vi che
invada questo campo, , senza dubbio alcuno, il commercio dei liquori
spiritosi. Esso distrugge il mio fondamental diritto di sicurezza,
creando e stimolando continuamente disordini; viola il mio diritto
d'eguaglianza, con lo stabilire dei profitti che creano una miseria per
sollevar la quale si fa contribuire anche me; annulla il mio diritto ad
un libero sviluppo intellettuale e morale, circondandomi di pericoli
e indebolendo e rendendo immorale la societ, da cui ho diritto di
esigere ajuto e soccorso_. Tale sistema dei diritti sociali, che
giammai senza dubbio era stato cos nettamente formulato, si riduce,
in sostanza, a questo: diritto sociale assoluto per ciascun individuo
di esigere che tutti gli altri agiscano in ogni cosa precisamente come
dovrebbero: chiunque manca menomamente al suo dovere, viola il mio
diritto sociale e mi d ragione di chiedere alla legge un rimedio a
questo male. Un principio cos mostruoso infinitamente pi pericoloso
che qualunque isolata usurpazione a danno della libert; non v'
violazione di questa che con esso non si possa giustificare. Esso
non riconosce nessun diritto a nessuna libert salvo forse quella di
professare in segreto delle opinioni senza palesarle mai; perch dal
momento che alcuno emette una opinione che io considero dannosa, viola
i _diritti sociali_ dall'_Alleanza_ riconosciutimi. Questa dottrina
accorda a tutti gli uomini vicendevolmente un interesse determinato
nella loro perfezione morale, intellettuale e persino fisica, che
ciascun d'essi deve definire secondo il proprio criterio.
Un altro esempio notevole di violazione della giusta libert
dell'individuo, che non una semplice minaccia, ma una pratica
dominante ed antica, la legislazione del riposo festivo. Senza dubbio
alcuno, astenersi dalle occupazioni ordinarie un giorno la settimana,
per quanto lo concedono le esigenze della vita, un'abitudine
altamente salutare, sebbene non sia un dovere religioso che per gli
Ebrei. E poich questo costume non pu essere osservato senza il
consenso generale delle classi operaje, e qualcuno lavorando potrebbe
imporre agli altri la necessit di fare lo stesso, forse ammissibile
e giusto che la legge garantisca a ciascuno l'osservanza generale
dell'abitudine sospendendo in un dato giorno le principali operazioni
dell'industria. Ma questa giustificazione, fondata sul diretto
interesse che hanno gli altri o che ciascuno segua tale costume, non si
applica alle occupazioni che una persona si sceglie da s e a cui crede
conveniente dedicare le sue ore d'ozio; aggiungo che non si applica
menomamente di pi alle restrizioni legali imposte ai divertimenti.
vero che il divertimento di qualcuno pu essere, nel giorno di
festa, il lavoro di qualche altro; ma il piacere, per non dire l'utile
ricreazione d'un gran numero, val bene il lavoro di qualcuno, purch
l'occupazione sia scelta liberamente e possa essere liberamente
abbandonata. Gli opera hanno perfettamente ragione di pensare che se
tutti lavorassero la domenica, si darebbe il lavoro di sette giorni
pel salario di sei: ma dal momento che la gran massa delle operazioni
sospesa, quel piccolo numero di persone che deve continuare il
lavoro pel piacere degli altri, ottiene un proporzionale accrescimento
di salario e nessuno obbligato a continuare nelle sue occupazioni
se preferisce il riposo al guadagno. Chi voglia cercare un altro
rimedio, lo potr trovare nello stabilire un giorno di vacanza durante
la settimana per queste classi speciali di persone. Per giustificare
adunque le restrizioni poste ai divertimenti della domenica, bisogna
confessare che essi sono riprovevoli dal punto di vista religioso un
motivo di legislazione contro di cui non si protester mai abbastanza.
_Deorum injuriae Diis curae_. Resta a stabilire che la societ,
o qualcuno dei suoi funzionar, abbia ricevuto di lass l'incarico
di vendicare qualunque supposta offesa alla potenza suprema, che
non sia anche un torto fatto ai nostri simili. L'idea che dovere
dell'uomo rendere religioso il suo prossimo fu la causa di tutte
le persecuzioni religiose che mai siano state ordinate; e, se fosse
ammessa, le giustificherebbe pienamente. Quantunque nel sentimento che
si rivela coi tentativi spesso ripetuti d'impedire alle ferrovie di
far servizio, ai musei d'essere aperti la domenica, ecc., non vi sia
la crudelt degli antichi persecutori; tuttavia v' l'indizio di uno
stato di spirito assolutamente identico a quello. la decisione di non
tollerare negli altri quello che la loro religione permette, ma che la
religione del persecutore vieta; la persuasione che Dio non soltanto
detesta l'atto del miscredente, ma non avr per innocenti neppur noi,
se permettiamo che si commetta.
Io non posso astenermi dall'aggiungere a queste prove del poco conto
in cui generalmente tenuta la libert umana, il linguaggio di franca
persecuzione che la stampa del nostro paese si lascia sfuggire tutte
le volte che deve rivolger la sua attenzione sul notevole fenomeno
del mormonismo. Si potrebbe parlare a lungo assai su questo fatto
inatteso e pieno d'insegnamenti che una pretesa rivelazione e una
religione la quale su questa base riposa (ci quanto dire il frutto
di una evidente impostura, che non neppur sostenuta dal fascino
di alcuna qualit straordinaria nel suo fondatore) oggetto di fede
per moltitudini ed stato il fondamento di una societ, nel secolo
dei giornali, delle ferrovie e dei telegrafi. Quello che ci riguarda
si che questa religione, come molte altre e migliori, ha i suoi
martiri; che il suo profeta e fondatore fu mandato a morte in una
sommossa a causa della sua dottrina, e che molti fra i suoi seguaci
perdettero allo stesso modo la vita; che la loro setta fu espulsa
dal paese ov'era nata e che ora, mentre essa stata cacciata in un
solitario rifugio, in mezzo ad un deserto, molti inglesi dichiarano
apertamente che sarebbe bene (solamente non sarebbe comodo) fare una
spedizione contro i Mormoni ed obbligarli colla forza ad accettare
opinioni diverse. La poligamia adottata dai Mormoni la cagion
principale di questa antipatia contro le loro dottrine, con cui si
violano cos le leggi della tolleranza religiosa; la poligamia, sebbene
permessa ai Maomettani, agl'Indiani, ai Chinesi, sembra eccitare una
implacabile animosit quando praticata da gente che parla inglese e
che dice di essere una specie di cristiani. Nessuno pu disapprovare
pi energicamente di me questa istituzione dei Mormoni: ci per
molte ragioni, e fra le altre perch, lungi dall'essere basata sul
principio di libert, essa ne una diretta violazione poich non fa
che rafforzare le catene di una parte delle collettivit ed esimere
l'altra da ogni reciprocit di obblighi. Tuttavia, conviene ricordare
che questa relazione tanto volontaria da parte delle donne che ce ne
sembrano le vittime, quanto qualunque altra forma dell'instituzione
del matrimonio; e del resto, per quanto la cosa possa sembrare
sorprendente, essa ha la sua spiegazione nelle idee e nelle abitudini
generali del mondo: si insegna alle donne a considerare il matrimonio
come l'unica cosa necessaria: ed ben naturale cos che molte di
esse preferiscano sposare un uomo che ha parecchie altre mogli, a non
maritarsi del tutto. Non si domanda ad altri paesi di riconoscere tali
unioni o di permettere che una parte dei loro cittadini abbandoni la
legge nazionale per seguir la dottrina dei Mormoni; ma quando dei
dissidenti hanno concesso ai sentimenti ostili dei loro avversar
assai pi di quello che si potesse, in istretta giustizia, esigere,
quando essi hanno abbandonato i paesi che non potevano tollerare le
loro dottrine e si sono stabiliti in un remoto angolo della terra, che
sono stati i primi a rendere abitabile, difficile scorgere secondo
quali princip (salvo quelli della tirannia) si possa impedir loro di
viverci come loro garba, purch essi non commettano aggressioni contro
altri paesi, e lascino ai malcontenti la piena libert di andarsene.
Uno scrittore moderno di merito, per qualche rispetto notevole, propone
(usiamo le sue parole) una spedizione non di crociati, ma di pionieri
della civilt contro questa comunit politica, per metter fine a ci
che a lui sembra un passo addietro nel cammino del progresso. Io penso
la stessa cosa ma non credo che alcuna comunit abbia diritto di
forzare un'altra ad essere civile. Dal momento che le vittime di una
legge cattiva non invocano i soccorsi di altre comunit, io non posso
ammettere che persone completamente estranee abbiano il diritto di
esigere la cessazione di uno stato di cose che pare soddisfaccia tutte
le parti interessate, soltanto perch si tratta di uno scandalo per
gente lontana qualche migliajo di miglia, e perfettamente al di fuori
della questione. Spedite loro, se vi pare cosa buona, dei missionari,
che predichino sull'argomento, ed impiegate tutti i mezzi leali (fra
cui non quello d'imporre silenzio ai novatori) per impedire nel
vostro paese il progresso di tali dottrine. Se la civilt ha prevalso
sulla barbarie, quando la barbarie dominava il mondo incontrastata,
eccessivo temere che la barbarie, sconfitta una volta, possa rivivere
e riprendere il predominio sulla civilt. Una civilt che potrebbe
soccombere cos davanti al suo nemico gi sbaragliato, deve essere
talmente degenerata che n i suoi sacerdoti n i suoi institutori
ufficiali n alcun altro abbiano la capacit o si vogliano dar
l'incomodo di difenderla. Se cos , quanto pi da questa civilt si
sar lontani, tanto meglio: essa non pu se non proseguire di male in
peggio, finch sia distrutta e rigenerata (come l'impero d'Occidente)
da pi energici barbari.
FINE DEL CAPITOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO.
APPLICAZIONI.
I principi in questo lavoro sostenuti devono essere ammessi in
generale, come fondamento di una discussione particolareggiata, prima
di poterli applicare, con qualche speranza di buon esito, ai var rami
della politica e della morale. Le poche osservazioni che mi propongo
di fare su questioni speciali sono destinate a rischiarare i princip
piuttosto che a trarne le conseguenze; io non offro tanto delle
applicazioni; quanto degli esemp di applicazioni, i quali possono
servire a gettar maggior luce sul senso e sui limiti delle due massime
che sono la base di questo saggio: inoltre, queste applicazioni possono
giovare all'equit del giudizio quando non si sappia bene quale delle
due massime convenga applicare.
Ecco, intanto, i princip: 1. l'individuo non responsabile verso
la societ delle sue azioni, finch queste non riguardano se non i
suoi personali interessi: i consigli, l'istruzione, la persuasione,
l'isolamento anche, se gli altri credono necessario pel loro bene
di ricorrere a quest'ultimo mezzo: ecco le sole maniere con cui
la societ pu legittimamente dimostrare il suo disgusto o la sua
disapprovazione della condotta dell'individuo: 2. delle azioni
ritenute dannose agli interessi altrui, l'individuo responsabile e
pu esser sottomesso alle punizioni sociali e legali, se la societ
giudica le une o le altre necessarie alla propria protezione.
Anzitutto non affatto da credere che un danno o il pericolo di
un danno fatto agli altrui interessi possa sempre giustificare
l'intervento della societ: questo vero solo in certi casi. In un
gran numero di casi, un individuo, nel proseguire un legittimo fine
cagiona necessariamente, e di conseguenza legittimamente, un danno o un
dispiacere ad altri individui, o intercetta un bene che essi potevano
ragionevolmente sperare. Tali opposizioni d'interessi tra gli individui
derivano spesso da cattive instituzioni, ma sono inevitabili finch
queste instituzioni durano; qualcuna anche sarebbe inevitabile sotto
qualunque forma d'instituzioni. Chiunque riesca in una professione
che molti occupano o in un concorso; chiunque sia preferito ad un
altro in qualunque lotta per uno scopo che due persone desideravano di
raggiungere, trae profitto dalla perdita degli altri, dai loro sforzi
riusciti vani e dal loro dispiacere. Ma una cosa che tutti ammettono:
meglio, nell'interesse generale dell'umanit, che gli uomini
continuino i loro sforzi senza esserne distolti da questo genere di
conseguenze. In altri termini, la societ non riconosce ai competitori
disgraziati alcun diritto morale o legale ad essere esenti da questa
specie di dolore; essa non si sente chiamata ad intervenire se non
quando i mezzi impiegati per raggiungere lo scopo sono di quelli che
l'interesse generale non pu permettere; la frode o il tradimento, e la
violenza.
Commerciare ripetiamolo ancora un atto sociale. Chiunque si mette
a vendere una merce qualunque fa una cosa che tocca gl'interessi altrui
e la societ in generale; dunque la sua condotta , per principio,
sotto la giurisdizione della societ: di conseguenza, si considerava
in altri tempi come dovere del governo fissare il prezzo e regolare il
modo di fabbricazione delle manifatture. Ma ora si riconosce, sebbene
soltanto dopo una lunga lotta, che il buon prezzo e la buona qualit
delle merci si garantiscono pi efficacemente lasciando produttori e
venditori perfettamente liberi, senz'altro freno che l'uguale libert
pei compratori di provvedersi altrove. Tale la dottrina detta del
libero scambio, la quale riposa su basi non meno solide, ma diverse
da quelle del principio di libert individuale proclamato in questo
saggio. Le restrizioni poste al commercio o alla produzione per
ragioni di commercio sono in realt coazioni; e qualunque coazione, in
quanto coazione, un male: ma esse toccano soltanto quella parte
della condotta umana che la societ ha diritto di sorvegliare e non
hanno altro torto tranne quello di non produrre i risultati che se
ne attendevano. Dappoich il principio della libert individuale non
uno dei fondamenti della dottrina del libero scambio, non lo di
pi nella maggior parte delle questioni che si elevano a proposito
dei limiti di questa dottrina: per esempio, quando si tratta di
sapere quanto di pubblica sorveglianza sia ammissibile per impedire
la frode con falsificazione, o fino a qual punto si debbano imporre
ai padroni delle precauzioni igieniche o dei mezzi di protezione per
gli operai impiegati ad occupazioni pericolose. Tali questioni non
comprendono considerazioni di libert se non in un senso: che, _cteris
paribus_, sempre preferibile abbandonare gli uomini a s stessi
piuttosto di sorvegliarli: ma, come principio, non contestabile
ch'essi legittimamente possano essere per simili fini sorvegliati.
D'altra parte vi sono delle questioni relative all'intervento pubblico
nel commercio, che sono essenzialmente questioni di libert: tali,
la _legge di Maine_[10], a cui si gi alluso, la proibizione
dell'importazione dell'oppio in China, la restrizione imposta alla
vendita dei veleni, e in generale tutti i casi in cui lo scopo
dell'intervento di rendere difficile o impossibile la vendita di
certe merci. Questo intervento biasimevole come una violazione, non
gi della libert del produttore o del venditore, ma di quella del
compratore.
Uno di questi esemp, la vendita dei veleni, apre una questione nuova,
quella dei limiti convenienti di ci che si pu chiamare funzione di
polizia; trattasi di sapere fino a qual punto si possa legittimamente
limitare la libert, per impedire delitti o disgrazie. Il prendere
delle precauzioni contro il delitto prima che sia commesso, cos come
lo scoprirlo e il punirlo una volta commesso, una delle funzioni che
nessuno nega al governo: tuttavia si pu assai pi facilmente abusare,
a danno della libert, della funzione preventiva che della repressiva:
perch vi appena una parte della libert legittima di azione di un
essere umano che non possa con ragione essere imaginata come tale da
facilitare un qualunque delitto. Non di meno, se una autorit pubblica
o anche un semplice privato vedono una persona che evidentemente
si prepara a commettere un delitto, essi non sono obbligati a
restare spettatori inerti finch il delitto sia commesso, ma possono
intervenire e prevenirlo.
Se non si comprassero dei veleni, oppure se non se ne facesse uso mai
tranne che per avvelenare, sarebbe giusto di proibirne la fabbricazione
e la vendita: invece si pu averne bisogno per iscopi non solo
innocenti, ma utili, e la legge non pu imporre delle restrizioni in
un caso senza che l'altro ne risenta. Inoltre, officio dell'autorit
prevenire delle disgrazie. Se un pubblico funzionario o non importa
chi altro vedesse una persona la quale sta per attraversare un ponte
che si sa non essere sicuro, e non avesse il tempo di avvertirla del
pericolo ch'essa affronta, potr bene afferrarla e farla indietreggiare
a viva forza, senza violazione alcuna della sua libert: la quale
infatti consiste nel fare ci che si desidera; e questa persona non
desidera di cadere nell'acqua. Non di meno, quando non c' la certezza,
ma solamente la possibilit di un pericolo, la persona stessa pu sola
giudicare del valore del motivo che la spinge a correr tale rischio; e
in questo caso, di conseguenza (a meno che non si tratti di un ragazzo,
o che la persona non sia in delirio o in uno stato di eccitazione o
di distrazione incompatibile coll'uso completo delle sue facolt) si
dovrebbe, a mio vedere, limitarsi ad avvertirlo del pericolo e non
impedirgli colla forza di esporvisi. Tali considerazioni, applicate ad
una questione come quella della vendita dei veleni, possono ajutarci
a decidere quali fra i diversi modi possibili di _regolamentazione_
siano o non siano contrar al principio: per esempio, si pu imporre
senza violazione di libert una precauzione come quella di porre al
veleno un'etichetta che ne faccia conoscere le qualit pericolose;
non in fatti possibile che il compratore desideri ignorare le
propriet venefiche della cosa da lui comprata: ma l'esigere sempre
un certificato medico renderebbe talvolta impossibile, sempre poi
dispendioso di ottenere l'oggetto per usi legittimi.
A mio avviso, il solo modo con cui gli avvelenamenti si possano
rendere difficili (senza violare la libert di quelli che hanno
bisogno di sostanze venefiche per un altro fine) consiste in quello
che Bentham chiama, nel suo linguaggio cos proprio, una testimonianza
_preappointed_ (prestabilita). Nulla altrettanto comune nei
contratti. giusta consuetudine, quando si fa un contratto, che la
legge, la quale ne imporr l'adempimento, vi ponga come condizione
l'osservanza di certe formalit, come le firme, l'attestazione
dei testimoni e vai dicendo: affinch, in caso di contestazioni
susseguenti, si possa avere la prova che il contratto stato
realmente concluso, e in circostanze che non lo rendevano per nessuna
ragione legalmente nullo. Effetto di queste precauzioni rendere
difficilissimi i contratti fittiz o i contratti fatti a condizioni
che, se fossero conosciute, ne distruggerebbero la validit. Si
potrebbero imporre simili precauzioni per la vendita degli articoli che
si prestano a diventare strumenti del delitto: per esempio si potrebbe
esigere dal venditore che esso iscrivesse su di un registro la data
esatta della vendita, il nome e l'indirizzo del compratore, la qualit
e la quantit precise vendute, la risposta ricevuta quando ebbe chiesto
al compratore che cosa volesse farne. Quando non vi sono ricette di
medico, si potrebbe esigere la presenza di un terzo, per identificare
il compratore, se pi tardi si avesse qualche ragion di credere che
l'oggetto fosse stato usato a scopo delittuoso. Tali regolamenti non
sarebbero in generale un materiale impedimento ad ottenere l'oggetto
desiderato, ma bens un impedimento punto trascurabile a farne un uso
illecito ed impunito.
Il diritto che la societ possiede di opporre ai delitti delle
precauzioni anteriori, suggerisce delle restrizioni evidenti alla
massima che i danni puramente personali non sono materia di prevenzione
o di repressione. L'ubbriachezza, per esempio, nei casi ordinar,
non una ragion conveniente d'intervento legislativo; ma io troverei
perfettamente legittimo che un uomo convinto d'aver commesso qualche
violenza contro altri sotto l'influenza dell'ubbriachezza, fosse
sottoposto a disposizioni speciali; che, se in seguito lo si trovasse
ubbriaco, fosse soggetto ad una penalit; e che, se in questo stato
egli commettesse un'altro fallo, la punizione di questo fallo nuovo
fosse pi severa. Una persona che si ubbriaca quando l'ebrezza la
spinge a nuocere agli altri, commette verso di questi un delitto. Allo
stesso modo l'oziosit, tranne che in persone pagate dal pubblico,
oppure quando questo vizio costituisce la violazione di un patto, non
pu senza tirannia divenire oggetto di punizioni legali: ma se per
oziosit o per qualche altra causa facile ad evitarsi un uomo manca ad
uno dei suoi doveri legali verso gli altri, come quello di mantenere
i suoi bambini, non vi tirannia a costringerlo ad adempire questo
dovere con un lavoro obbligatorio, ove non si trovi altro mezzo.
Inoltre, vi sono molti atti che, essendo direttamente dannosi soltanto
a chi li commette, non dovrebbero essere legalmente proibiti, ma
che, commessi in pubblico, divengono una violazione delle sociali
convenienze e, passando cos nella categoria delle offese verso
gli altri, possono in tutta giustizia essere vietati. Tali sono gli
oltraggi alla decenza, su cui non necessario di dilungarsi, tanto pi
che essi hanno col nostro soggetto un rapporto puramente indiretto,
dappoich la pubblicit non un'aggravante minore nel caso di molte
azioni punto biasimevoli in s stesse n tenute per tali.
V' un'altra domanda a cui bisogna trovare una risposta che si
accordi coi princip qui posti. Vi sono dei casi di condotta personale
tenuti per biasimevoli, ma che il rispetto della libert impedisce
di prevenire o di punire perch il male che ne deriva direttamente
ricade tutto quanto sull'agente. Si deve lasciare ad altre persone la
libert di consigliare o di costringere a fare ci che fa liberamente
l'agente? La questione non scevra di difficolt. Il caso di una
persona che ne sollecita un'altra a compiere un atto, non , a rigor di
termini, un caso di condotta personale; dare dei consigli od offrire
delle tentazioni a qualcuno, un atto sociale e pu di conseguenza,
come in generale qualunque azione che riguardi gli altri, essere
considerato come sottoposto alla sorveglianza sociale. Ma un po' di
riflessione corregge la impressione prima dimostrando che se il caso
non strettamente compreso nei confini della libert individuale, non
di meno gli si possono applicar le ragioni su cui si fonda il principio
di questa libert. Se si deve permettere agli individui, in ci che
tocca loro stessi soltanto, di fare ci che meglio piace ad essi, a
loro rischio e pericolo, eglino devono esser liberi di consultarsi l'un
l'altro su ci che convenga fare, di scambiarsi i pareri, di dare e di
ricevere dei suggerimenti: si deve poter consigliare tutto ci che
permesso di fare. La questione non dubbia se non quando l'istigatore
tragga un profitto personale dal suo consiglio, quando, per vivere o
per arricchirsi, abbia per costume di incoraggiare a ci che la Societ
e lo Stato considerano come un male. In realt allora un nuovo elemento
di complicazione s'introduce: cio la esistenza di una classe di
persone il cui interesse opposto a quello che si considera pubblico
bene e la cui maniera di vivere basata sul partito preso di porre a
questo bene ostacolo. questo il caso d'intervenire? Cos la corruzion
dei costumi e il giuoco debbono essere tollerati, ma una persona deve
esser libera di esercitare un mestiere come quello d'incoraggiare una
tal corruzione o di tenere una casa di giuoco? Il caso uno di quelli
che si trovano sul limite estremo dei due princip: e non si scorge, a
prima vista, a quale esso appartenga effettivamente: vi sono argomenti
pro e contro.
Si pu dire in favore della tolleranza che il solo fatto di
scegliere una cosa come proprio mestiere e di vivere o di arricchirsi
esercitandolo non pu rendere delittuoso ci che altrimenti sarebbe
ammissibile; che l'atto deve essere o sempre permesso o sempre vietato;
che, se i princip da noi sin qui sostenuti sono giusti, la societ,
come tale, non deve occuparsi di dichiarar malvagio qualcosa che
riguardi l'individuo soltanto: essa non pu giungere pi in l della
dissuasione, e una persona deve essere altrettanto libera di persuadere
quanto un'altra di dissuadere.
Si pu dire in favore dell'opinione opposta che, sebbene lo Stato
non abbia il diritto di decidere, in via d'autorit e col disegno
d'impedire o di punire, se sia buona o cattiva la tale o la tal altra
condotta puramente personale, vi tuttavia ragione di credere che la
questione sia per lo meno dubbia. Dato questo, si aggiunge, lo Stato
non pu far male tentando di distruggere l'influenza d'instigatori
che non agiscono in modo disinteressato ed imparziale, che hanno un
interesse immediato da una parte (la parte cattiva, secondo l'opinione
dello Stato) e che, secondo la loro stessa confessione, spingono verso
questo lato per fini tutt'affatto personali. Inoltre, senza dubbio
alcuno, non ci si perde nulla, nessun bene si sacrifica, procurando
che gli uomini facciano la loro scelta, saggiamente o scioccamente, ma
da loro stessi, senza essere sedotti n spinti da persone che vi hanno
un interesse. Cos, ci si pu dire, quantunque le leggi sui giuochi
illeciti siano insostenibili in teoria, quantunque tutti debbano esser
liberi di giocare in casa propria, o in casa d'altri, o in qualche
luogo di riunione fondato per sottoscrizioni ed aperto solamente ai
membri ed a chi vuol far loro una visita, non di meno non bisogna
permettere le case pubbliche di giuoco. vero che la difesa non mai
efficace, per grandi che siano i poteri di cui si armi la polizia,
e che le case di giuoco possono sempre essere aperte sotto altri
pretesti; ma esse sono obbligate a condurre le loro operazioni sotto
un certo velo di segreto e di mistero, in modo che nessuno ne sappia
nulla, tranne quelli che ricercano queste case: la societ non deve
chiedere nulla di pi.
Questi argomenti hanno una forza considerevole; io per altro non oserei
decidere s'essi bastino a giustificare l'anomala morale che vi nel
punire l'_accessorio_ quando il _principale_ e deve essere libero,
nel mettere in prigione, per esempio, chi tiene la casa di giuoco e non
il giuocatore stesso.
Ancora meno si dovrebbe, per simili ragioni, intervenire nelle
operazioni comuni di compravendita. Quasi tutto ci che si compera
e che si vende si pu prestare ad eccessi, e i venditori hanno un
interesse pecuniario ad incoraggiarli: ma da questo non si pu dedurre
un argomento in favore, per esempio, della _legge di Maine_, perch i
negozianti di bevande spiritose, sebbene interessati all'abuso, sono
indispensabili a cagione dell'uso legittimo di tali bevande. Tuttavia
l'interesse che questi commercianti hanno a favorire l'intemperanza
un male reale, e giustifica lo Stato quando impone delle restrizioni
ed esige delle garanzie, che, senza questo motivo, sarebbero violazione
della libert legittima.
Sorge ancora una questione: ed di sapere se lo Stato, mentre
tollera una condotta ch'esso crede contraria ai pi preziosi interessi
dell'agente, non debba ci non di meno sconsigliarla indirettamente;
se, per esempio, per rendere l'ubbriachezza pi costosa o pi rara,
egli non debba studiare il modo di limitare il numero dei luoghi di
vendita. In questa, come nella maggior parte delle questioni pratiche,
bisogna fare una quantit di distinzioni. Colpire d'imposta le bevande
alcooliche, allo scopo di renderle pi difficili ad ottenersi, un
provvedimento che differisce ben poco dalla loro completa proibizione e
non giustificabile se la proibizione stessa non lo sia; ogni aumento
di prezzo una proibizione per quelli che non possono giungere al
prezzo nuovo, e, quanto a quelli che possono, essi subiscono per una
penalit per la soddisfazione di questo loro gusto.
La scelta dei loro piaceri e del modo di spendere il loro danaro,
dopo ch'essi hanno adempiuto le loro obbligazioni legali e morali
verso lo Stato e gli individui, non riguarda che loro stessi e non
deve dipendere che dal loro giudizio. A prima vista pu sembrare che
queste considerazioni condannino la scelta delle bevande spiritose come
soggetto speciale d'imposta a scopi fiscali. Ma bisogna ricordarsi che
l'imposta a questo scopo assolutamente inevitabile, che in molti
paesi essa deve essere in gran parte indiretta, che per conseguenza
lo Stato non pu fare altro che imporre tasse su certi generi di
consumazione, in un modo che per qualche persona pu giungere fino alla
proibizione. dunque dovere dello Stato di esaminare, prima di mettere
delle tasse, di quali derrate i consumatori possano pi facilmente fare
a meno, e _a fortiori_ di scegliere quelle che, a suo parere, possono
essere dannose se l'uso non ne moderatissimo. Per questo non
soltanto ammissibile, ma lodevole il mettere sulle bevande spiritose
l'imposta pi elevata, dato che lo Stato abbia bisogno di tutto il
gettito di tale imposta.
La questione di sapere se convenga fare della vendita di queste
derrate un privilegio pi o meno esclusivo, deve essere diversamente
risoluta secondo i motivi a cui si vuole subordinata la restrizione.
Occorre la sorveglianza d'una polizia in tutte le pubbliche vendite, e
specialmente in quei luoghi dove si macchinano volentieri delle offese
contro la societ. Dunque, conveniente non accordare il permesso di
vendere queste derrate (per lo meno quelle da consumarsi sul luogo)
se non a persone la cui rispettabilit di condotta sia conosciuta
e garantita; si deve, oltre a ci, regolare le ore di apertura e di
chiusura come la sorveglianza pubblica esige, e ritirare il permesso
quando si commettano a pi riprese delle violazioni della pubblica
pace, grazie alla connivenza o all'inettitudine di colui che tiene la
casa, o quando questa casa divenga il ritrovo di gente che si ribella
alla legge. Io non trovo nessun'altra restrizione giustificabile
come principio. Per esempio, la limitazione del numero delle bettole
per renderne l'accesso pi difficile e diminuir le tentazioni, non
soltanto espone tutti quanti ad una seccatura, solo perch qualcuno
abuserebbe della facilit, ma ancora non conviene se non ad uno stato
della societ in cui le classi lavoratrici siano apertamente trattate
come si tratterebbero dei ragazzi o dei selvaggi, e poste sotto una
educazione disciplinata, fatta per preparare la loro futura ammissione
ai privilegi della libert. Questo non il principio secondo cui le
classi operaje sono governate in qualunque libero paese, e chiunque
stima al suo giusto valore la libert non consentir mai che esse
siano governate a quel modo, a meno che per adattarli alla libert e
governarli come uomini liberi, non si sia fatto, invano, ogni tentativo
e non si abbia avuto la prova definitiva che esse non si possono
governare se non come ragazzi. La semplice esposizione dell'alternativa
dimostra l'assurdit che vi sarebbe nel supporre che tali sforzi siano
stati fatti in alcuno dei casi di cui noi qui ci dobbiamo occupare.
Soltanto perch le instituzioni del nostro paese sono un tessuto di
contraddizioni, vi si vedono mettere in pratica delle cose appartenenti
al sistema del governo dispotico o cos detto paterno, mentre la
libert generale delle nostre instituzioni impedisce di esercitare
quel controllo, che necessario per rendere la costrizione veramente
efficace come educazione morale.
stato dimostrato, nelle prime pagine di questo saggio, che la
libert dell'individuo nelle cose che toccano soltanto lui, implica
la libert per qualsivoglia numero d'individui di regolare con una
mutua convenzione delle cose che li riguardano tutti collettivamente e
che non riguardano altri. La questione non presenta difficolt finch
la volont delle persone interessate resta la stessa; ma, poich
questa volont pu mutare, spesso necessario, anche in cose che
concernono soltanto queste persone, ch'esse si assumano degli obblighi
vicendevoli; e, fatto questo, conveniente per regola generale che
questi obblighi siano rispettati. Non di meno, probabile che nelle
leggi d'ogni paese questa regola generale vada soggetta a qualche
eccezione. Non soltanto non siamo tenuti ad adempire gli obblighi che
violano i diritti di un terzo, ma talvolta si considera come ragion
sufficiente per liberarci da un'obbligazione, ch'essa ci sia dannosa:
per esempio nel nostro paese e nella maggior parte dei paesi civili,
un patto pel quale una persona si vendesse o consentisse ad esser
venduta schiava sarebbe irrito e nullo: n la legge n l'opinione
pubblica lo renderebbero obbligatorio. Il motivo che si ha per
limitare cos il potere di un individuo su s stesso evidente, e
lo si scorge molto chiaro in questo caso estremo. La ragione per cui
non si interviene (tranne che a vantaggio degli altri) nelle azioni
volontarie d'una persona il riguardo che si ha per la sua libert;
la scelta volontaria di un uomo prova che ci ch'egli sceglie cos
desiderabile o quanto meno sopportabile per lui, e ad ogni modo non
si pu meglio assicurare il suo benessere se non lasciando ch'egli lo
prenda ove crede trovarlo. Ma, vendendosi schiavo, un uomo abdica alla
sua libert, abbandona qualunque uso futuro della libert con un atto
unico: dunque esso distrugge, nei suoi propr riguardi, la ragione per
cui lo si lasciava libero di disporre di s; esso non pi libero,
e d'allora in poi si trova in una condizione dove non si pu pi
presumere ch'egli rimanga volontariamente. Il principio di libert non
pu esigere ch'egli sia libero... di non esser libero; non vi libert
insomma di poter rinunciare alla propria libert. Queste ragioni,
la cui forza appare cos evidente in tal caso particolare, possono
naturalmente essere applicate in molti altri casi: tuttavia esse
trovano dappertutto delle limitazioni, perch le necessit della vita
esigono continuamente non gi che noi rinunciamo alla nostra libert,
ma che ci rassegniamo a vederla limitata in un modo o nell'altro. Il
principio che chiede libert d'azione assoluta per tutto quello che
riguarda solo gli agenti esige che coloro i quali si sono obbligati con
un'altra persona per cose che non interessano punto i terzi, possano
l'un l'altro liberarsi; ed anche senza questa liberazione volontaria
non v' forse contratto od obbligazione, salvo che si tratti di
danaro, da cui si osi dire che non si dovrebbe mai avere la libert
di sciogliersi. Il barone di Humboldt, nell'opera eccellente che ho
gi citato, dichiara che, a suo parere, i patti i quali implichino
delle relazioni o dei servigi personali non dovrebbero mai essere
obbligator salvo che per un tempo limitato; e che il pi importante di
questi patti, il matrimonio, avendo questa particolarit, che fallisce
al suo scopo se i sentimenti delle due parti a questo scopo non si
accordino, dovrebbe potersi annullare semplicemente con la volont
espressa di ciascuna delle parti. Questo soggetto troppo importante
e troppo complesso per essere discusso tra parentesi; ed io mi
limito a sfiorarlo, a titolo d'_illustrazione_. Se la concisione e la
generalit della dissertazione di Humboldt non l'avessero obbligato su
questo argomento a contentarsi di enunciare la sua conclusione, senza
discutere le premesse, egli avrebbe riconosciuto senza dubbio alcuno
che la questione non pu esser decisa con ragionamenti cos semplici
come quelli ch'egli si limita a fare. Quando una persona, o per una
promessa espressa o per la sua condotta, ne ha incoraggiata un'altra
a confidare ch'essa agir in un dato modo, a fondare delle speranze,
a fare dei calcoli, a regolare una parte della sua vita su questa
supposizione, questa persona si creata coll'altra una nuova serie
di obbligazioni morali che, nel fatto, potranno essere calpestate, ma
che non permesso d'ignorare. Inoltre, se le relazioni tr
a due parti
contraenti sono state seguite da conseguenze per altri, se esse hanno
posto dei terzi in una condizione speciale o se, come nel caso del
matrimonio, esse hanno dato a terzi la vita, le due parti contraenti
hanno presso questi ultimi delle obbligazioni il cui compimento sentir
grandemente l'effetto della rottura o della continuazione delle loro
relazioni.
Non ne deriva invece, ed io non posso ammettere, che queste
obbligazioni giungano fino ad esigere l'adempimento del contratto
a prezzo del bene della parte riluttante; ma esse sono un elemento
necessario nella questione, ed anche se Humboldt sostiene che non
debbano apportare alcuna differenza nella libert legale che le parti
hanno di liberarsi dall'obbligo assunto (neppure io ritengo che esse
ne debbano apportare molta) pure creano necessariamente una differenza
grande nella libert morale. Una persona obbligata a ben considerare
tutto questo prima di risolversi ad una deliberazione che tanto pu
colpire gl'interessi d'altri, e, se non ha il voluto riguardo a questi
interessi, moralmente responsabile delle conseguenze funeste. Io
ho fatto delle osservazioni di una tale evidenza allo scopo di meglio
lumeggiare il principio generale della libert, e non gi perch esse
siano necessarie in questa questione, la quale anzi si discute sempre
come se l'interesse dei figli fosse tutto, e nulla l'interesse dei
genitori.
Io ho gi osservato che, in conseguenza della mancanza di princip
generali riconosciuti, la libert accordata spesso l dove dovrebbe
essere rifiutata, e _viceversa_; e uno dei casi in cui il sentimento
di libert fortissimo nel moderno mondo europeo, un caso in cui, a
senso mio, esso completamente fuori di posto. Una persona deve esser
libera di fare ci che le piace negli affari propr; ma non quando
essa agisce per conto di un altro, sotto il pretesto che gli affari di
quest'altro sono i suoi propr; lo Stato, mentre rispetta la libert di
ciascun individuo in ci che riguarda l'individuo soltanto, tenuto a
vegliare con cura sul modo con cui questi usa del potere accordatogli
su altri individui.
Quest'obbligo quasi del tutto trascurato nel caso di relazioni di
famiglia; un caso che, data la sua influenza diretta sul benessere
umano, pi importante di tutti gli altri presi insieme. Non
c' bisogno d'insistere qui sul potere quasi dispotico dei mariti
sulle mogli, poich per distruggere dalla radice questo male non
occorrerebbe altro se non accordare alle donne gli stessi diritti e
la stessa protezione da parte della legge, che si accorda a qualunque
altra persona, e poi perch, in questo argomento, i difensori
dell'ingiustizia regnante non si servono della scusa della libert,
ma si presentano, senza ambagi, come i campioni del potere. Ma nel
caso dei figli che certi concetti di libert applicati a sproposito
sono un ostacolo reale a che lo Stato adempia a' suoi doveri. Si
direbbe quasi che i figli di un uomo sieno letteralmente (e non per
metafora) parte di lui stesso, tanto l'opinione gelosa del minimo
intervento della legge tra i ragazzi e l'autorit esclusiva ed assoluta
dei genitori. Gli uomini la vedono pi di mal occhio della maggior
parte delle violazioni della loro propria libert d'azione: tanto essi
danno generalmente pi valore al potere che alla libert. Vedete, per
esempio, che cosa accade per l'educazione. Non , si pu dire, evidente
che lo Stato dovrebbe esigere da tutti i cittadini, ed anche imporre
loro, una certa educazione?
Non di meno tutti temono di riconoscere e di proclamare questa verit.
A dire il vero, nessuno la nega: uno dei pi sacri doveri dei parenti
(o, secondo la legge e l'uso attuale, del padre), dopo aver messo
al mondo un essere umano, allevarlo in modo che esso sia capace di
adempiere a tutti i suoi obblighi e verso gli altri e verso s stesso;
ma mentre tutti quanti riconoscono che tale il dovere del padre,
nessuno in Inghilterra si adatterebbe all'idea che altri l'obbligasse
a compierlo. In luogo d'esigere che un uomo faccia qualche sforzo o
qualche sacrificio per assicurare a suo figlio un'educazione, lo si
lascia libero di accettare o di rifiutare questa educazione quando glie
la si procura gratis. Non ancora riconosciuto che mettere al mondo un
ragazzo, quando non si abbia la fondata certezza di potere non soltanto
nutrirlo, ma anche istruirlo e formare il suo carattere, un delitto
morale verso la societ e verso gl'infelici rampolli, e che, se il
genitore non adempie a quest'obbligo, lo Stato dovrebbe vegliare per
farlo adempiere possibilmente a spese di lui.
Se l'obbligo d'imporre l'educazione universale fosse una buona volta
ammesso, si porrebbe fine alle difficolt su ci che lo Stato debba
insegnare e sul modo con cui debba insegnare; difficolt che, per ora,
fanno dell'argomento un vero campo di battaglia pei partiti e per le
sette. Si perde cos, a discutere sull'educazione, del tempo e della
fatica che andrebbero meglio impiegate a dare l'educazione stessa.
Se il governo si decidesse ad esigere per tutti i ragazzi una buona
educazione, si risparmierebbe l'incomodo di fornirne ad essi; potrebbe
lasciar liberi i parenti di fare allevare i figli dove e come loro
piacesse, e, secondo i bisogni di ciascuno, sia ajutare a pagare, sia
anche pagare interamente le spese. Le obbiezioni che si oppongono
giustamente all'educazione di Stato non sono gi mosse al fatto
che lo Stato impone l'educazione, ma al fatto che esso s'incarica
di dirigerla: due cose affatto diverse. Io, pi di chicchessia, mi
opporrei a che tutta la maggior parte dell'educazione di un popolo
fosse affidata allo Stato; tutto quel che si detto sull'importanza
dell'individualit di carattere e della diversit di opinioni e
di tenor di vita implica una eguale importanza della diversit di
educazione.
Un'educazione generale fornita dallo Stato non altro che un
meccanismo combinato per gettar tutti gli uomini nel medesimo
stampo; e poich lo stampo in cui si gittano quello che piace
al poter dominante (sia poi esso un monarca, un'aristocrazia, una
teocrazia o la maggioranza della generazione esistente) quanto pi
questa autorit efficace e potente, tanto pi essa stabilisce
sullo spirito un dispotismo che tende naturalmente ad estendersi sul
corpo. Un'educazione stabilita e sorvegliata dallo Stato non dovrebbe
esistere, se non come esperimento, circondata da concorrenze e fatta
al solo scopo di stimolarle e di mantenerle a un certo grado di
perfezione; salvo quando la societ in generale cos arretrata che
non potrebbe o anche non vorrebbe procurarsi dei mezzi convenienti
d'educazione: in tali casi, dovendo l'autorit pubblica scegliere
tra due mali, pu provvedere alle scuole ed alle universit, allo
stesso modo che essa pu supplire le compagnie per azioni in un paese
dove l'iniziativa privata non esiste in forma tale da permetterle
d'intraprendere grandi opere industriali. Ma, in generale, se il paese
racchiude un numero sufficiente di persone capaci di dar l'educazione
sotto gli auspic del governo, queste stesse persone potrebbero
e vorrebbero dare una educazione ugualmente buona sulla base del
principio volontario, se ad esse fosse assicurato un compenso stabilito
da una legge che rendesse obbligatoria l'educazione e garantisse
l'assistenza dello Stato agli incapaci di pagarsela.
Il solo modo di eseguir la legge sarebbe esaminare pubblicamente tutti
i ragazzi, dalla pi tenera et in poi. Si potrebbe fissare un'et in
cui ogni ragazzo o ragazza sarebbe esaminato per verificare se sappia
leggere: e quando se ne mostrasse incapace, il padre, a meno che avesse
motivi sufficienti di scusa, potrebbe esser sottoposto ad una ammenda
moderata che, al bisogno, dovrebbe guadagnarsi col suo lavoro; e il
ragazzo potrebbe esser messo a scuola a sue spese.
Una volta l'anno, si potrebbe rinnovare la prova, ed estendere
gradatamente il soggetto, per rendere virtualmente obbligatoria e
conservare la conoscenza universale di un certo _minimum_ di scienza
generale. Oltre questo _minimum_, vi sarebbero degli esami volontari su
qualunque specie di soggetto, in seguito ai quali coloro che fossero
giunti a un certo progresso avrebbero diritto ad un certificato.
Per impedire allo Stato di esercitare con questi mezzi una influenza
dannosa sull'opinione, la scienza da esigersi (oltre le parti puramente
elementari del sapere, come le lingue e il loro uso) per superare un
esame anche di ordine elevatissimo dovrebbe consistere esclusivamente
in fatti ed in scienze positive. Gli esami sulla religione, la politica
o qualunque altro argomento di discussione non riguarderebbero la
verit o la falsit delle opinioni, ma il fatto che la tale opinione o
tal altra professata per le tali ragioni, dai tali autori, o dalle
tali scuole o dalle tali chiese. Con questo sistema, la generazione
nascente non sarebbe peggio fornita, quanto alle verit discusse, di
quello che non sia oggi; si farebbe degli uomini quello che sono ora,
dei seguaci della religion dominante o dei dissidenti; soltanto lo
Stato prenderebbe cura che nell'un caso o nell'altro fossero istruiti.
Non vi sarebbe ostacolo a che si insegnasse ad essi la religione,
quando i genitori lo chiedessero, nella scuola dove loro s'insegna
tutto il resto.
Tutti gli sforzi dello Stato per influire sul giudizio dei cittadini
a proposito di soggetti discussi sono dannosi; ma lo Stato pu
perfettamente offrirsi di assicurare e certificare che una persona
possiede le cognizioni necessarie per rendere degna d'attenzione la
opinione propria su un dato soggetto.
Sarebbe tanto di guadagnato per uno studente di filosofia di poter
sottoporsi ad un esame su Locke e su Kant non importa quale dei due
egli adotti, e quando anche non dovesse adottare n l'uno n l'altro; e
non ci sono ragionevoli obbiezioni ad esaminare un ateo sulle prove del
cristianesimo, purch esso non sia obbligato a farne una professione di
fede.
Tuttavia gli esami sui rami pi elevati del sapere dovrebbero, a
mio avviso, essere affatto facoltativi; sarebbe accordare un troppo
pericoloso potere ai governi il permettere loro di chiudere il varco
a qualche carriera, anche dell'insegnamento, sotto il pretesto che non
si possiedono in un grado sufficiente le qualit richieste; ed io penso
con Guglielmo di Humboldt che i gradi o gli altri certificati pubblici
di cognizioni scientifiche o professionali dovrebbero essere accordati
a tutti quelli che si presentano all'esame e che lo sostengono con buon
esito, ma che tali certificati non dovrebbero dare altro vantaggio sui
rivali oltre al valore che loro attribuisce l'opinione del pubblico.
Si vede qui un caso in cui, per un mal inteso concetto di libert,
non si riconoscono punto degli obblighi morali e non s'impongono
punto degli obblighi legali, mentre e gli uni e gli altri sarebbero
estremamente necessar; ma questo caso non isolato.
Il fatto stesso di dar l'esistenza ad un essere umano una delle
azioni nel corso della vita che portano con s la pi grande
responsabilit.
Prendersi questa responsabilit di dare una vita che pu essere
fonte di dolore o di gioja un delitto verso l'essere a cui la
si d quando non vi siano per lui le ordinarie probabilit di una
esistenza desiderabile. E in un paese troppo popolato o che minaccia di
diventarlo, mettere al mondo pi di un piccolo numero di figli, cio
ridurre con la concorrenza il valore del lavoro, una seria colpa a
danno di tutti quelli che vivono di lavoro. Le leggi che, in un gran
numero di paesi del continente, proibiscono il matrimonio, a meno che
le parti non provino di poter mantenere una famiglia, non oltrepassano
i confini dei poteri legittimi dello Stato; e, siano esse utili o
no (cosa che specialmente dipende dalle circostanze e dai sentimenti
locali) non si pu rimproverar loro di essere violazioni di libert.
Con tali leggi, lo Stato interviene per impedire un atto funesto,
un atto dannoso agli altri e che dovrebbe essere l'oggetto della
riprovazione e dell'ignominia sociale, anche quando non si credesse
conveniente di aggiungervi i castighi legali. Non di meno, le idee di
libert generalmente ammesse, che tanto facilmente si prestano a reali
violazioni della libert dell'individuo per cose concernenti lui solo,
respingerebbero ogni tentativo fatto per frenare le sue inclinazioni,
quando, soddisfacendole, egli condanna uno o pi esseri ad una vita
di miseria e di depravazione che eserciter pi d'una trista reazione
sull'ambiente. Quando si paragona lo strano rispetto della specie umana
per la libert colla sua strana mancanza di rispetto per la libert
stessa, si potrebbe pensare che un uomo abbia il diritto indispensabile
di nuocere agli altri e non il diritto di fare ci che gli piace e che
non nuoce ad alcuno.
Io ho riservato per la fine tutta una serie di questioni sui limiti
dell'intervento del governo, le quali, sebbene si avvicinino assai al
soggetto di questo saggio, pure, a tutto rigore, non ne fanno parte.
Ci sono dei casi in cui le ragioni contro questo intervento non
discendono dal principio di libert; la questione non pi di
sapere se bisogni frenare le azioni degli individui, ma se convenga
ajutarle: ci si chiede se il governo debba fare o ajutarli a fare
qualcosa pel loro bene, in luogo di lasciare che essi facciano questo
individualmente o per mezzo di associazione volontaria.
Le obbiezioni fatte all'intervento del governo, quando esso non
implichi una violazione di libert, possono essere di tre sorta.
Si pu dire anzitutto che la cosa da farsi sar probabilmente fatta
meglio dagli individui che dal governo. Parlando in generale, non v'
nessuno pi capace di condurre un negozio, o di decidere come e da
chi esso debba esser condotto di coloro che vi hanno un interesse
personale. Questo principio condanna un intervento, in altri tempi
cos comune, della legislazione o dei funzionari del governo nelle
operazioni ordinarie della industria. Ma questa parte del soggetto
stata sufficientemente sviluppata in opere di economia politica e non
ha speciali relazioni coi princip del nostro saggio.
La seconda obbiezione ha maggiori attinenze col nostro soggetto. In un
gran numero di casi, sebbene la media degli individui non possa fare
una data cosa altrettanto bene che i funzionar governativi, non di
meno desiderabile che questa cosa sia eseguita dagl'individui piuttosto
che dal governo. un mezzo di fare la loro educazione individuale,
di rafforzare le loro facolt attive, di fornir loro una famigliarit
coi soggetti che loro cos si lasciano discutere; e la principale se
non l'unica raccomandazione del giur (pei casi non politici) delle
instituzioni municipali e locali libere e popolari, della direzione
delle instituzioni industriali e filantropiche da parte di associazioni
volontarie. Queste non sono questioni di libert e non toccano tale
argomento che da lontano; sono questioni di sviluppo. Non tocca a
noi d'insistere ora sull'utilit di tutte queste cose come parte
dell'educazione nazionale; ma esse in realt formano l'educazione
particolare d'un cittadino, la parte pratica dell'educazione politica
di un popolo libero. Esse fanno uscir l'uomo dalla ristretta cerchia
in cui lo racchiude il suo egoismo, tutt'al pi allargato ai suoi; esse
lo avvezzano a comprendere degl'interessi collettivi, a trattare degli
affari collettivi, ad agire per motivi pubblici o quasi pubblici ed a
lasciarsi guidare nella propria condotta da ragioni che lo avvicinano
agli altri in luogo di isolarlo.
Senza questi costumi e queste facolt non si pu n stabilire n
conservare una libera costituzione, come ci prova troppo spesso la
natura transitoria della libert politica nei paesi dove essa non
riposa su di una base sufficiente di libert locali. La direzione
degli affari puramente locali da parte delle localit, e la direzione
delle grandi imprese industriali da parte della riunione di quelli che
volontariamente ne forniscono i fondi si raccomandano inoltre per tutti
i vantaggi che noi abbiamo additato come inerenti alla individualit di
sviluppo e alla diversit di modo d'agire. Le operazioni del governo
tendono dappertutto ad essere le stesse; all'incontro, grazie alle
associazioni individuali e spontanee, si fa una immensa e costante
variet di esperienze. Lo Stato pu poi essere utile come depositario
centrale e distributore attivo dell'esperienza che risulta da numerose
prove; il suo incarico far s che ogni esperimentatore profitti delle
prove altrui, in luogo di non voler vedere che le sue proprie.
L'ultima e pi potente ragione per restringere l'intervento del
governo, il male gravissimo che deriva dall'aumentare senza necessit
il suo potere. Ogni funzione aggiunta a quelle che gi il governo
esercita, diffonde viepi la sua influenza sui timori e sulle speranze
dei cittadini, e trasforma a mano a mano la parte attiva ed ambiziosa
del pubblico in parte dipendente dal governo o di qualche partito
che aspira a divenir tale. Se le strade, le ferrovie, le banche,
le compagnie di assicurazioni, le grandi compagnie per azioni, le
universit e gl'instituti di beneficenza fossero altrettante branche
del governo; se, oltre a ci, i consigli municipali e locali, con
tutte le loro attribuzioni, divenissero altrettanti dipartimenti
dell'amministrazione centrale; se gli impiegati di tutte queste imprese
diverse fossero nominati e pagati dal governo, e non attendessero
che da questo le loro promozioni tutta la libert della stampa e di
una costituzione popolare del potere legislativo, non impedirebbero
all'Inghilterra o a qualunque altro paese di esser libero soltanto di
nome.
E quanto pi il meccanismo amministrativo fosse costrutto in modo
efficace e sapiente, quanto pi gli accorgimenti per procurarsi le
mani e le intelligenze pi atte a farlo funzionare fossero ingegnosi...
tanto pi grave sarebbe il male.
In Inghilterra, stato ultimamente proposto di scegliere tutti i
membri del servizio civile del governo dopo un concorso, allo scopo
di avere come impiegati le persone pi intelligenti e colte che fosse
possibile: e molto si detto e molto si scritto pro e contro questa
proposta. Uno degli argomenti su cui gli avversar di essa hanno
pi insistito che la condizione d'impiegato a vita dello Stato
non offre una prospettiva bastevole di stipend o d'importanza per
attirare gl'ingegni pi elevati, che troveranno sempre da far meglio
il loro cammino, sia nelle professioni liberali, sia al servizio
delle compagnie o degli altri enti pubblici. Non ci saremmo sorpresi
se questo argomento venisse dai partigiani della proposta come
risposta alla sua principale difficolt; abbastanza strano invece
che essa venga dagli avversar: quella che si pone innanzi come una
obbiezione invece la valvola di sicurezza del sistema in questione.
In realt, se il governo potesse attirare al suo servizio tutti gli
ingegni elevati del paese, una proposta tendente a raggiungere questo
scopo potrebbe inspirare dell'inquietudine; se tutto il lavoro di una
societ che esige un'organizzazione prestabilita, delle vedute larghe
e comprensive, fosse nelle mani dello Stato e tutti gli impieghi
del governo fossero occupati dagli uomini pi capaci tutta la
coltura, l'intelligenza esercitata del paese (salvo la parte puramente
speculativa) sarebbe concentrata in una burocrazia numerosa; da questa
burocrazia il resto della comunit attenderebbe tutto, l'impulso e la
direzione per le masse, il miglioramento personale per gli intelligenti
e per gli ambiziosi: essere ammessi nelle file di questa burocrazia,
e, una volta ammessi, crescervi di grado, sarebbero i soli obbietti
d'ambizione.
Sotto questo regime, non soltanto il pubblico non capace di criticare
o di controllare l'azione della burocrazia, ma anche se i casi fortuiti
delle instituzioni dispotiche o il cammino naturale delle popolari
daranno al paese un capo o dei capi amici di riforme, non se ne potr
effettuare alcuna che sia contraria agl'interessi della burocrazia.
Tale la triste condizione dell'impero russo, come ci attestano i
racconti di quelli che l'hanno potuto osservare. Lo czar stesso
impotente contro il corpo burocratico; egli pu mandare in Siberia
ciascuno dei suoi membri, ma non governare senza di essi e contro la
loro volont; essi possono mettere un tacito _veto_ su tutti i suoi
decreti, col semplice astenersi dall'eseguirli.
Nei paesi di civilt pi avanzata e di spirito pi rivoluzionario,
il pubblico, avvezzo ad attendere che lo Stato faccia tutto per lui
o almeno a non far nulla da s senza che lo Stato glie ne abbia non
soltanto accordato il permesso, ma anche indicato il modo, il pubblico,
diciamo, tiene naturalmente lo Stato responsabile di ci che gli accade
di molesto, e se la sua pazienza un bel giorno si stanca, esso si
solleva contro il governo e fa ci che si chiama una rivoluzione: dopo
di che qualcuno, con o senza il consenso della nazione, s'impadronisce
del trono, d i suoi ordini alla burocrazia e tutto procede press'a
poco come prima, dappoich la burocrazia non mutata e nessuno
capace di occuparne il posto.
Ben altro lo spettacolo presso un popolo avvezzo a condurre da
s i suoi affari. In Francia, avendo una gran parte della nazione
servito nell'esercito, dove molti hanno raggiunto almeno il grado di
sott'ufficiale, si trovano in tutte le insurrezioni popolari molte
persone capaci di assumere il comando e d'improvvisare qualche piano
d'azione non del tutto cattivo. Gli Americani sono, per gli affari
civili, quello che i Francesi pei militari: togliete loro il governo e
ogni congregazione d'America ve ne sapr organizzare uno immantinente,
e condurr con un grado sufficiente d'intelligenza, di ordine,
d'energia un qualunque pubblico negozio. Cos dovrebbe essere qualunque
popolo libero; un popolo capace di tanto sicuro di conservare
la propria libert: egli non si asservir mai ad alcun uomo o ad
alcun corpo sociale, perch questi soli siano capaci di tenere o di
maneggiare le redini dell'amministrazione centrale: nessuna burocrazia
pu sperar di costringere un tal popolo a fare o a subire ci che non
gli piace. Ma l dove la burocrazia fa tutto, nulla pu esser fatto
di ci a cui essa realmente ostile; la costituzione di simili paesi
un'organizzazione dell'esperienza e della pratica abilit della
nazione in un corpo disciplinato, destinato a governare il resto della
nazione; e quanto pi questa organizzazione perfetta in s stessa,
tanto meglio essa riesce ad attirare a s ed a plasmare a sua imagine
gl'ingegni della comunit, tanto pi completo l'asservimento di
tutti, compresi i membri della burocrazia; poich i governanti sono
schiavi della loro organizzazione e della loro disciplina cos come
i governati sono schiavi di essi. Un mandarino cinese strumento e
schiavo del dispotismo quanto l'infimo dei coltivatori; un gesuita ,
in tutta la estensione della parola, lo schiavo del suo ordine, sebbene
l'ordine stesso esista a causa del potere collettivo e della importanza
dei suoi membri.
Non bisogna dimenticare poi che l'assorbimento di tutti gl'ingegni
elevati del paese da parte del corpo che governa , tosto o tardi,
fatale all'attivit e al progresso intellettuale di questo corpo
stesso. Legato in tutte le sue parti, seguendo un sistema che, come
tutti gli altri sistemi, procede quasi sempre dietro regole fisse,
il corpo ufficiale costantemente tentato di addormentarsi in una
indolente _routine_; oppure, se esso esce talvolta da questo eterno
circolo, si appassioner per qualche idea appena sbozzata che sar
andata a genio di qualche membro importante del corpo; e perch queste
tendenze che si toccano da vicino (sebbene sembrino opposte) possano
essere tenute in iscacco, perch tutti gli ingegni che il corpo
racchiude si mantengano ad una certa altezza, bisogna che questo corpo
sia esposto ad una critica vigile, acuta e che venga da fuori. Perci
indispensabile che si possano formare degl'ingegni all'infuori dello
Stato colle occasioni e l'esperienza necessaria per giudicar sanamente
i grandi affari pratici. Se noi vogliamo possedere in perpetuo un corpo
di funzionar abili, capace di rendere dei buoni servigi e inoltre
tutto un corpo che sappia creare il progresso o disporsi ad adottarlo,
se non vogliamo che la nostra burocrazia degeneri in _pedantocrazia_,
occorre che questo corpo non assorba tutte le occupazioni che formano e
coltivano le facolt necessarie pel governo dell'umanit.
Dire dove comincino questi mali cos terribili per la libert e pel
progresso umano, o piuttosto dire dove essi comincino a superare il
bene che si pu attendere dalle forze libere della societ sotto i
loro capi riconosciuti assicurare i vantaggi dell'accentramento
politico ed intellettuale fin che si pu, senza attirare nelle vie
ufficiali una troppo gran parte dell'attivit generale una delle
questioni pi difficili e complicate nell'arte di governo; una
questione sopratutto di particolari, dove non si possono dare delle
regole assolute e dove bisogna tener conto delle pi numerose e varie
considerazioni, ma io credo che dal punto di vista pratico il principio
della salute, l'ideale da non perdersi di vista, il criterio secondo
il quale si debbono giudicare tutti i mutamenti proposti per vincere
la difficolt, si possa esprimere cos: la pi gran disseminazione di
poteri, compatibile coll'azione utile del potere stesso; il massimo
accentramento possibile d'informazioni, diffuso poi il pi che si pu
dal centro alla periferia.
Cos, dovrebbe esserci nell'amministrazione municipale, come negli
Stati della Nuova Inghilterra, una divisione accuratissima tra i
diversi funzionar, scelti per le localit, di tutti gli affari che
non pi conveniente di lasciar nelle mani delle persone interessate;
ma oltre a questo dovrebbe esserci in ciascuna divisione degli affari
locali una soprintendenza centrale, una diramazione del governo
generale. L'organo di questa soprintendenza concentrerebbe come in
un faro tutta la variet d'_informazioni_ e d'esperienza tratta e
dalla direzione di questo ramo de' pubblici affari in tutti i luoghi,
e da ci che accade di analogo nei paesi stranieri e dai princip
generali della scienza politica: ad esso dovrebbe spettare il diritto
di sapere tutto quello che si fa; suo speciale ufficio sarebbe rendere
utile dappertutto l'esperienza acquistata in un luogo. Essendo questo
organo al di sopra delle ristrette vedute e dei meschini pregiudiz di
una localit, per la sua posizione elevata e l'estensione della sua
sfera di osservazione, il suo parere avrebbe naturalmente una grande
autorit; ma il suo massimo potere dovrebbe, secondo me, limitarsi ad
obbligare i funzionar locali a seguire le leggi stabilite dal loro
speciale governo. Per tutto ci che non previsto da regole generali,
questi funzionar dovrebbero essere abbandonati al loro giudizio
colla sanzione della responsabilit davanti ai loro mandanti. Della
violazione delle regole essi sarebbero responsabili davanti alla legge,
e le regole stesse sarebbero stabilite dall'assemblea legislativa:
l'autorit centrale amministrativa non farebbe che vegliare alla
loro esecuzione; e, se la esecuzione non fosse ci che dev'essere,
l'autorit se ne appellerebbe, secondo i casi, o al tribunale per
imporre la legge, o ai corpi elettorali per deporre i funzionar
che non l'avessero eseguita secondo il suo spirito. Tale , nel suo
complesso, la sorveglianza centrale che l'_Ufficio della legge dei
poveri_ destinato ad esercitare sugli amministratori della tassa dei
poveri in tutti i paesi.
Per quante usurpazioni di potere abbia commesso questo ufficio,
ci era giusto e necessario in tal caso particolare, per tagliar
dalle radici degli abusi inveterati in materie che interessano
profondamente non solo le localit varie, ma tutta la comunit.
In fatto, nessun paese ha moralmente il diritto di trasformarsi
per la sua cattiva amministrazione in un semenzajo di miserie, che
si diffondono necessariamente in altre localit e peggiorano la
condizione morale e fisica di tutta la comunit operaja. I poteri di
coazione amministrativa e di legislazione subordinata che l'ufficio
della legge dei poveri possiede (ma che esercita assai debolmente a
cagione delle idee dominanti a questo proposito) sebbene perfettamente
giusti in un caso d'interesse nazionale di prim'ordine, sarebbero del
tutto fuor di posto se si trattasse della sorveglianza d'interessi
puramente locali. Ma un organo centrale d'informazioni e di istruzioni
per tutte le localit sarebbe ugualmente prezioso in tutti i rami
dell'amministrazione.
Non sar mai eccessiva per un governo questa attivit che non arresta,
ma ajuta e stimola i moti e gli sviluppi individuali. Il male comincia
quando, invece di risvegliare l'attivit e le forze degl'individui e
degli enti collettivi, il governo sostituisce alla loro la sua propria
attivit; quando, invece d'istruirli, di consigliarli e all'occasione
di denunciarli ai tribunali, li sottomette, incatena il loro lavoro, o
li fa sparire, compiendo, al loro posto, l'ufficio ad essi spettante.
Il valore d'uno Stato, in fin dei conti, il valore degl'individui
che lo compongono; e uno Stato che preferisce all'espansione e
all'elevazione intellettuale degli individui, una larva di abilit
amministrativa nelle particolarit degli affari; uno Stato che
impicciolisce gli uomini, affinch essi possano essere nelle sue mani
docili strumenti dei suoi disegni (anche benefici), s'accorger che
grandi cose non si fanno con uomini piccoli, e che la perfezione del
meccanismo a cui esso tutto ha sacrificato finir col non essergli
buona a nulla, per la mancanza della vitalit ch'egli ha voluto
allontanare per render pi facile il funzionamento della macchina.
FINE DEL CAPITOLO QUINTO E DELL'OPERA
INDICE
GIOVANNI STUART MILL Pag. 3
Capitolo I. Introduzione 7
II. La libert di pensiero e di discussione 21
III. L'individualit come elemento di
benessere 57
IV. Dei limiti al potere della societ
sull'individuo 77
V. Applicazioni 95
NOTE:
[1] Queste parole erano appena scritte, quando, quasi per dar loro una
solenne smentita, sopravvennero le persecuzioni del governo contro la
stampa, nel 1858. Questo sconsigliato intervento nella libert della
pubblica discussione non mi ha indotto a mutare una sola parola del
testo; e non ha punto affievolito la mia convinzione che salvo nei
momenti di panico l'epoca delle penalit per le discussioni politiche
era passata nel nostro paese. Infatti, anzitutto non si persever nelle
persecuzioni; e inoltre non si tratt mai di persecuzioni politiche,
nello stretto senso della parola: l'offesa rimproverata non era di aver
criticato le instituzioni, o gli atti, o le persone dei governanti: ma
bens d'aver propagato una dottrina ritenuta immorale, la legittimit
del tirannicidio.
[2] Tommaso Pooltey, assise di Bodmin, 31 luglio 1857 nel seguente mese
di dicembre, ottenne la grazia sovrana.
[3] Giorgio Giacobbe Holyake, 17 agosto 1857; Edoardo Truelowe, luglio
1857.
[4] Barone di Gleichem, corte di polizia di Marlborough Street, 4
agosto 1857.
[5] Tutta la passione di persecuzione che si mescolata, durante la
rivolta degli Indiani, al generale dispiegarsi delle parti pi cattive
del nostro carattere nazionale, ci offre qui un grande insegnamento. I
furori dei fanatici e dei ciarlatani del pergamo non sono, forse, degni
di nota; ma i capi del partito evangelico hanno enunciato come loro
principio di governo per gli Indiani e per i Maomettani che nessuna
scuola in cui la Bibbia non sia insegnata deve essere sovvenzionata
dallo stato, e che nessun impiego pubblico deve essere accordato a chi
non cristiano o non si d per tale.
Un sotto-segretario di stato, in un discorso diretto ai suoi elettori,
il 22 novembre 1857, si esprimeva, stando ai resoconti, cos: Il
governo inglese, tollerando la loro fede (la fede di 100 milioni di
sudditi britannici), la superstizione ch'essi chiamano religione,
non ha ottenuto altro risultato che di ritardare la supremazia
crescente del nome inglese, e d'impedire la salutare diffusione del
cristianesimo. La tolleranza stata la pietra angolare delle libert
del nostro paese: ma non bisogna ingannarsi su questa preziosa parola.
Nel modo con cui l'intendeva il sotto-segretario di stato, significava
la completa libert per tutti, l'affrancamento del culto _fra i
cristiani, che hanno un culto fondato sulle stesse basi_; significava
la tolleranza di tutte le diverse sette di cristiani che _credono per
in un solo mediatore_. Io desidero richiamare l'attenzione su questo
fatto, che un uomo stimato degno di occupare un impiego elevato nel
governo del nostro paese, sotto un ministero liberale, afferma questa
dottrina: che non si ha diritto alla tolleranza quando non si crede
alla divinit di Cristo.
Dopo lo sciocco discorso che abbiamo test riportato, chi pu credere
ancora che le persecuzioni religiose siano per sempre finite?
[6] _Della sfera e dei doveri del Governo_, di Guglielmo Humboldt.
[7] Saggio di Sterling.
[8] Vi qualcosa di doloroso e di spregevole nel genere
di testimonianza sulla quale si pu ai d nostri dichiarare
giudiziariamente un uomo incapace di condurre i suoi affari e, dopo
la sua morte, tener per non avvenuta la disposizione ch'egli ha fatto
dei suoi beni, se vi si trova di che pagare le spese del processo, che
son prelevate sui beni stessi. Si fruga in tutti i minuti particolari
della sua vita quotidiana; e quello che i pi poveri fra i poveri
di spirito vi scoprono, colle loro facolt percettive e descrittive,
che non sia assolutamente comune, portato avanti al giur come una
prova di follia, e sovente con buon esito. I giurati sono appena meno
ignoranti dei testimoni, mentre i giudici, nulla sapendo della natura
e della vita umana cosa che si nota con sorpresa ogni giorno presso
l'uomo di legge inglese contribuiscono spesso ad indurli in errore.
Questi processi valgono dei volumi, come indizio del sentimento e
dell'opinione volgare sulla libert umana. Lungi dall'attribuire
alcun valore all'individualit, lungi dal rispettare i diritti di
ogni individuo ad agire nelle cose indifferenti come il suo giudizio
e le sue tendenze lo guidano, giudici e giurati non riescono neppure
a concepire che una persona sana di mente possa desiderare una tale
libert. In altri tempi, quando si proponeva di bruciare degli atei,
caritatevoli persone suggerivano volentieri che sarebbe stato meglio
di metterle in un manicomio. Nulla vi sarebbe da meravigliarsi
se lo stesso si facesse oggi; e se quelli che lo facessero si
congratulassero secostessi di avere adottato una maniera cos umana e
cristiana di trattare questi sfortunati in luogo di perseguitarli per
causa religiosa, non senza, nel medesimo tempo, provare una segreta
soddisfazione per aver loro procurato una sorte corrispondente ai loro
meriti.
[9] Il caso dei Parsi di Bombay un curioso esempio di questo fatto.
Quando questa trib industriosa e intraprendente, che discendeva
dai Persiani, adoratori del fuoco, abbandonando il proprio paese
all'invasione musulmana, arriv nell'ovest dell'India, vi fu tollerata
dai principi indiani a patto di non mangiare carne di bue. Quando,
in seguito, queste regioni caddero sotto il dominio dei conquistatori
maomettani, i Parsi ottennero che la tolleranza continuasse a patto di
astenersi dalla carne di majale. Ci che in origine era sommessione
divenne una seconda natura; e i Parsi non mangiano, neppur oggi, n
carne di bue, n carne di majale. Sebbene la loro religione non lo
esiga, la doppia astinenza ha avuto il tempo di entrare nei costumi
della loro trib, e in Oriente il costume una religione.
[10] Il Maine un paese del nord-est degli Stati Uniti, in cui vigeva
una legge del 1851, notissima, che proibiva la vendita dei liquori
fermentati. (_Il Trad._)
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.
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